Nel Giorno della Shoà, ricordare significa anche apprezzare l’esistenza di Israele

E’ difficile capire appieno la meraviglia e il miracolo dello stato ebraico se non si fa un passo indietro per ricordare come erano le cose senza di esso

Editoriale del Jerusalem Post

Ogni anno, la mattina di Yom HaShoà, al suono delle sirene tutto Israele si ferma in raccoglimento per due minuti

L’imperativo cardine della Giornata della Memoria della Shoà è, come indica il nome, ricordare. Ricordare i sei milioni assassinati e indurre altri a fare lo stesso. Ricordare, affinché vite che furono spente in modo così spietato sulla terra non svaniscano allo stesso modo dalla mente delle persone. Ricordare, in modo che vi possano essere nomi e volti al posto dei numeri. Ricordare la disumanità dell’uomo verso l’uomo, nella speranza, finora vana, che il ricordo di quella disumanità impedisca che abbia a ripetersi.

La Giornata della Memoria della Shoà è anche una tribuna da cui ricordare al mondo come venne trattato l’Ebreo, e fino a quali abissi di orrore può portare la sciagura dell’antisemitismo. Anche qui, la speranza è che l’atto stesso del ricordare possa avere una sorta di effetto terapeutico, e che il ricordo stesso possa portare all’eliminazione dell’antisemitismo dalla mente umana. E magari fosse così facile.

Quest’anno, mentre Israele è alle prese con una paralisi politica che ha inflitto a stesso, la Giornata della Memoria della Shoà può servire anche a un altro scopo: costringere il paese a guardarsi allo specchio e mettere i suoi problemi in prospettiva per valutare cosa è veramente importante e cosa lo è molto meno.

Per quanto possano sembrare difficili oggi le cose nello stato ebraico, e per quanto possano essere apparse difficili ieri o potranno apparire difficili domani, nella prima metà degli anni ’40 gli ebrei in Europa avrebbero fatto qualsiasi cosa al mondo – qualsiasi cosa al mondo – pur di barattare le loro disgrazie, le loro sofferenze e il loro dolore con le difficoltà che ci troviamo ad affrontare noi oggi.

“Non è sempre facile avere nelle proprie mani il proprio destino. Spesso è un compito ingrato che richiede compromessi e scelte ardue. Ma è sempre comunque meglio dell’alternativa”

Tra le sue altre funzioni, la Giornata della Memoria della Shoà serve al popolo ebraico, e in particolare ai suoi membri che vivono in Terra di Sion, come un inestimabile memento annuale a non perdere di vista la foresta per i singoli alberi, a non rimanere così coinvolti nelle avversità e nei problemi quotidiani legati alla gestione di uno stato sovrano indipendente da perdere di vista il quadro più ampio.

E il quadro più ampio è che dopo duemila anni di esilio, dopo aver dimorato dal 1939 al 1945 nel ventre stesso della Valle della Morte, il popolo ebraico è ora di nuovo radicato nella sua patria e ha nelle proprie mani il proprio destino. Non è sempre facile avere nelle proprie mani il proprio destino. Spesso è un compito ingrato che richiede compromessi e scelte ardue. Ma è sempre comunque meglio dell’alternativa.

Il Giorno della Memoria della Shoà è un giorno prezioso per ricordare qual è l’alternativa, per ricordare cosa è successo agli ebrei in Europa nel secolo scorso. E attraverso questo semplice atto del ricordare, apprezzare meglio la nostra vita, oggi, nello stato ebraico di questo secolo. Il presidente Reuven Rivlin ha espresso al meglio questo sentimento nel suo discorso, martedì, in occasione del conferimento a Benjamin Netanyahu dell’incarico di formare il prossimo governo. Rivlin ha raccontato che la scorsa settimana ha ricevuto nella sua residenza ufficiale l’ex presidente della Corte Suprema Aharon Barak il quale ha raccontato la sua storia di ragazzo sopravvissuto nascondendosi dietro un muro nella casa di un contadino lituano. Barak, ha detto Rivlin, ha mantenuto la sua compostezza per tutto il tempo del racconto di quella storia straziante che includeva i “momenti più terribili e spaventosi della selezione dei bambini nel ghetto”. La voce di Barak, ha raccontato Rivlin, si è incrinata soltanto quando ha rievocato il suo primo incontro con i soldati della Brigata Ebraica che avevano sulla divisa il distintivo con la bandiera blu e bianca. “Lo Stato d’Israele non è scontato – ha detto Rivlin – Noi cittadini di Israele abbiamo nelle nostre mani il più grande tesoro del popolo ebraico”.

Che il popolo ebraico non debba dare per scontata l’esistenza dello stato d’Israele è un fatto ovvio. Ma, come ebbe a dire una volta Menachem Begin, di tanto in tanto anche l’ovvio deve essere ribadito. Fa parte della natura umana non apprezzare appieno le meraviglie quotidiane finché non vengono a mancare: essere in grado di camminare, finché non ci si riesce più; essere in grado di vedere, finché si perde la vista. Allo stesso modo, è difficile apprezzare appieno la meraviglia e il miracolo dello stato ebraico se non si fa un passo indietro per ricordare come sarebbero le cose senza di esso. La Giornata della Memoria della Shoà, tra i suoi altri messaggi, ci comanda di fare proprio questo.

(Da: Jerusalem Post, 8.4.21)

Come ogni anno, la mattina di Yom HaShoà tutto Israele si è fermato in raccoglimento per due minuti al suono delle sirene. Per scorrere la galleria d’immagini, cliccare sulla prima e proseguire cliccando sul tasto “freccia a destra”: