“Noi musulmani intrappolati nel ruolo di eterne vittime”

“Se, come musulmano, ho visitato senza problemi il Muro Occidentale e tutte le chiese in Israele e in Occidente, perché un ebreo alla Mecca è una insopportabile profanazione?”

Di Abed L. Azab

Il reporter Gil Tamari alla Mecca

Il 18 luglio la tv Canale 13 ha mandato in onda un servizio girato dal reporter israeliano Gil Tamari che è riuscito a entrare e filmare la Mecca nonostante la legge saudita prescriva il divieto assoluto per tutti i non-musulmani di accedere alla città e ai suoi luoghi santi. La visita di Gil Tamari e il suo reportage televisivo hanno suscitato critiche (anche da parte di molti ebrei israeliani) e vivaci proteste. Alcuni giorni dopo, la autorità saudite hanno annunciato l’arresto del cittadino saudita che avrebbe aiutato il reporter a entrare in auto nella città. Via Twitter, Tamari si è “profondamente scusato” dicendo che non intendeva “offendere i musulmani né chiunque altro” e che il suo scopo era solo quello di “mostrare l’importanza della Mecca e la sua bellezza” e “contribuire ad aumentare dialogo e tolleranza religiosa attraverso la conoscenza e la familiarità con la fede di un altro popolo”.

Tra coloro che lo hanno attaccato, l’editorialista araba israeliana Sheren Falah Saab che su Ha’aretz (20.7.22) ha firmato un editoriale intitolato “Incredibile chutzpa [insolenza] israeliana alla Mecca”. Nell’articolo si legge, fra l’altro:

“A Tamari non importa nulla (dei divieti e della sensibilità dei musulmani) quando è a caccia del suo presunto scoop giornalistico. Tamari ha palesemente violato la legge davanti alla telecamera. Ci si può domandare se la città sia davvero contaminata dall’ingresso di un ebreo, ma anche senza entrare nelle sfumature del diritto islamico, il suo è stato un gesto come minimo di evidente insensibilità. Tamari non solo ha sfoggiato insolenza intrufolandosi in un’area proibita e filmando un luogo che tanti preferiscono non venga filmato, ma ha anche ostentato un’aria di superiorità e insensibilità culturale nei confronti dei musulmani. I mass-media stranieri dimostrano sensibilità culturale inviando alla Mecca giornalisti musulmani. Ma agli israeliani tutto è permesso. Se già puoi occupare con la violenza un altro popolo, che problema c’è a infischiarsene della legge saudita davanti alla telecamera?”.

All’articolo di Sheren Falah Saab ha risposto, sempre su Ha’aretz (24.7.22), lo scienziato arabo-israeliano Abed L. Azab con un pezzo intitolato “Noi musulmani siamo intrappolati nel vittimismo”, nel quale si legge, fra l’altro:

Abed L. Azab

“Gil Tamari è andato alla Mecca in qualità di giornalista. E ha fatto un lavoro lodevole. È entrato in una città santa? Ne ha profanato la santità? Che sciocchezza. Prendiamola un po’ alla larga. I lettori arabi e musulmani possono facilmente immaginare il sentimento di cocente offesa che proverebbero se a una donna con il capo coperto dal velo hijab venisse negato l’ingresso in una chiesa italiana. I musulmani urlerebbero allo scandalo e molti invocherebbero vendetta. Sono stato giovane e sono vecchio. Per due volte nella mia vita ho visitato il Muro Occidentale (detto “del pianto”). Ho indossato la kippà di cartone (offerta all’entrata) e nessuno mi ha chiesto chi fossi. Ho visitato tutte le chiese storiche di questo paese e nessuno ha mai controllato chi fossi. Ho tratto grande piacere nel visitare tutti questi luoghi santi (che non sono miei). Semplicemente sono straordinariamente belli.

Quando ho viaggiato nel mondo occidentale ho visitato le sue chiese più belle, tra cui quella di Torino dove è custodito il sudario in cui fu avvolto Gesù dopo la sua crocifissione. Calma, aspettate un momento prima di scattare. Non intendo entrare in polemica con i musulmani che non credono che Gesù sia morto crocifisso, né intendo polemizzare con la comunità scientifica che giustamente afferma (sulla base degli isotopi) che la Sacra Sindone appartiene a un uomo crocifisso 400 anni dopo Gesù. Per inciso, una persona che ha contribuito a rafforzare la convinzione dei fedeli cristiani che quello sia proprio il sudario di Gesù è il prof. Avinoam Danin, uno dei maggiori botanici d’Israele, che ha trovato sul sudario granuli di polline gundelia (una sorta di cardo endemico in Medio Oriente).

Sulla strada per La Mecca, il cartello che proibisce l’ingresso ai non musulmani

Quando mi trovavo negli Stati Uniti, sono stato invitato in un tempio buddista in Virginia dove mi hanno persino rasato la testa. Mi sono sottoposto a una conversione e sono diventato buddista per alcune ore. In tutte queste visite ho profanato i luoghi santi di altri credenti? Che sciocchezza.

Noi arabi in particolare, e musulmani in generale, siamo innamorati del nostro sentimento di eterno vittimismo. Incolpiamo il mondo intero e il nostro prossimo per ogni cosa brutta che ci accade, ma non incolpiamo mai noi stessi, anche se è musulmana la mano che preme il grilletto e uccide la nostra stessa gente. Abbiamo la fissazione di sentirci feriti e oppressi. Ricordate il clamore di proteste scatenato dai musulmani quando il grande cantante cristiano libanese Wadih El Safi cantò “Esci dalla fossa, Giuseppe”? Sì, quella vecchia storia del giovane sognatore gettato in una fossa dai fratelli. I musulmani sostenevano che era stata profanata una pagina del Corano, dimenticando che Giuseppe e la sua storia risalgono a molto prima che esistesse l’islam. Se c’era qualcuno che poteva aver da ridire, erano gli ebrei. Invece l’indignazione dei musulmani fu quasi della stessa portata di quella per le vignette di Maometto pubblicate dalla rivista Charlie Hebdo. Per fortuna, quella volta era finita senza stragi e spargimenti di sangue.”