Nathan Zach

La poesia del quotidiano: L'omino del pane e altre storie, di Nathan Zach, (Trad di E. Loewental, disegni di Avner Katz, Donzelli, Roma 2003)

image_174La poesia del quotidiano:

L’omino del pane e altre storie, di Natan Zach (trad. di E. Loewenthal, disegni di Avner Katz, Donzelli, Roma 2003).

Di Sara Ferrari

Chi conosce la letteratura israeliana, sa bene che molti dei suoi più grandi poeti hanno scritto libri per bambini. Lo hanno fatto Yehuda Amichai, Dalia Ravikovitch e David Avidan, per citarne alcuni; è una situazione quasi senza eguali. Al di là del gusto ebraico per la narrazione, ciò riflette indubbiamente la predilezione di questi poeti per la quotidianità, la loro ricerca della poeticità del semplice, del non-sublime. Ciò che ad un lettore attento non può sfuggire, è che molto raramente le storie di questi poeti sono soltanto per bambini. La semplicità con la quale sono narrate e i loro argomenti di certo le rendono di facile lettura per loro, ma esse non si fermano qui. C’è “qualcosa” dietro queste storie, come Natan Zach ci ricorda nella sua dedica in questa edizione italiana (la prima in occidente) dei suoi racconti per bambini, raccolti sotto il titolo L’omino del pane.

In questa prefazione, dal titolo emblematico La lettera nella bottiglia, dopo aver richiamato ricordi d’infanzia e svelato il materiale biografico da cui questi racconti sono nati, il poeta ci avverte: dentro le sue storie c’è un messaggio, “un messaggio originato dall’esperienza di colui che non ha potuto fare a meno di essere un bambino del suo tempo” (pag. 10.). Non parliamo dunque di morale, sarebbe del tutto estraneo alla poetica di Zach, ma di messaggio, un messaggio multiforme, che egli lascia alla nostra fantasia e alla nostra interpretazione. Sta a noi decidere, dunque, che fine abbiano fatto le piccole creature nascoste nei cibi o quale sia il motivo del rifiuto della paffuta ape Pea alla comunità delle api. Di grande interesse sono poi le Poesie su un cane e una cagnetta, in cui il poeta si pone accanto a questi animali e parla la loro lingua, semplice, gioiosa, a volte malinconica, incomprensibile ai più, ma del tutto chiara a chi ha diviso un po’ della propria vita con uno di loro. Colui che non ha potuto fare a meno di essere un bambino del suo tempo, così Zach definisce sé stesso. Di certo questo bambino è stato duramente toccato dalla storia. Nato nel 1930 a Berlino da padre tedesco e madre italiana, Zach è ben presto costretto dal nazismo ad emigrare in Palestina con la famiglia. Benché all’epoca fosse molto piccolo, quest’evento segnò indelebilmente la sua vita (“Hitler ancora scorre nelle mie vene”, egli scrive), configurandosi come un fatto traumatico nella sua poesia (“…ma io mi accontento di gridare nel sogno”). Zach è considerato uno dei maggiori esponenti di quella che è stata definita la new wave della poesia israeliana, nata intorno agli anni ’50. Egli fu uno dei redattori della rivista Akhshàv (Adesso), organo ufficiale dei nuovi poeti e la sua prima raccolta Shirim Rishonim (Prime poesie) risale al 1955. Zach è stato definito “il più chiaro e insistente portavoce del movimento modernista della poesia israeliana” ed è forse più vicino di ogni altro alla lezione dei poeti inglesi e americani. La sua poesia, infatti, è caratterizzata da uno stile nudo, ironico e colloquiale, lontano da ogni sentimentalismo e da ogni retorica. Per questo motivo, molto spesso è stato avvicinato a Yehuda Amichai, benché in realtà vi siano tra di loro grandi differenze. Zach infatti è riflessivo, “filosofico” (pashùt ve-filosòfi- “semplice e filosofico” intitolava il New Republic nel 1983 mentre Amichai è stato definito da alcuni critici più immediato e “carnale”. Inoltre, mentre Amichai ha saputo ben interpretare i sentimenti e gli umori dell’opinione pubblica israeliana, divenendo poeta nazionale d’Israele, nelle sue liriche Zach ribadisce sempre la propria condizione di “uomo in viaggio” e di apolide, iniziata nell’infanzia (“parlare quattro lingue al di sotto di sei anni è pure/ cosa che confonde, una torre di Babele che a malapena deambula”) e irrimediabilmente portata avanti in età adulta. Dal 1968 al 1979, infatti, visse in Inghilterra, dove completò i suoi studi; di ritorno in Israele, insegnò nelle università di Tel Aviv e Haifa e svolse un incarico di grande prestigio presso i teatri Ohel e Carmi. Notevole è inoltre la sua opera di traduttore; si ricordino in particolare le sue traduzioni di Allen Ginsberg, di Else Lasker-Schüler (la poetessa tedesca che fuggita dalla Germania nazista morì a Gerusalemme nel 1945) e delle canzoni popolari arabe, queste ultime realizzate in collaborazione con Rashid Hussein. Relativamente tardi giunsero per Zach i riconoscimenti ufficiali: nel 1995, infatti, grazie alla raccolta Keivan She-Ani Ba-Svivah (Dal momento che sono nei paraggi), vinse il prestigioso Premio Israele, mentre nel 2000 per l’antologia Sfavorevole agli addii (Donzelli Editore, Roma 1996), gli è stato conferito il Premio Internazionale di Poesia Camaiore. Il lettore italiano che volesse approfondire l’opera di Natan Zach trova in questa antologia un valido strumento, grazie soprattutto alle pregevoli traduzioni di Ariel Rathaus.