Netanyahu alle soglie del terzo mandato: le ragioni di uno sviluppo sorprendente

Molta acqua è passata sotto i ponti di Israele dalle elezioni del 1992 vinte da Rabin. Per capire il successo della destra bisogna chiedersi: cosa è successo nei trent’anni successivi?

Di Herb Keinon

Herb Keinon, autore di questo articolo

È tornato, o almeno così pare. Se i risultati verranno confermati dallo spoglio definitivo e i colloqui di coalizione andranno come previsto, il più probabile prossimo primo ministro d’Israele è Benjamin Netanyahu, l’uomo che ha già ricoperto quel ruolo per 15 anni e tre mesi, una prima volta dal 1996 al 1999 e una seconda dal 2009-2021. Sarà il primo politico israeliano a sedere sulla poltrona di primo ministro per tre mandati non consecutivi. Sarà anche il primo premier a dipendere dal partito più a destra del paese, per poter governare.

Si sono sbagliati coloro che, nel giugno 2021, quando Naftali Bennett entrava in carica, avevano proclamato che l’era Netanyahu era ormai un fatto del passato. Hanno sottovalutato la natura instancabile dell’uomo: convinto di essere stato incastrato dal sistema giudiziario, ha continuato a battersi e a protestare senza sosta la propria innocenza. E hanno sopravvalutato l’importanza che il paese avrebbe attribuito al fatto che Netanyahu è sotto processo per corruzione, frode e abuso d’ufficio. Il successo elettorale di Netanyahu nonostante i processi a suo carico rivela una profonda sfiducia nel sistema giudiziario di un’ampia fascia dell’elettorato. Netanyahu è stato anche aiutato dalle difficoltà emerse nelle cause a suo carico rispetto all’ultima volta che il paese si è recato alle urne nel marzo 2021. Nei mesi successivi sono emersi gravi problemi nel modo in cui le autorità hanno condotto le indagini e l’incriminazione. Quella che originariamente veniva presentata dai mass-media quasi come un’accusa schiacciante, negli ultimi mesi è apparsa in tutt’altro modo. Anche questo ha contribuito a riposizionare diversi elettori.

E poi, coloro che avevano dichiarato la fine dell’era Netanyahu hanno sottovalutato il grado in cui il tema della sicurezza personale – o del senso di sicurezza personale – influenza il modo in cui le persone votano in questo paese. Come nel 1988, nel 1996 e nel 2001, una recrudescenza del terrorismo in prossimità delle elezioni ha avuto i suoi effetti. Il terrorismo ha fatto riemergere il senso di insicurezza in molti, che anche per questo si sono decisi a votare per il Likud e per il partito Sionista Religioso di Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir.

Distribuzione dei seggi alla Knesset per partiti politici, con l’87,6% dei voti scrutinati (clicca per ingrandire)

Molta acqua è passata sotto i ponti di Israele dalle elezioni del 1992, quando Yitzhak Rabin sconfisse Yitzhak Shamir. In quelle elezioni Laburisti e Meretz, i due partiti sionisti di sinistra, ottennero in totale 56 seggi. Oggi si prevede che non arrivino a 9 seggi, ammesso che il Meretz riesca a superare il quorum. Altrimenti, neanche 5 seggi.

Cosa è successo in questi ultimi 30 anni? Il tracollo degli accordi di Oslo a causa del mai cessato terrorismo e dell’incapacità dei palestinesi di scendere a compromessi; la seconda intifada (ovvero l’intifada delle stragi suicide); il ritiro da Gaza e le sue disastrose conseguenze.

Le elezioni di martedì sono solo l’ultimo riflesso dello slittamento a destra del corpo politico israeliano: non per durezza di cuore – come sostengono alcuni che sono staccati dalla vita di questo paese – ma per la dura realtà sul terreno. Anche l’ascesa di Ben-Gvir ha le sue radici in questo. Come mai Ben-Gvir, che nel 2020 aveva ottenuto 19.402 voti, nel 2022 ne ha presi centinaia di migliaia? Perché in due anni un sacco di israeliani sono improvvisamente diventati razzisti? No. E’ per le violenze scoppiate nelle città miste proprio mentre sugli israeliani cadevano i razzi di Hamas nel maggio 2021; è per il clima di illegalità che imperversa in certe aree del sud del paese; è per il terrorismo, per la paura che provano centinaia di migliaia di israeliani quando semplicemente percorrono le strade di Giudea e Samaria; è per il desiderio (non importa quanto illusorio) che qualcuno “faccia il duro” e “rimetta ordine”.

I risultati di martedì richiederanno un bell’esame di coscienza nel blocco anti-Netanyahu. Il termine stesso “blocco anti-Netanyahu” è più esatto del termine “blocco di centro-sinistra” giacché molti in quel blocco, per quanto riguarda le questioni di sicurezza e difesa, sono su posizioni di destra almeno quanto lo stesso Netanyahu. Perché hanno perso? Come mai il loro messaggio contro Netanyahu non è riuscito a convincere metà del paese? Come mai così tanti sono disposti a votare per coloro che sono stati definiti “le forze delle tenebre” anziché per coloro che si percepiscono come illuminati? Perché la maggioranza del paese non ha dato ascolto all’iperbolico allarme che il voto per Netanyahu e per la destra sarebbe stato un voto per la fine della magistratura, della ragione, della decenza e della stessa democrazia? Hanno sentito l’ammonimento di Ram Ben Barak che i nazisti sono saliti al potere con mezzi democratici e sono rimasti allibiti.

L’attuale ciclo elettorale è iniziato nell’aprile 2019 e allora, ancor più che in quest’ultima campagna elettorale, il problema era Netanyahu. All’epoca il blocco anti-Netanyahu si batteva contro un governo Netanyahu che faceva affidamento sul moderato Moshe Kahlon. Dopo quarantaquattro mesi e cinque elezioni, cosa ottiene il blocco anti-Netanyahu? Ancora Netanyahu, ma con un governo che probabilmente farà affidamento su Smotrich e Ben-Gvir. Difficile credere che qualcuno di loro possa onestamente dire “ottimo lavoro”.

(Da: Jerusalem Post, 1.11.22)

Sergio Della Pergola

Sergio Della Pergola: “Anche in Israele vince il populismo. Bisogna ringraziare l’intransigenza dei palestinesi e la frammentazione della sinistra sionista se oggi Israele è uno stato completamente diverso dai tempi di Ben Gurion”

“I risultati delle elezioni in Israele si inseriscono in un movimento transnazionale di cui fanno parte l’Italia, la Francia, l’Inghilterra, la Svezia, gli Stati Uniti così come il Brasile, pur con il suo sorprendete risultato in senso contrario. Questo movimento convoglia al suo interno e fa risorgere nazionalismo, populismo, sciovinismo e revanscismo”. È un fenomeno globale – spiega a Pagine Ebraiche l’illustre demografo Sergio Della Pergola – che in Israele ha avuto in queste ultime elezioni una sua traduzione secondo le caratteristiche del paese. In particolare con l’affermazione dell’estrema destra di Sionismo Religioso, parte della coalizione che a spoglio quasi completato appare vincitrice ed è guidata da Benjamin Netanyahu. “Il voto è il voto e il risultato è innegabile. C’è stata un’affluenza molto alta, tra le più alte dell’ultimo ventennio, e queste persone, che prima avevano disertato i seggi, erano evidentemente schierate, e in modo netto, con il Likud e con i partiti religiosi”.

Il risultato elettorale, evidenzia Della Pergola, premia chi come Netanyahu ha saputo gestire con abilità una legge elettorale che spinge alla frammentazione, ricucendo le fila della propria coalizione ed evitando la dispersione di voti. “Netanyahu è il migliore uomo politico che ci sia in Israele. Non c’è il minimo dubbio su questo, e gli altri sono fallimentari”. Il riferimento si fa poi esplicito ai Laburisti e al Meretz, che non hanno fatto un accordo per presentarsi insieme e ora il secondo rischia di non entrare neanche alla Knesset. “Chi è causa del suo male… Anche i partiti arabi hanno condiviso questa idiozia. Si sono scissi a suo tempo in due e poi in tre, e così uno dei tre ora non passa la soglia di sbarramento. In questo caso dico per fortuna – aggiunge Della Pergola – perché Balad (il partito che rimarrebbe fuori) è francamente anti-israeliano e assolutamente contrario all’esistenza dello stato di Israele. Meglio quindi che rimanga fuori”.

Dall’altro lato, guardando a chi è riuscito a entrare nella Knesset, Della Pergola vede la rappresentazione di un paese che non riconosce. “Israele oggi è uno stato completamente diverso dai tempi di Ben Gurion”, afferma il demografo che nel corso della sua carriera è stato anche consulente strategico del premier Ariel Sharon. “Oggi in Israele ci sono forze che si possono identificare con i movimenti fascisti che esistono in altri paesi – afferma – E a chi dobbiamo questo dono? In gran parte ai palestinesi e al fatto che non hanno mai voluto impostare una chiara posizione di dialogo, di colloquio, di coesistenza. Il loro terrorismo ha chiaramente allontanato i pacifisti. Purtroppo poi si è creata una perversa alleanza fra terroristi palestinesi e fondamentalisti ebrei israeliani, che ha funzionato egregiamente in passato ed è accaduto anche questa volta”. Della Pergola ricorda in particolare il passato kahanista di Itamar Ben Gvir e il suo noto gesto contro Itzhak Rabin quando strappò lo stemma della Cadillac dell’allora premier israeliano. “Siamo arrivati alla sua auto, arriveremo anche a lui” annunciò alle televisioni un Ben Gvir allora ventenne. Quasi trent’anni dopo “queste persone sono al governo. Vedremo come si comporteranno. Ma penso che il loro estremismo, di Ben Gvir e Bezalel Smotrich è tale che potrebbe mettere in difficoltà Netanyahu”.
(Da: moked.it, 2.11.22)