Netanyahu e l’iniziativa di pace araba “da aggiornare”

La sfida per Netanyahu, nella sua nuova apertura verso il piano arabo, non è convincere Liberman, ma la Lega Araba

Di Herb Keinon

Herb Keinon, autore di questo articolo

Herb Keinon, autore di questo articolo

C’è chi ha visto la dichiarazione di Benjamin Netanyahu di lunedì sera, circa la sua disponibilità a negoziare sulla base dell’iniziativa di pace araba (saudita) del 2002, come una cosa del tutto insignificante perché già detta in passato. Altri invece, soprattutto negli ambienti più vicini al primo ministro, l’hanno vista come il preludio di un nuovo impulso verso la pace. La verità? Sta da qualche parte a metà strada.

E’ vero che in passato Netanyahu aveva già aperto all’iniziativa di pace araba. Lo fece subito dopo il suo insediamento, nel 2009, quando disse, durante un ricevimento a casa dell’ambasciatore egiziano a Herzliya, che Israele “ha apprezzato gli sforzi degli stati arabi per avanzare un’iniziativa di pace, e se queste proposte non sono immodificabili, allora credo che il loro spirito possa creare un’atmosfera che renda possibile una pace complessiva”. In quell’occasione Netanyahu sottolineò che lo spirito di riconciliazione presente nell’iniziativa araba costituisce un cambiamento importante rispetto allo spirito di Khartoum: un riferimento al summit dei capi di stato arabi, subito dopo la guerra dei sei giorni, che disse esplicitamente “no alla pace, no al riconoscimento, no ai negoziati con Israele”.

Quindi, no: quello che Netanyahu ha detto la sera di lunedì scorso – che il piano arabo “contiene elementi positivi che possono contribuire a rilanciare negoziati costruttivi con i palestinesi” – non è una rottura rivoluzionaria rispetto alle sue posizioni del passato. Ha aggiunto, infatti: “Siamo pronti a negoziare con gli stati arabi un aggiornamento dell’iniziativa che rifletta i drammatici cambiamenti che si sono verificati nella nostra regione dopo il 2002, pur mantenendo l’obiettivo concordato di due stati per due popoli”.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (a destra) con il neo ministro della difesa Avigdor Lieberman alla conferenza stampa di lunedì scorso

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (a destra) con il neo ministro della difesa Avigdor Lieberman alla conferenza stampa di lunedì scorso

Ma la reiterazione di quello che aveva già detto sette anni fa non è priva di significato, perché in passato egli aveva respinto il piano in se stesso come una reliquia di un’altra epoca. Ad esempio, in un intervista al Jerusalem Post del settembre 2014, alla domanda se oggi fosse disposto ad accettare l’iniziativa saudita, Netanyahu rispose: “La questione non è l’iniziativa di pace saudita. Se la si legge con attenzione, si vede che è stata concepita in un altro periodo: prima dell’ascesa di Hamas e della sua presa del potere nella striscia di Gaza; prima che l’ISIS si impadronisse di intere regioni della Siria e dell’Iraq portando in pratica allo smantellamento di quei due paesi; prima dell’accelerazione del programma nucleare iraniano; prima che forze legate ad al-Qaeda prendessero piede sulle alture del Golan siriane”. Incalzato sul fatto se reputasse il piano ormai irrilevante, disse: “Quello che è rilevante, a mio avviso, è il fatto che c’è un nuovo riconoscimento fra i principali paesi del Medio Oriente del fatto che Israele non è il loro nemico mortale, per non dire di peggio, ma è anzi un potenziale alleato per affrontare le sfide comuni. Ciò che vale la pena esplorare e se siamo in grado di tradurre quel riconoscimento di un nuovo orizzonte politico in una proposta di pace realistica, ripeto: una proposta di pace realistica. A questo punto non credo che si possa dire di più”.

Quello che era allora interessante, circa la posizione di Netanyahu sulla questione, era che sembrava formulata nello sforzo di prendere un po’ le distanze dall’allora ministro degli esteri israeliano, Avigdor Lieberman, che qualche settimana prima aveva fatto notizia dicendo al Jerusalem Post che l’iniziativa araba poteva rappresentare una “base” per costruire relazioni fra Israele e mondo arabo a patto che non contenesse alcun riferimento al presunto “diritto al ritorno” dei profughi palestinesi. “Ritengo che l’iniziativa saudita sia molto più importante oggi di quanto fosse in precedenza” aveva detto Lieberman, sottolineando che l’idea centrale dietro all’iniziativa non era solo un accordo tra Israele e palestinesi, ma anche un accordo con l’intero mondo arabo.

Oggi, dopo che ha ufficialmente aggregato Liberman al suo governo per il disappunto e l’ansia di gran parte del mondo che ora vede il governo israeliano come pericolosamente di destra, bisognava aspettarsi che Netanyahu avrebbe subito fatto dei passi, almeno con le dichiarazioni, per cercare di alleviare queste preoccupazioni. Aprendo ad una iniziativa di pace araba “aggiornata” – quell’iniziativa che in passato aveva già accettato nello spirito, ma respinto nella lettera come obsoleta – ha cercato di fare proprio questo. E facendolo a fianco di un Liberman che approvava i suoi commenti, può darsi che abbia anche voluto presentare Liberman come una figura molto meno intransigente di quella che il mondo percepisce. Ma anche per Liberman non si trattava di una nuova concessione: come si è detto, aveva già fatto queste osservazioni in passato.

“…e in cambio delle terre occupate, io ammaestrerò tutti questi gatti a riconoscerti”

L’iniziativa saudita del 2002, poi sottoscritta dai 22 paesi della Lega Araba, prevedeva il completo ritiro israeliano sulle linee del ’67, comprese le alture del Golan e Gerusalemme est, nonché una soluzione “giusta” del problema dei profughi palestinesi basata sulla risoluzione 194 (quella che per gli arabi sancisce il “diritto al ritorno”), in cambio della normalizzazione dei rapporti fra paesi arabi e Israele. Solo undici anni più tardi, nel 2013, una delegazione della Lega Araba in visita a Washington disse che si potevano accettare degli scambi di territori “minori” rispetto alle linee del ’67, che è poi l’ipotesi sulla base della quale le parti hanno negoziato sin dai tempi di Camp David 2000. La posizione di Israele è che è disposto a negoziare con gli stati arabi sulla base di questa iniziativa, purché essa non venga presentata come una formula prendere-o-lasciare.

La vera sfida per Netanyahu, nella sua rinnovata apertura verso il piano arabo, non è convincere Liberman. La sfida è quella di convincere la Lega Araba che sono necessarie sostanziali modifiche al piano, e finora non hanno dato nessuna indicazione pubblica né ufficiale della volontà di farlo.

(Da: Jerusalem Post, 1.6.16)