No, signor Presidente, non è vero che lei capisce pienamente le nostre paure

Lettera aperta a Barack Obama – prima parte

Di David Horovitz

David Horovitz, autore di questo articolo

David Horovitz, autore di questo articolo

Nel discutere le riserve degli israeliani circa l’accordo sul nucleare iraniano che lei sta così energicamente promuovendo, signor Presidente, lei ha affermato – nella sua calorosa intervista di una settimana fa all’emittente israeliana Canale 2: “Posso dire al popolo israeliano: capisco le vostre preoccupazioni e capisco le vostre paure”.

Ecco dove sta il punto, signor Presidente. Lei non le capisce realmente, e la sua intervista ne è purtroppo una chiara dimostrazione. Lei non capisce fino in fondo le nostre preoccupazioni e le nostre paure: né per quanto riguarda il regime ideologicamente e territorialmente rapace di Teheran, guidato da un perverso senso di imperio religioso, né per quanto riguarda il conflitto palestinese.

Qui non si intende disdegnare l’appassionata preghiera che ci ha indirizzato in quell’intervista circa il dovere per Israele di preservare i propri “valori fondamentali”: la necessità di tutelare i “valori essenziali” sanciti nella nostra Dichiarazione di Indipendenza, di difendere la nostra democrazia, di salvaguardare la nostra moralità e garantire la speranza di un futuro migliore a noi e ai nostri vicini, in particolare i nostri vicini palestinesi.

La prego di ascoltarmi. Questo non è uno dei soliti attacchi anti-Obama scritti da coloro per i quali Obama non può fare mai niente di giusto. Quelli di noi che si trovano nella complicata terra di mezzo della politica israeliana, e che sono la maggioranza, approvano ogni parola che lei ha detto sulla necessità di risolvere il conflitto con i palestinesi al fine di preservare Israele in quanto democrazia ebraica. Condividiamo le sue preoccupazioni per ciò che diventano quei “giovani palestinesi di Ramallah” cui lei ha fatto riferimento, esacerbati e frustrati dallo status quo. Condividiamo il suo desiderio di puntellare la speranza, che lei ha così vivamente ricordato d’aver ravvisato, quando è stato qui in visita due anni fa, “nei volti dei bambini israeliani e nei volti dei bambini palestinesi”.

Il presidente Usa Barack Obama intervistato dall’emittente israeliana Channel 2 lo scorso 2 giugno

Il presidente Usa Barack Obama intervistato dall’emittente israeliana Channel 2 lo scorso 2 giugno

Ma se ci pensa, signor Presidente, lei sa bene quali sono i nostri sentimenti. Lei sa bene che lo stato ebraico e la sua popolazione non desiderano altro che di vivere in pace e tranquillità accanto ai loro vicini. Dopo tutto, come lei stesso ha sottolineato nell’intervista, l’applauso più grande che ha ricevuto parlando agli studenti israeliani a Gerusalemme è stato quando ha detto: “So che il popolo di Israele ha a cuore quei bambini palestinesi”.

Quello che con tutta evidenza lei non ha pienamente interiorizzato, tuttavia, è la misura in cui noi israeliani del campo di mezzo – i non fanatici, quelli che non vogliono un’unica entità “bi-nazionale” tra il fiume e il mare che metterebbe fine allo stato ebraico – siamo stati bastonati dalla storia recente, e continuiamo ad esserlo dagli eventi che si svolgono intorno a noi.

Lei cerca di rassicurarci che questo accordo con l’Iran è nel nostro interesse, mentre noi sappiamo che l’Iran – che quasi ogni giorno invoca la nostra distruzione – dipingerà qualunque accordo come una vittoria e un successo, e utilizzerà quella presunta vittoria per intensificare gli sforzi contro di noi: con il terrorismo e con le armate al suo servizio in Libano e a Gaza, continuando nel frattempo a fare tutto il possibile per imbrogliare e aprirsi la strada verso la Bomba. Sappiamo che l’accordo consoliderà il cupissimo regime al potere a Teheran, e che sono stati i vostri negoziatori quelli che hanno ammiccato, che non hanno mai veramente costretto il regime a scegliere fra sopravvivenza e programma nucleare quando era disponibile la leva finanziaria per imporre tale scelta.

Lei ci esorta continuamente a riflettere di più sulla condizione dei palestinesi, e a staccarci da una leadership – nella forma apparentemente eterna del primo ministro Benjamin Netanyahu – che sparge politica della paura, e a scegliere piuttosto la strada dell’ottimismo e delle opportunità. Ma Israele ha appena rieletto Netanyahu, ignorando queste sue preghiere, proprio perché l’evidenza del pericolo sopravanza l’evidenza su cui costruire la speranza. Ed ecco il paradosso, signor Presidente: la sua politica e la sua arte oratoria hanno avuto l’effetto contrario.

Nell’intervista si è lamentato dei troppi “filtri” tra lei e il popolo israeliano il quale, per questo, non riceve direttamente il suo messaggio. E lo ha detto, abbastanza paradossalmente, in un’intervista trasmessa parola per parola, in tutte le case israeliane, in prima serata, sul nostro canale televisivo più seguito (l’intervista completa è ancora disponibile on-line). Mi creda, signor Presidente, il problema non sono i messaggeri. Il problema è il suo messaggio, e le sue azioni.

L'aeroporto internazionale Ben-Guirion sarebbe nel raggio di missili anti-aerei "da spalla" SA lanciati dalla Cisgiordania

L’aeroporto internazionale Ben-Gurion sarebbe nel raggio di missili anti-aerei “da spalla” SA-7 Strela lanciati dalla Cisgiordania

Lei ha affermato che cerca sempre “un equilibrio fra politica della speranza e politica della paura”. Ha ammesso che la primavera araba si è trasformata nel disastro della Siria; ha deplorato i sentimenti antisemiti e anti-israeliani nel mondo arabo, ha citato le minacce provenienti da Gaza e dal sud del Libano. E ha detto di non aver “mai suggerito” che non fosse appropriato per Israele “insistere sul fatto che qualsiasi soluzione a due stati debba tenere conto del rischio che quella che oggi sembra essere una tranquilla Autorità Palestinese possa rivelarsi ostile”.

Lei ha detto tutto questo, ma ha veramente raccomandato e sollecitato e agito su queste basi? Ha veramente interiorizzato il fatto che cinque anni fa Israele era sul punto di abbandonare le strategiche alture del Golan per un accordo di pace con Bashar Assad? Come saremmo messi oggi? Totalmente esposti agli spietati sconfinamenti della violenza jihadista attraverso quella frontiera. Ha veramente, sinceramente interiorizzato che Israele ha lasciato il Libano meridionale nel 2000 e la striscia di Gaza nel 2005, tra gli applausi e le rassicurazioni della comunità internazionale, solo per ritrovarsi i malefici eserciti terroristici di Hezbollah e Hamas a colmare quei vuoti sulla nostra porta di casa? Ha veramente, sinceramente, completamente interiorizzato che nel 2007 Hamas ha buttato fuori da Gaza nel giro di poche ore le forze del relativamente moderato Abu Mazen, e che ci sono tutte le ragioni per credere che cercherebbe di fare lo stesso in Cisgiordania se Israele dovesse fare come vuole lei, cioè ritirarsi? Hamas in Cisgiordania paralizzerebbe il nostro intero paese. Un solo razzo di Hamas caduto a un miglio dall’aeroporto internazionale di Tel Aviv, la scorsa estate, ha spinto due terzi delle compagnie internazionali a sospendere per un giorno e mezzo i voli da e per in Israele, comprese tutte le principali compagnie aeree statunitensi. Un solo razzo. Un controllo di Hamas in Cisgiordania porterebbe alla chiusura di tutto il nostro paese.

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“Il suo concetto di soluzione a due stati è – uno stato che non è riconosciuto come stato ebraico – e un secondo stato in cui agli ebrei è proibito vivere – e non capisce come mai Israele rifiuti questa soluzione”

In tutta franchezza, signor Presidente, non so quale delle disposizioni di sicurezza che i suoi “massimi consiglieri militari” stanno formulando potrebbe credibilmente proteggerci dal più che verosimile scenario di una Cisgiordania che cade nelle mani di Hamas. Lei ha affermato di non aspettarsi che Israele “sia ingenuo e presuma che tutto vada per il meglio”. Ma per noi non è un esercizio teorico: appena dieci anni fa venivamo assassinati a centinaia da un’ondata strategica di attentatori suicidi spediti proprio dalle città della Cisgiordania dove avevamo ceduto il controllo quotidiano della sicurezza. Ancora oggi il relativamente moderato Abu Mazen usa le sue televisioni per incitare senza sosta contro Israele, esaltando quegli attentatori suicidi come martiri ed eroi, deridendo come fandonie i nostri millenni di storia in questa terra, mentre i suoi fedelissimi di Fatah usano le pagine di Facebook per incoraggiare il terrorismo contro di noi. Non raccontiamoci storie, signor Presidente: l’Autorità Palestinese promuove con cura e costanza un clima di profonda ostilità verso Israele, non un clima di riconciliazione.

Quando Netanyahu congelò le attività edilizie in tutti gli insediamenti nel 2009-2010, Abu Mazen continuò a tenersi lontano dal tavolo negoziale per ben nove dei dieci mesi di moratoria. Nel 2013, come condizione per partecipare agli sforzi di pace del Segretario Kerry, Abu Mazen chiese che Israele scarcerasse decine fra i più pericolosi orchestratori di attentati terroristici, e Netanyahu acconsentì. Al tavolo dei negoziati, Abu Mazen continuò a insistere che, nel quadro di qualunque futuro accordo per la nascita dello stato palestinese, venisse riconosciuto il “diritto al ritorno” (in Israele) a milioni di discendenti di terza e quarta generazione dei palestinesi che vivevano un tempo in quello che oggi è Israele: perseguendo, cioè, una soluzione a due stati molto diversa da quella che vogliamo tutti noi: la sua posizione prevede uno stato di Palestina in Cisgiordania e Gaza a fianco di uno stato d’Israele anch’esso demograficamente trasformato in una Palestina. Intanto, il relativamente moderato Abu Mazen rimane legato a un ignobile governo “di riconciliazione” con Hamas, l’organizzazione terrorista che controlla la striscia di Gaza e che persegue apertamente la nostra eliminazione.

Sono queste le desolanti realtà che, con nostro grande dispiacere signor Presidente, sovrastano le speranze nella pace, in un futuro migliore e i quell’occasione che cerchiamo disperatamente per garantire che il nostro paese possa mantenere il suo carattere ebraico e democratico. Mi creda, signor Presidente, nessuna famiglia israeliana che manda i figli a combattere a Gaza, nessuna famiglia israeliana che vede Hamas incrementare la gittata dei suoi razzi e la sua capacità di colpire Israele sempre più in profondità, in breve nessuna famiglia israeliana tout-court vuole nient’altro che pace e tranquillità. E la maggior parte degli israeliani approverebbe compromessi territoriali di vasta portata (come ha fatto in passato) in cambio di una credibile garanzia per una pace sostenibile e duratura. E butteremmo giù qualunque governo che non sapesse cogliere una possibilità autentica, realistica di perseguire questi obiettivi. Ma è qui che lei, signor Presidente, sia detto con tutti il rispetto, finora ci ha deluso.

(prima di due parti – continua. Vai alla seconda parte)

(Da: Times of Israel, 3.6.2015)