Nikki Haley: La battaglia contro il pregiudizio anti-israeliano alle Nazioni Unite è la vera battaglia per la pace

L’ambasciatrice americana all’Onu condanna il “bullismo” di cui Israele è vittima da troppo tempo al Palazzo di Vetro

Di Nikki Haley

L’ambasciatrice Usa all’Onu, Nikki Haley, durante il suo intervento del 5 marzo al convegno di AIPAC

Sono onorata di poter dire che quando vengo qui ad AIPAC [American Israel Public Affairs Committee] sono fra amici. Sapete, talvolta alle Nazioni Unite non abbiamo attorno molti amici. Ricordo l’anno scorso quando abbiamo votato l’opposizione di principio dell’America alla dittatura di Castro a Cuba. Il voto ci è stato contrario: 191 a 2. I due soli voti contro la dittatura – l’avete indovinato – sono stati quelli di Stati Uniti e Israele. Come dico sempre, la qualità è meglio della quantità.

Poco dopo la sua elezione nel 2016, il presidente Donald Trump mi chiese di servire nella sua amministrazione. Ci incontrammo e discutemmo di una serie di questioni. Per farla breve, un paio di giorni dopo la sua squadra mi chiamò e mi disse che Trump avrebbe voluto che fossi l’ambasciatrice alle Nazioni Unite. Risposi che, in quanto governatrice, non sapevo granché di Nazioni Unite. Se ne parlò un po’, ma l’argomento decisivo fu quando dissi al presidente: lei sa che non farò da tappezzeria né da mezzobusto: devo poter dire quello che penso. Senza alcuna esitazione il presidente Trump disse: questo è esattamente quello che voglio che lei faccia. Ed è stato di parola, e penso di esserlo stata anch’io.

Alcuni di voi avranno sentito che recentemente il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat ha voluto darmi un consiglio: mi ha detto di stare zitta. Signor Erekat, io sarò sempre rispettosa, ma non starò mai zitta.

Emergency room dell’Onu. Sul cartello: “Siamo fuori a denunciare Israele”

Ora è più di un anno che sono in questa posizione e ho imparato molte cose su come funzionano le Nazioni Unite. Ma una cosa mi è diventata veramente chiara. E’ importante sapere il più possibile sulle esigenze e gli usi di ogni paese, ma questa non è la parte più importante di questo lavoro. La cosa più importante è non aver paura di attenersi ai propri principi fondamentali, anche quando vanno contro inveterate abitudini. Alcune di queste obsolete abitudini sono andate avanti per anni incontrastate. Uno di questi principi è che prendere posizione per i tuoi amici è cruciale. Solo un mese prima del mio arrivo all’Onu gli Stati Uniti permisero l’approvazione della risoluzione 2334. Fu un giorno ignominioso per l’America. Ci rifiutammo di difendere un nostro amico mentre veniva preso di mira con una tremenda sopraffazione. Nel mio primo giorno alle Nazioni Unite garantii all’ambasciatore d’Israele che durante il mio incarico una cosa del genere non sarebbe mai successa.

Un altro principio che mi ha accompagnato in questo incarico è che non ho nessuna tolleranza per il bullismo. Sono cresciuta nell’unica famiglia di origine indiana che viveva in una piccola città della Carolina del Sud. Complessivamente era una comunità bella e amichevole. Ma questo non significa che ogni giorno sia stato bello. I miei genitori erano immigranti. Mio padre indossava il turbante, mia madre il sari, e non sono mancate occasioni in cui siamo stati vittime di bullismo. Successivamente, da governatrice, avviai un programma anti-bullismo. Ogni mese andavo nelle scuole di tutto lo stato a parlare contro il bullismo. Per me era assolutamente fondamentale. Non te la puoi prendere con qualcuno solo perché appare diverso da te, o perché la pensa diversamente da te. O semplicemente perché te le puoi permettere. E’ un’idea che mi accompagna da quando ero bambina, ma non pensavo certo che mi sarebbe servita alle Nazioni Unite. Invece, salta fuori che il bullismo è pratica comune alle Nazioni Unite. Nel mondo reale Israele è un paese forte, con una vibrante economia e forze armate di prim’ordine. Sul campo di battaglia Israele non è certo una vittima indifesa del bullismo. Chiedetelo a iraniani e siriani. Ma alle Nazioni Unite le cose stanno in modo diverso. All’Onu e nelle varie agenzie delle Nazioni Unite Israele è vittima di bullismo. E lo è perché i paesi che detestano Israele sono abituati a farla sempre franca. Proprio come quando ero una ragazzina in Carolina del Sud, questo semplicemente non mi sta bene.

Le condanne del Consiglio Onu per i diritti umani dalla sua istituzione nel 2006 fino all’agosto 2015, suddivise per paese. Clicca per ingrandire

Come sapete, una delle agenzie dell’Onu con la peggiore storia di pregiudizio anti-israeliano è l’Unesco. Fra tante altre ridicolaggini, l’Unesco vanta la vergognosa singolarità di voler cambiare la storia antica. Di recente l’Unesco ha proclamato uno dei luoghi più santi dell’ebraismo, la Tomba dei Patriarchi, come un sito del patrimonio palestinese bisognoso d’essere protetto da Israele. Era troppo. E così, a dieci mesi dall’inizio di questa amministrazione, gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Unesco.

Ci sono molte altre cose, piccole e grandi, che facciamo settimana dopo settimana per contrastare il bullismo anti-Israele delle Nazioni Unite. Ogni mese il Consiglio di Sicurezza tiene una sessione dedicata al Medio Oriente. E ogni mese questa sessione diventa una seduta dedicata a dare addosso a Israele. E’ una cosa che va avanti da decenni, mese dopo mese. Per me era una novità, quando arrivai all’Onu. Fu veramente scioccante. Alla prima di queste sessioni ho affermato pubblicamente: se vogliamo parlare di sicurezza in Medio Oriente dobbiamo parlare di Iran o di Siria, di Hezbollah o di Hamas o di Isis, o della carestia nello Yemen. Ci saranno almeno dieci grandi problemi che affliggono il Medio Oriente con i quali Israele non ha nulla a che fare. Da allora, ogni singolo mese, nella sessione sul Medio Oriente ho parlato di altre questioni che non riguardano Israele. Non posso dire che abbiamo risolto il problema, ma posso dire che diversi altri paesi hanno seguito il nostro esempio. Quella che era una sessione mensile contro Israele adesso è perlomeno un po’ più equilibrata. Non abbiamo nessuna intenzione di tollerare il bullismo.

C’è un altro principio che mi era chiaro prima di arrivare all’Onu. Come la gran parte degli americani, io sapevo qual è la capitale di Israele. Sapevo che Gerusalemme era, è e sarà sempre la capitale di Israele. Non è una cosa che sia stata prodotta dal posizionamento di un’ambasciata. Non è una cosa che sia stata prodotta da una decisione americana. Non è l’America che ha fatto di Gerusalemme la capitale d’Israele. Quello che ha fatto il presidente Trump, e gliene va dato atto, è riconoscere una realtà che i presidenti americani si erano rifiutati di riconoscere per troppo tempo. Gerusalemme è la capitale d’Israele: è un dato di fatto. Prima o poi verrà il giorno in cui tutto il mondo riconoscerà questo dato di fatto. Si sa che la nostra decisione di aprire l’ambasciata a Gerusalemme ha suscitato un po’ di agitazione alle Nazioni Unite, e sono stata fiera di opporre il veto al Consiglio di Sicurezza quando è stata votata una condanna della nostra decisione. La settimana successiva, la questione di Gerusalemme è stata portata all’Assemblea Generale. In quella votazione siamo stati battuti. Ma per la sorpresa di molti, ben 65 paesi si sono rifiutati di votare contro di noi. Un record, nella lunga storia di sopraffazione all’Onu contro Israele. E noi non dimenticheremo quel voto. Come dissi al momento, durante quel voto ci siamo appuntati i nomi dei paesi. Come i paesi votano all’Onu non può essere l’unico fattore nel decidere la nostra politica di aiuti: abbiamo molti interessi che vanno al di là dell’Onu. Ma certamente deve essere uno dei fattori, e il presidente e io stiamo spingendo in questo senso.

Alcuni ci accusano di favoritismo verso Israele. Innanzitutto, non c’è nulla di sbagliato nel favorire un alleato. E’ proprio questo che significa essere alleati. Ma in realtà il favoritismo, qui, non c’entra niente. In tutto ciò che facciamo, che sia la decisione sull’ambasciata o sull’Unesco, o quello che facciamo circa l’Unrwa – non fatemi nemmeno iniziare a parlare di quest’ultima – il nostro approccio circa Israele è legato a una idea principale: il semplice concetto che Israele deve essere trattato come ogni altro paese normale. Continueremo a esigere che Israele non venga trattato come una sorta di entità provvisoria e temporanea. Non può essere che un solo paese al mondo non può scegliere la sua città capitale. Non può essere che il Consiglio Onu per i diritti umani ha un ordine del giorno fisso su un solo paese. Non può essere che una sola comunità di profughi fra quelle di tutto il mondo sia conteggiata in modo tale che il suo numero continui a crescere all’infinito. Non può essere che un’organizzazione di 193 paesi come le Nazioni Unite impieghi metà del suo tempo ad attaccare un solo paese. Non intendiamo accettare più tutto questo. E questa posizione è una posizione a favore della pace. Il pregiudizio delle Nazioni Unite contro Israele ha minato per lungo tempo la pace alimentando l’illusione che Israele sia destinato semplicemente a scomparire. Ma Israele non è destinato a scomparire. Quando tutto il mondo riconoscerà questo fatto, allora la pace diventerà possibile. Diventerà possibile perché tutte le parti si occuperanno della realtà, e non di fantasie. E quando ci si occupa della realtà, allora i compromessi ragionevoli, frutto del negoziato, possono avere la meglio sulle pretese assolute.

(Da: AIPAC, 5.3.18)