Netanyahu: “Se Hamas ha un po’ di cervello fermerà le violenze: subito”
Abu Mazen silura ogni iniziativa di mediazione, Hamas minaccia “migliaia di martiri”. E un soldato israeliano scrive: sogno la pace, ma finché non lo fanno i nostri vicini devo difendere il mio popolo dal massacro che la fine dello stato di Israele comporterebbe
Se Hamas non fermerà i suoi violenti attacchi contro Israele, allora ci penserà Israele a fermarli con azioni molto energiche. Lo ha detto il primo ministro Benjamin Netanyahu aprendo domenica la riunione settimanale del governo israeliano. “Evidentemente Hamas non ha recepito il messaggio – ha aggiunto Netanyahu – Siamo molto vicini a un diverso tipo di intervento, che includerebbe colpi molto duri. Se Hamas ha un po’ di cervello, fermerà rivolte violente. Subito”.
Dal canto suo, il gruppo terroristico Hamas ha minacciato di mandare “decine di migliaia” di abitanti di Gaza contro i confini se l’Autorità Palestinese di Abu Mazen imporrà nuove sanzioni. Secondo fonti non identificate di Hamas, citate domenica dal quotidiano pan-arabo al-Hayat, membri del gruppo islamista che controlla Gaza hanno detto a funzionari egiziani che “decine di migliaia di palestinesi potrebbero scagliarsi contro i confini con l’Egitto e con l’Occupazione [leggi: Israele]” con l’obiettivo di sopraffare le forze israeliane ed egiziane, e “probabilmente cadranno migliaia di martiri”.
Hamas tiene in ostaggio gli abitanti di Gaza per conto dell’Iran, ha affermato il ministro della difesa israeliano Avigdor Liberman in un post in arabo pubblicato domenica su Facebook. “A voi residenti di Gaza, chiedo di agire contro la dirigenza estremista che vi ha preso in ostaggio al servizio degli ayatollah iraniani” ha scritto Liberman su “el-Munasek”, la pagina Facebook in lingua araba gestita dal Coordinatore per le attività governative nei Territori, Kamil Abu Rukun. Liberman ha spiegato d’aver fermato il trasferimento di carburante nella striscia di Gaza come risposta diretta alle violenze scatenate da Hamas contro Israele venerdì scorso. “Lo stato di Israele – ha scritto Liberman – era pronto a migliorare la vita civile nella striscia di Gaza, ma la decisione della dirigenza di Hamas di fare ricorso a gravi violenze, e proprio nello stesso giorno in cui autocisterne di gasolio entravano a Gaza, è ciò che ha determinato la decisione di interrompere la fornitura. L’intera responsabilità per il deterioramento della situazione umanitaria nella striscia di Gaza ricade su Hamas e solo su Hamas”.
(Da: Times of Israel, Jerusalem Post, 14.10.18)
Scrive Yoav Limor: Le probabilità di successo dei tentativi di mediazione in corso non sono alte. Hamas non ha nulla da perdere, e Israele è stanco di farsi prendere in giro. Nelle ultime settimane erano stati fatti enormi sforzi per migliorare la situazione umanitaria a Gaza: era stato fornito il combustibile per aumentare la produzione di elettricità, erano state reperite donazioni per garantire il pagamento degli stipendi. Dopo che il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha silurato ogni iniziativa e ogni proposta, il Qatar era intervenuto per pagare il carburante e by-passare il veto di Abu Mazen. L’ingresso a Gaza del primo carico di carburante è stato autorizzato martedì, altri ne sono seguiti giovedì e venerdì nonostante gli ordigni incendiari che continuavano ad attraversare il confine nella direzione opposta. Ma venerdì scorso Israele ne ha avuto abbastanza. Il picco di violenze lungo il confine, e in particolare l’esplosione nei pressi del campo di Bureij con il tentativo di irruzione in territorio israeliano di venti terroristi di Hamas, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Le indagini hanno dimostrato che la reazione dei soldati israeliani (che hanno sparato colpi di avvertimento mettendo in fuga diversi infiltrati, e hanno poi mortalmente colpito i tre che avevano continuato ad avanzare fino a pochi metri dai soldati), è stata controllata e precisa. (Come ha scritto Yossi Yehoshua su Yedioth Ahronoth, “venti terroristi che sfondano il confine mostrano il livello dell’azzardo palestinese: un fatto del genere avrebbe potuto finire con un israeliano sequestrato come ostaggio o con l’irruzione in una comunità israeliana prossima al confine, cose che avrebbero costretto l’esercito e lo stato di Israele a lanciare una controffensiva molto più ampia”.)
Ora entrambe le parti sono tornate al punto di partenza. Israele ha detto che non permetterà rifornimenti di carburante nella striscia di Gaza finché continuano le violenze, e Hamas cercherà di provocare nuovi attriti finché non avrà risolto i suoi problemi con l’Autorità Palestinese di Abu Mazen. Una situazione del genere è infiammabile per natura e può trascinare le parti sulla strada di una escalation non voluta. Adesso tutta una serie di mediatori tenterà di allentare le tensioni: l’inviato delle Nazioni Unite per il Medio Oriente Nickolay Mladenov, il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel che era già in Israele e Gaza la scorsa settimana, gli emissari del Qatar che vanno e vengono, oltre a vari funzionari americani ed europei. Alcuni di loro andranno anche a Ramallah per cercare di persuadere Abu Mazen a dare una mano. Le probabilità di successo su questo versante sono prossime a zero: il presidente dell’Autorità Palestinese vuole strangolare Gaza, e certamente non verserebbe una sola lacrima se le conseguenze dovessero ricadere su Israele. Quand’anche alla fine venisse trovata una soluzione, probabilmente sarebbe limitata e fragile. Ergo: le tensioni sul fronte sud d’Israele sono destinate a continuare, settimana dopo settimana, forse per molto più tempo.
(Da: Israel HaYom, 14.10.18)
Scrive Daniel Siryoti: Il ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman ha annunciato l’interruzione delle forniture di carburante e gas alla striscia di Gaza: “Finché le violenze sul confine di Gaza non si fermeranno completamente – ha dichiarato Lieberman – compresi i lanci di aerostati incendiari e i falò di pneumatici a ridosso delle comunità civili israeliane vicine al confine, Israele non rifornirà carburante e gas alla striscia di Gaza “. I capi di Hamas affermano invece ogni giorno che le “marce del ritorno cesseranno solo quando sarà tolto l’assedio su Gaza” specificando, come ha fatto sabato il capo del politburo di Hamas Ismail Haniyeh, che “non accettiamo soluzioni parziali”.
I capi di Hamas e dell’Autorità Palestinese, così come molti altri in tutto il mondo, sostengono che le misure di sicurezza attuate da Israele ed Egitto contro il regime di Hamas a Gaza costituiscono un “assedio” che fa di Gaza “la più grande prigione del mondo”. In realtà, il cosiddetto assedio israelo-egiziano su Gaza non è affatto la causa della crisi umanitaria nella striscia. Lo provano i fatti, da cui risulta che non sono in vigore nessun “assedio” né “blocco”, ma solo una serie di limitazioni alle importazioni, rese necessarie dal momento che Gaza e la sua popolazione sono sotto il controllo di una organizzazione terroristica islamista che vi ha preso il potere con un sanguinoso colpo di stato nel giugno 2007, durante il quale ha giustiziato o espulso tutti i capi di Fatah e le loro famiglie.
Dopo quel golpe, il regime di Hamas annunciò l’annullamento di tutti gli accordi sulla sicurezza che erano stati sottoscritti tra Israele e Autorità Palestinese. Di conseguenza, il governo israeliano dichiarò Gaza “territorio ostile” e impose delle limitazioni importanti sui passaggi di merci e persone da e per la striscia. Tuttavia, nonostante Gaza si fosse trasformata in “territorio ostile”, nonostante l’incessante attività terroristica condotta da Gaza e nonostante i ricorrenti conflitti armati con Hamas, Israele si è sempre preoccupato di permettere il passaggio ogni giorno di decine di camion di merci e carburante.
Nel frattempo, anche gli egiziani assumevano un ruolo nel presunto “assedio”. Fino agli eventi del 2011 e alle rivolte in Egitto che destituirono il presidente Hosni Mubarak e, poi, il presidente eletto dalla Fratellanza Musulmana Mohammad Morsi, l’Egitto permetteva un passaggio controllato di merci e persone attraverso il valico di Rafah. Ma con il moltiplicarsi, fra Gaza ed Egitto, dei tunnel palestinesi per traffici di armi, terroristi e merci di contrabbando, e con il rafforzarsi di sanguinari gruppi jihadisti nel Sinai egiziano (per non parlare dell’incidente del 2008 in cui operativi delle Brigate di Izzedine al-Qassam di Hamas sfondarono la barriera di Rafah e centinaia di migliaia di persone si riversarono in Egitto), il Cairo decise infine di chiudere totalmente il valico di Rafah.
In effetti, dal gennaio 2011 è Israele quello che permette l’ingresso a Gaza di centinaia di camion ogni giorno: camion che trasportano ogni tipo di merci, ad eccezione di quei beni e quei materiali da costruzione che sono “a doppio uso”, come certi tipi di fertilizzanti che possono essere usati per fabbricare esplosivi. Israele permette anche scambi commerciali tra Gaza e Cisgiordania, così come le esportazioni di vari articoli da Gaza verso Israele e altri paesi. Resta in vigore il divieto all’ingresso i Israele degli abitanti di Gaza (ricordiamolo: un “territorio ostile”), ad eccezione dei casi umanitari specificamente approvati. Va notato che l’unico valico costantemente aperto al passaggio delle merci è quello di Kerem Shalom fra Israele e Gaza, ora che il valico di Rafah fra Gaza ed Egitto viene aperto dagli egiziani solo di tanto in tanto. Dove sarebbe, dunque, il terribile assedio israeliani di Gaza?
(Da: Israel HaYom, 14.10.18)
Scrive il soldato israeliano Benjamin Jaffe: Ogni venerdì mi piovono addosso dal cielo granate e ordigni incendiari lanciati da quelli che molti mass-media definiscono manifestanti oppressi e disarmati. E ci fischiano sopra la testa le pallottole sparate dall’altra parte della barriera di confine. A peggiorare le cose, ci è quasi impossibile difenderci e reagire perché quei terroristi vigliacchi mandano avanti i loro figli verso la recinzione, e oscurano la visuale col fumo nero dei falò di pneumatici sfidandoci a sparare. Se apriamo il fuoco, corriamo il rischio di colpire quei ragazzini involontariamente: un’atrocità che nessun soldato sano di mente vorrebbe commettere. Se non spariamo, il messaggio che arriva è che il loro uso dei bambini come scudi umani funziona, e continueranno a farlo. Per loro, una “vittoria” in ogni caso.
Praticamente ogni giorno le comunità civili alle mie spalle vengono colpite da incendi dolosi appiccati da aerostati incendiari che mettono in pericolo decine di migliaia di civili innocenti, distruggono la flora e fauna e mandano in cenere la nostra agricoltura.
Poi, quando torno a casa nel fine settimana, scopro che ci sono mass-media e ong, anche in Israele, che mi chiamano criminale di guerra, e mi accusano di cose che fanno sembrare santi alcuni dei peggiori dittatori della storia. Agli occhi di questi “pacifisti” europei e americani, io sono un killer di bambini, un sionista assetato di sangue e dal grilletto facile che si sveglia al mattino tutto eccitato all’idea di poter trucidare palestinesi. Sono bollato come reo d’aver commesso le stesse atrocità commesse da Adolf Hitler contro il popolo ebraico. Dicono che la terra che difendo, la stessa in cui il popolo ebraico è sempre stato presente per migliaia di anni, sarebbe terra rubata. La loro visione del conflitto si riduce a un semplicistico mix di ciò che hanno orecchiato da qualche tv o sito internet. Se solo vedessero con i propri occhi cosa succede su questo confine, le loro opinioni sarebbero molto diverse.
Non sanno che sono nauseato da questi combattimenti ben più di quanto lo siano loro. Questo conflitto va avanti da un secolo: un secolo di troppo. Prego ogni mattina di svegliarmi e vedere la notizia che i miei vicini palestinesi la pensano allo stesso modo. Non mi sono arruolato in questo esercito per uccidere. Noi soldati israeliani non siamo le macchine killer senza cervello che molti mass-media ci fanno sembrare. Presto servizio con alcuni tra i migliori uomini e donne che questo paese ha da offrire, e ognuno di loro mantiene i più alti standard di moralità e integrità, standard che non molte persone su questo pianeta potrebbero eguagliare. Spero che il mio servizio vada avanti senza dover sparare un singolo colpo al di fuori dell’addestramento. È un vero peccato che i nostri vicini a nord, a est e a sud non condividano un’analoga visione di pace e armonia. Ma finché sarà così, il nostro sogno di pace e armonia in una regione afflitta da caos e spargimenti di sangue rimarrà nient’altro che un’utopia.
Nonostante tutto rimango fedele alla mia missione, perché milioni di israeliani dipendono da questo. Non importa se persino fra la mia gente c’è chi non capisce. Io non li deluderò, perché farlo significherebbe la fine dello stato di Israele e il massacro dei suoi abitanti. I “pacifisti” possono continuare a calunniarmi e Hamas può continuare a spararmi: io non rinuncerò né mi arrenderò. Sarò fiero di continuare la mia missione. Sono un soldato israeliano e continuerò a schierarmi a difesa del mio popolo, persino se rimanessi da solo. (Da: Times of Israel, 14.10.18)