Nel caso qualcuno l’avesse dimenticato, ecco a cosa mira la “marcia del ritorno” di Hamas

I terroristi che comandano a Gaza non fanno mistero del loro obiettivo di distruggere Israele: dopo attentati suicidi, razzi sui civili, tunnel per infiltrazioni, ora è la volta delle marce sul confine

Di David Horovitz, Fred Maroun

David Horovitz, autore di questo articolo

Giusto nel caso qualcuno se ne fosse dimenticato, nel 2005 Israele si è ritirato unilateralmente dalla striscia di Gaza sulle linee precedenti la guerra del ‘67, ha sgomberato migliaia di civili israeliani dalle loro case e ha smantellato tutte le strutture militari che aveva creato nella striscia. A Gaza non c’è più nessuna presenza fisica d’Israele e Israele non avanza nessuna rivendicazione territoriale sulla striscia di Gaza.

Giusto nel caso qualcuno se ne fosse dimenticato, Hamas, un’organizzazione islamista terroristica che mira dichiaratamente alla distruzione di Israele, ha preso il potere a Gaza nel 2007 con un sanguinoso colpo di stato contro le forze del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen). Dopo aver tentato invano di piegare Israele terrorizzandolo con la tattica degli attenti suicidi che hanno seminato stragi nelle città israeliane durante la cosiddetta seconda intifada, dopo che ha preso il controllo su Gaza Hamas ha proseguito il tentativo di terrorizzare Israele lanciando indiscriminatamente migliaia di missili e razzi al di là del confine. Non fosse stato per il sistema di difesa anti-missilistica “Cupola di ferro” e per le puntuali reazioni delle Forze di Difesa israeliane  contro rampe e arsenali, buona parte di Israele sarebbe stato ridotto in macerie secondo le speranze di Hamas. Hamas ha anche incessantemente scavato tunnel per infiltrazioni terroristiche che passano sotto il confine: un’altra via escogitata dai terroristi che Israele, a quanto pare, sta gradualmente chiudendo grazie all’azione delle sue forze armate e a nuove tecnologie e barriere sotterranee.

Il logo con cui Hamas ha pubblicizzato la “marcia del ritorno”: mostra l’immancabile mappa delle rivendicazioni palestinesi: Israele risulta cancellato dalla carta geografica. “I terroristi che comandano a Gaza non fanno mistero del loro obiettivo di distruggere Israele”

Giusto nel caso qualcuno se ne fosse dimenticato, Hamas ha cinicamente e implacabilmente sfruttato gli abitanti di Gaza – gran parte dei quali l’avevano votata nelle elezioni del gennaio 2006, mai più riconvocate – ammassando razzi ed esplosivi a ridosso o persino all’interno di moschee e scuole, lanciando razzi dalle aree residenziali, scavando i tunnel a partire da case e istituzioni civili. Hamas ha usato a questo scopo tutti i materiali che possono essere utilizzati per la fabbricazione di armi e fortificazioni, costringendo Israele ad applicare un severo blocco di sicurezza sulle importazioni a Gaza le cui conseguenze ricadono sugli abitanti palestinesi. La decisione di organizzare e fomentare manifestazioni di massa al confine nel quadro della cosiddetta “marcia del ritorno” che mira allo scontro con le truppe israeliane schierate a difesa dei confini, sostenendo ipocritamente e in malafede che si tratta di una campagna “non violenta”, non è che l’ultima versione dell’uso cinico che Hamas fa degli abitanti di Gaza come scudi umani (in mezzo ai quali infatti anche venerdì scorso ha infilato terroristi armati che hanno aperto il fuoco contro gli israeliani).

Giusto nel caso qualcuno se ne fosse dimenticato, invocare un “diritto al ritorno” in Israele per decine di migliaia di profughi palestinesi, e milioni di loro discendenti, non è altro che un appello per la cancellazione di Israele. Nessun governo israeliano potrebbe accettare questo “diritto di invasione”, poiché significherebbe la fine dell’autodeterminazione ebraica in Israele. La posizione di Israele è che i profughi palestinesi e i loro discendenti diventino cittadini di uno stato palestinese, al termine di un negoziato di pace, così come gli ebrei costretti da governi ostili ad abbandonare i paesi mediorientali sono diventati cittadini d’Israele.

Un partecipante alla “pacifica” manifestazione di venerdì scorso al confine fra Gaza e Israele

Giusto nel caso qualcuno se ne fosse dimenticato, lo scomparso primo ministro Ariel Sharon ordinò il lacerante ritiro de Gaza nell’intento dichiarato di stabilire confini permanenti per Israele, e lo fece unilateralmente perché era giunto alla conclusione che non poteva arrivare a un accordo negoziato con la dirigenza palestinese (che solo cinque anni prima aveva rifiutato l’offerta di pace “a due stati” di Ehud Barak-Bill Clinton). Se l’esperimento a Gaza fosse andato a buon fine, è assai probabile che Israele avrebbe proseguito con un ritiro da gran parte della Cisgiordania aprendo concretamente la strada allo stato palestinese. L’ascesa al potere di Hamas a Gaza, tre tornate di aspro conflitto (2009, 2012, 2014), la consapevolezza che Israele sarebbe rimasto isolato e nell’impossibilità di funzionare se Hamas fosse subentrata anche in Cisgiordania – cosa che metterebbe ogni parte del paese, e in particolare i luoghi più abitati e delicati compreso l’aeroporto, entro il raggio d’azione dei razzi suoi o di qualunque altra formazione terroristica mediorientale – tutto questo è ciò che ha sepolto ogni opzione di ulteriore ritiro unilaterale, rendendo gli israeliani concordemente terrificati alla prospettiva di abbandonare il controllo di sicurezza sul territorio adiacente. Sicché Hamas, che sostiene di servire gli interessi dei palestinesi, in realtà con le sue scelte pregiudica ogni prospettiva di indipendenza palestinese nel prevedibile futuro. Ma ovviamente a Hamas non importa nulla dell’indipendenza palestinese. Hamas si batte per l’eliminazione di Israele.

Quindi, chi si fosse dimenticato il contesto in cui si inserisce l’ultima escalation di violenza di venerdì scorso, non deve fare altro che ascoltare il capo di Gaza a Hamas, Yahya Sinwar, che ne ha indicato l’obiettivo finale in un discorso venerdì stesso, di fronte al confine: “La marcia del ritorno continuerà – ha proclamato – finché non rimuoveremo questo confine provvisorio”. Le proteste, ha detto, “segnano l’inizio di una nuova fase nella lotta nazionale palestinese sulla strada per liberazione e per il ritorno: il nostro popolo non può rinunciare a un solo centimetro della terra di Palestina”.

(Da: Times of Israel, 31.3.18)

La menzogna del ritorno costa vite umane

Fred Maroun è cittadino canadese di origine araba libanese

Scrive Fred Maroun: Per settant’anni i capi arabi hanno continuato a sostenere la menzogna che i profughi palestinesi e i loro numerosi discendenti un giorno “torneranno” in Israele. Per settant’anni il mondo ha attivamente assecondato questa menzogna finanziando l’Unrwa, l’agenzia Onu il cui compito è quello di garantire che i “profughi” mantengano tale status indefinitamente; rifiutandosi anche solo di parlare dei profughi ebrei cacciati dalle terre arabe; rifiutandosi di dichiarare apertamente che l’illusorio “ritorno” non avverrà mai perché Israele, lo stato nazionale del popolo ebraico, non accetterà mai di suicidarsi in quel modo. I profughi ebrei, il cui ammontare era approssimativamente uguale a quelli che possono legittimamente essere chiamati profughi palestinesi (cioè senza contare i loro discendenti), sono stati da lungo tempo accolti e integrati in Israele. È quindi dovere del mondo arabo (che causò il dramma dei profughi attaccando Israele nel ’48) assorbire e integrare i profughi palestinesi. I leader mondiali, tuttavia, non hanno il coraggio di dire ai palestinesi questa semplice verità. Preferiscono evitare il problema finanziando l’Unrwa, e fingendo di credere che in qualche modo il problema si risolverà da solo. Ma ecco che di nuovo, ora, al confine fra striscia di Gaza e Israele, tocchiamo con mano le dolorose conseguenze di questa politica di condiscendenza verso la fantasticheria del “ritorno”. Vediamo come Hamas riesca a convincere, o costringere, decine di migliaia di palestinesi a marciare verso il confine nella tragica illusione di “tornare in Palestina”, e vediamo come Israele si trovi nella condizione di non poter fare altro che impedire loro di attraversare il confine, con il fatale strascico di morti e feriti. Questi morti e feriti palestinesi sono responsabilità di Hamas, che spinge cinicamente la propria gente alla morte allo scopo di guadagnarsi la simpatia dei mass-media. Ma sono anche responsabilità di tutti quei politici, movimenti e opinionisti in tutto il mondo che hanno sempre assecondato la propaganda e l’indottrinamento arabi evitando di affermare in modo chiaro e forte come stanno le cose circa la chimera del “ritorno”. Sarebbe ora che capissero che quella menzogna comporta un costo: un costo in vite umane di cui anche loro portano la resposnabilità. (Da: Times of Israel, 31.3.18)

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Dieci palestinesi affiliati a gruppi terroristi, morti negli scontri di venerdì scorso con le Forze di Difesa israeliane al confine fra Gaza e Israele (clicca per ingrandire)