Naqba e Giornata dell’Indipendenza

Qualche richiamo di storia a proposito di giustizia nella nascita di uno stato

Da un articolo di Amnon Rubinstein

image_1225Per molti osservatori e mass-media, le parole “giustizia” e “sionismo” vanno raramente d’accordo. Il mondo preferisce pensare alla “giustizia” che deve essere fatta per i palestinesi. Certo, i palestinesi hanno diritto ad esercitare l’autodeterminazione in una loro entità politica, e a vivere in una società libera e democratica, anche se molti di loro hanno scelto di farsi governare da un movimento fanatico, antidemocratico e razzista.
Ma a questo proposito, all’indomani della giornata in cui i palestinesi ricordano la Naqba (con questa parola essi indicano la “catastrofe” rappresentata dalla nascita di Israele), non bisogna dimenticare che la sofferenza dei palestinesi è stata causata dalla loro stessa dirigenza, dai paesi arabi e, in modo particolare, dal fatto che molti di loro continuano ad aggrapparsi alla vana idea di distruggere Israele.
È anche vero, d’altra parte, che la questione israelo-palestinese è decisamente sui generis, dal momento che vede l’occupato negare all’occupante persino il diritto di esistere, e l’occupante che sente di essere una minoranza minacciata da una maggioranza di cui l’occupato fa parte. Una situazione che non ha paralleli da nessun altra parte.
Chi esamina la storia della Terra d’Israele/Palestina e delle due nazioni che vi vivono, non può che arrivare alla conclusione che l’unica soluzione è un compromesso: cioè suddividere la terra tra i due popoli che la considerano terra patria. Il movimento nazionale sionista ha accettato questa suddivisione, ad eccezione degli anni successivi alla guerra dei sei giorni (1967) quando fu inebriato dalla propria apparente potenza. Il movimento sionista era pronto al compromesso nel 1947; lo stato di Israele è pronto al compromesso oggi.
Il movimento nazionale palestinese, invece, non ha accettato nessuno di questi compromessi. Non lo ha accettato nel 1947, e non lo accetta oggi. Ciò che è in discussione, qui, non sono dunque i confini, né il profilo dei due stati. Ciò che è in discussione è il principio stesso della suddivisione della terra in due stati per due popoli.
La dirigenza palestinese commise un delitto storico quando respinse questo principio nei dibattiti che precedettero la risoluzione con cui l’Onu approvò (nel 1947) la spartizione raccomandata dal rapporto di maggioranza della Commissione speciale istituita dall’Assemblea Generale (UNSCOP). Ma pochi ricordano che la dirigenza palestinese aveva respinto non solo il rapporto di maggioranza della Commissione, favorevole alla spartizione in due stati, ma anche il rapporto della minoranza pro-araba, la quale proponeva la creazione di un singolo stato federale comprendente due cantoni, uno ebraico e uno arabo. L’indipendenza del cantone ebraico dello stato federale sarebbe stata assai più limitata, e temi come l’immigrazione – la questione vitale per cui gli ebrei avevano combattuto – sarebbero stati sottratti alla sua giurisdizione. Secondo la prospettiva disegnata dal rapporto di minoranza dell’UNSCOP, non sarebbe stato possibile salvare la maggior parte degli ebrei sradicati, sopravvissuti alla Shoà, dalle vergognose condizioni in cui allora vivevano nei campi per displaced persons su suolo tedesco.
Ciò nondimeno, il rapporto della minoranza pro-araba della Commissione riconosceva l’esistenza di una entità nazionale ebraica, ed era esattamente questa l’idea che risultava totalmente inaccettabile alla dirigenza palestinese e dei paesi arabi. Ecco perché si opposero sia al rapporto di maggioranza che a quello di minoranza.
La maggior parte dei delegati all’Assemblea Generale considerò in modo assai negativo questa posizione estremista e intransigente, combinata con l’ingombrante leadership, in campo palestinese, del mufti filo-nazista Haj Amin el-Husseini. Se il mufti avesse potuto fare a modo suo, anche la popolazione ebraica della Terra d’Israele/Palestina sarebbe stata annientata nei campi di sterminio, cosa che avrebbe aumentato di un “insignificante” 10% il numero degli ebrei assassinati dai suoi soci nazisti.
Dal momento in cui la decisione di spartire il paese venne approvata, paesi arabi e arabi palestinesi insorsero contro gli ebrei palestinesi. Anziché accettare il compromesso deliberato dal massimo organismo internazionale, che aveva l’autorità e il dovere di decidere del futuro delle terre sotto Mandato della Società delle Nazioni, i paesi arabi dichiararono guerra e lanciarono il piano per l’invasione dello stato degli ebrei da parte di eserciti regolari arabi e formazioni armate palestinesi guidate dal mufti.
Dai tempi delle invasioni naziste, non si era visto un attacco aggressivo e spietato come quello delle forze arabe all’interno del territorio il cui destino era stato deciso dall’Onu. Ma non ebbe successo. La scarsa e male armata popolazione ebraica riuscì a respingere gli eserciti invasori, sebbene a prezzo di pesantissime perdute umane.
È vero che in quella guerra, che gli israeliani ricordano nel giorno dell’indipendenza, oltre alle morti accaddero altri fatti drammatici, e che una parte di abitanti arabi venne espulsa da case e villaggi, insieme ad altre masse di arabi che sfollarono di propria iniziativa, incalzate dai combattimenti e sollecitate dai loro stessi leader, nella speranza di tornare presto da vincitori.
Ma, per quanto riguarda la giustizia, non si deve dimenticare che se gli arabi palestinesi e i paesi arabi avessero accettato la risoluzione di compromesso delle Nazioni Unite, al popolo palestinese sarebbero state risparmiate gran parte di quelle sofferenze, e si sarebbe potuto dare giustizia a entrambi i popoli. Allo stesso modo, bisogna ricordare che se i paesi arabi avessero trattato i profughi palestinesi che arrivarono nei loro territori come esseri umani, e non come carne da macello e moneta di scambio, ai profughi sarebbero state risparmiate enormi sofferenze e privazioni.
Da dove viene questo rifiuto arabo? Viene dallo stesso argomento che il presidente iraniano usa oggi: che gli ebrei non sono un popolo e che pertanto non hanno diritto a uno stato, e che il Medio Oriente è islamico e che in esso non v’è posto per uno stato che non sia islamico.
La maggioranza dell’Assemblea Generale dell’Onu si convinse invece della giustizia della rivendicazione sionista: che una nazione perseguitata aveva diritto a una terra patria, che la creazione di uno stato per gli ebrei avrebbe evitato ulteriori sofferenze ebraiche, che gli arabi palestinesi potevano esercitare il diritto all’autodeterminazione in un loro stato dove avrebbero potuto assicurarsi di restare maggioranza, che non c’era altro posto al mondo per l’indipendenza ebraica se non in Terra d’Israele.
Questa è la giustizia della causa sionista. E rimane molto più solida di qualunque rivendicazione araba.

(Da: Jerusalem Post, 16.05.06)

Nella foto in alto: Scolare di Balata mostrano in effige le rivendicazioni territoriali palestinesi, durante celebrazioni della Naqba (catastrofe): Israele scompare dalla mappa.