Nessun governo in vista, a una settimana dalla scadenza dell’incarico a Netanyahu

Le maggiori forze politiche restano in surplace, ciascuna scommettendo su imponderabili sviluppi

Il leader del Likud, Benjamin Netanyahu, e quello di Blu-Bianco, Benny Gantz

Sono trascorsi circa 20 giorni da quando è stato affidato al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu l’incarico di formare un nuovo governo. Ora, ad appena una settimana dalla fine dei 28 giorni previsti dalla legge per l’adempimento del compito, non è ancora in vista alcun governo. I partiti Likud di Benjamin Netanyahu, Blu&Bianco di Benny Gantz e Israel Beytenu di Avigdor Liberman continuano a ribadire le rispettive posizioni, il che rende più difficile che mai colmare la distanza che esiste fra le varie formazioni. Di conseguenza, da giorni non si sono registrate riunioni, negoziazioni né serie trattative. Tuttavia, col passare del tempo e l’aumento della pressione, tutti dovranno cercare una strategia per risolvere la situazione.

Blu&Bianco spera di smontare il Likud e una parte del blocco di destra, mentre il Likud spera che i Laburisti di Amir Peretz accetti all’ultimo minuto di entrare nella coalizione e intanto premono su Liberman perché faccia lo stesso.

Secondo gli analisti politici, una volta scaduto il periodo di 28 giorni il presidente Reuven Rivlin non concederà a Netanyahu la proroga di 14 giorni consentita dalla legge israeliana, preferendo passare la mano a Gantz. La domanda è perché, nonostante l’evidente impasse, Netanyahu non accenna a restituire il mandato al presidente e continua a prendere tempo. Eppure, secondo gli osservatori, è chiaro che nessun governo potrà essere formato sulla base delle condizioni poste da Netanyahu e dal Likud. La destra attribuisce il comportamento di Netanyahu al timore che Gantz possa formare un governo di minoranza se Israel Beytenu di Liberman dovesse astenersi o non presenziare al voto sulla fiducia al nuovo governo (un po’ come avvenne in Italia con il governo della “non-sfiducia” del 1976 ndr). Ma Liberman ha già affermato che non intende sostenere un governo che non sia di unità nazionale. “Ci piacerebbe sentire dal primo ministro (Netanyahu) che ha smantellato il blocco ultra-ortodosso e nazional-religioso– ha detto martedì Liberman – Allora sì che ci sarà qualcosa di cui parlare”. Liberman ha anche detto che sta ancora aspettando una risposta dalla squadra negoziale del Likud alla sua proposta di iniziare a formulare delle “linee-guida” di governo che siamo “accettabili per la maggior parte di Israele”. Ma il Likud ha dichiarato di non avere intenzione di avviare un incontro del genere.

Avigdor Liberman di Israel Beytenu (destra laica) seduto alla Knesset accanto a Ayelet Shaked di Nuova Destra (nazionalisti religiosi)

Nel frattempo, la strategia di Blu&Bianco – una volta che il suo leader ricevesse l’incarico – è quella di esercitare una forte pressione sui parlamentari che figurano in coda nella lista del Likud, dicendo loro che potrebbero non entrare affatto nella prossima Knesset nel caso si andasse a una terza tornata elettorale. Argomento pertinente, visto che alle elezioni di aprile il Likud aveva ottenuto 35 seggi, mentre in quelle di settembre ne ha ottenuti solo 32, indicando una tendenza al ribasso.
(Da: YnetNews, 16.10.19)

Il nuovo governo ancora non c’è e non sembra che ve ne sarà uno tanto presto. Ma questo non significa che Netanyahu sia rimasto a girarsi i pollici dal giorno in cui ha ricevuto l’incarico dal presidente Rivlin. Netanyahu ha fatto almeno tre cose determinanti. Una è stata quella di assicurarsi che il blocco di destra di 55 seggi gli rimanga fedele anche se non dovesse formare il nuovo governo al primo tentativo. Ciò dovrebbe praticamente garantire che anche il leader di Blu&Bianco Benny Gantz non riuscirà a creare una coalizione, se Rivlin gli conferirà l’incarico per il prossimo tentativo, e questo darebbe a Netanyahu un vantaggio iniziale nel successivo periodo di 21 giorni in cui, secondo la legge, sarebbe la Knesset a poter indicare direttamente un primo ministro incaricato. Al momento, la maggior parte del blocco è con Netanyahu, anche se il partito Nuova Destra (di Ayelet Shaked) si rifiuta di firmare un impegno scritto.

In secondo luogo, Netanyahu ha stroncato sul nascere qualsiasi fronda all’interno del Likud. Ha fatto sapere che stava pensando di indire elezioni primarie-lampo. Il rivale interno Gideon Sa’ar ha subito detto che avrebbe gareggiato, ma un solo parlamentare del Likud si è schierato con lui. Il Comitato Centrale del partito ha poi rifiutato di tenere le primarie-lampo, ma Netanyahu è comunque riuscito a fare uscire Sa’ar allo scoperto dimostrando che nessuno nel Likud ha reali possibilità di sconfiggere il primo ministro in questo frangente.

Infine, Netanyahu ha aspettato che Liberman presentasse il suo piano per la creazione di un governo di unità nazionale, per vedere se era qualcosa che potesse far avanzare le trattative. Ma non c’era nulla di veramente nuovo nel piano di Liberman. Liberman lo ha pubblicato su Facebook il 9 ottobre, subito dopo Yom Kippur, ed è già passata una settimana senza che nulla si smuovesse.

C’è poi un altro fattore, nel futuro non così lontano, che Netanyahu sta tenendo d’occhio in attesa di rimettere a Rivlin il mandato, ed è la decisione del procuratore generale Avichai Mandelblit sulle sue eventuali incriminazioni. A quanto risulta, la decisione di Mandelblit dovrebbe arrivare a metà novembre. Verosimilmente Gantz preferisce aspettare la notizia dell’incriminazione formale di Netanyahu – ammesso che venga incriminato – perché ritiene che a quel punto fra i parlamentari del Likud si smuoverebbero le acque, permettendo a Blu&Bianco di formare una coalizione con loro senza venir meno alla promessa di non entrare in un governo con Netanyahu sotto incriminazione. Netanyahu, invece, pensa che le accuse di corruzione contro di lui cadranno. Se effettivamente Mandelblit decidesse di archiviarle e annunciasse questa decisione prima della scadenza dei tempi di legge per l’incarico di Netanyahu, o del successivo incarico di Gantz, ciò aprirebbe la strada alla formazione di un governo di unità nazionale. Come si vede, molti “se”.
(Da: Jerusalem Post, israele.net, 16.10.19)