Non c’è altro posto al mondo né un’altra causa che celebri come “gesta eroiche” le stragi di innocenti

Per capire fino a che livelli è sprofondata la narrativa palestinese nazional-sciovinista, pro-terrorista e fascistoide basta vedere come consideri accettabile ed encomiabile l’assassinio a freddo di chiunque si trovi in Israele, ebrei arabi o ucraini

Di Seth J. Frantzman

Seth J. Frantzman, autore di questo articolo

Non appena ha iniziato a circolare sui social network la notizia di un nuovo attacco terroristico, un buon numero di media e account di social network palestinesi in lingua araba hanno iniziato a festeggiare. Affermavano che erano stati uccisi dei “coloni”. Questo potrebbe lasciare perplessi molti lettori di mass-media occidentali convinti che il termine “coloni” si riferisca agli ebrei che vivono in Cisgiordania. Ma nei mass-media populisti palestinesi e tra i loro utenti di social network, il termine “coloni” si riferisce quasi sempre a tutti coloro che vivono in Israele.  In questo contesto il termine “coloni” va persino al di là del riferimento a ebrei israeliani o ebrei in generale. Si riferisce anche agli stranieri che vivono in Israele e addirittura ai turisti.

Nel caso dell’attentato di Bnei Brak di martedì sera, il termine “coloni” è stato consapevolmente usato per etichettare tutte le vittime uccise in Israele: non solo i due padri di famiglia ebrei e l’agente di polizia arabo cristiano, ma anche i due lavoratori ucraini. Per capire fino a che livelli è sprofondata nel corso dei decenni la narrativa palestinese populista, nazional-sciovinista, pro-terrorista e fascistoide basta vedere come consideri perfettamente accettabile l’assassinio di chiunque si trovi in Israele, che sia ebreo, arabo o ucraino. Questi omicidi a sangue fredde di innocui passanti vengono celebrati in gran parte della Cisgiordania e della striscia di Gaza e dai loro sostenitori all’estero, e i celebranti non fanno nessuna discriminazione: onorano tutte le uccisioni. Non c’è nessun altro posto al mondo, e nessun’altra causa, che celebri come “gesta eroiche” le stragi di innocenti.

Le cinque vittime dall’attentato palestinese di martedì sera a Bnei Barak. Dall’alto a sinistra: l’arabo cristiano Amir Khoury, gli ebrei Avishai Yehezkel e Ya’akov Shalom, gli ucraini Dimitri Mitrik e Victor Sorokopot

I proclami di gruppi terroristici come Hamas e Jihad Islamica Palestinese e delle Brigate Martiri di Al Aqsa di Fatah (a dispetto della riluttante condanna dell’attentato emessa dal loro leader Abu Mazen ndr) sono sotto gli occhi di tutti. Accanto a quei messaggi diramati su media e network palestinesi o filo-palestinesi non compaiono mai controrepliche. Mai nessuno che dica: “Ehi, un momento, c’erano anche sono due ucraini che non c’entrano niente”. Questa è l’immagine più veritiera di quello che è diventato il privilegio di immunità conferito ai crimini d’odio del terrorismo.

Un crimine d’odio che va al di là della nostra nozione di ciò che potrebbe essere definito un crimine “nazionalista”, o anche un crimine antisemita, razziale, religioso o etnico. Qui siamo di fronte a una mentalità, abbracciata da criminali imbottiti di odio e dai loro sostenitori, che si arrogano il “diritto” genocida di uccidere chi gli pare e piace, e di essere per questo celebrati come “eroi”. Assassinare a sangue freddo una persona qualsiasi scelta a caso rientra in questa singolarissima definizione di “eroismo” che è il frutto malato di anni e anni di giustificazione di tali crimini come “resistenza”.

Non si può più nemmeno parlare di un “conflitto” tra due gruppi, due entità o due stati: un tizio che un giorno esce di casa e si mette a sparare alle persone a caso per il solo fatto che si trovano in uno stato che non gli piace e a suo parere non dovrebbe nemmeno esistere, va al di là del concetto di “conflitto”. Non si capisce il motivo per cui tanti si ostinano a indicare questo genere di personaggi come “militanti” di una “milizia”, cosa che implicherebbe un qualche aspetto vagamente “militare” in ciò che fanno. Un tizio armato di mitra che ammazza un essere umano disarmato, seduto a mangiare falafel, non sta compiendo nessun tipo di azione “militare”. Sta commettendo un puro crimine di odio e un crimine contro l’umanità. Quando il Ku Klux Klan linciava delle persone non c’era nessun “conflitto”, nessuna “militanza”. Era pura e semplice criminalità imbevuta di odio. E questo in sostanza è ciò che sta accadendo qui, dal momento che la radicalizzazione ha talmente avvelenato la menti di tanti che si sono assunti il compito di uccidere israeliani o ebrei o chiunque viva in Israele per il solo fatto che sono israeliani o ebrei o vivono in Israele.

Migliaia di persone (molte giunte con pullman partiti dal quartiere ebraico ortodosso Bnei Barak con la scritta “Amir Khoury eroe d’Israele”) hanno partecipato ai funerali dell’agente di polizia Amir Khoury, 32 anni, arabo cristiano, rimasto mortalmente ferito nello scontro a fuoco che ha permesso di fermare il terrorista di martedì sera. La processione, partita dalla Chiesa dell’Annunciazione di Nazaret, si è poi portata nell’adiacente Nof HaGalil, la città di Khoury

Che molti palestinesi sui social network abbiano celebrato anche l’uccisione dei due ucraini mostra a che punto sia depravata questa propensione all’odio e alla sua giustificazione. Il fatto che il termine “martire” si passato a indicare non più chi muore combattendo un esercito, ma chi fa saltare in aria un autobus, o accoltella i passanti, o spara a caso contro israeliani e stranieri, fa parte di questo processo. Un processo che non solo disumanizza le vittime etichettandole tutte come “coloni”, ma conferisce anche il privilegio dell’immunità al criminale nutrito nell’odio, al quale viene detto fin da piccolo che se deciderà di uccidere persone a caso, sarà un eroe. Crescendo, vede quanti “eroi” sono celebrati sui poster appesi nel quartiere o davanti alle scuole, in quanto veri “martiri” anche se il loro “eroico martirio” è stato quello di accoltellare una anonima donna di 78 anni che stava andando a fare la spesa al negozio di alimentari.

Leggiamole, le reazioni su quei social network. Quando si è saputo che due ucraini erano vittime dell’attentato, una lettrice ha pubblicato le loro foto ribadendo che si trattava di una “operazione eroica”. E un uomo ha rincarato: “Nessuno è al sicuro in Palestina, dovranno tornare da dove sono venuti”. Il tutto condito di faccine che sghignazzano per la loro morte ed emoji di applausi con la scritta: “Ovunque siete, la morte vi prenderà”. Non era inconsapevolezza, tanto che alcuni dei commenti in arabo sugli ucraini assassinati fanno riferimento all’ebreo Zelensky ed esaltano Putin, altri hanno sostenuto che i due ucraini erano “immigrati ebrei” insediati nella “Palestina occupata”. La strage di Bnei Barak ha persino un hashtag in arabo – “operazione Bnei Barak” – che  pubblica i cruenti video delle uccisioni e delle vittime ammazzate, decorati con fiorellini e immagini dell’autore del delitto accompagnate da didascalie come: “coraggioso combattente”, “eroe” e “sarà meglio per i sionisti se ne vadano”. E’ gente che pubblica questa roba senza alcuna vergogna, con nome e cognome, e nessuno tra i loro follower che provi mai a replicare o a frenarli.

Questa esaltazione dell’assassinio è un vero culto dell’odio genocida. Non è diverso da quello del Ku Klux Klan o dei nazisti, in cui un’ideologia suprematista si arroga il diritto di uccidere tutti coloro che considera subumani.

(Da: Jerusalem Post, 31.3.22)

Jamal Al-Huwail, esponente di Fatah a Jenin, elogia il terrorista di Bnei Barak: “Ha ristabilito la gloria di Fatah, Hamas, Fplp e Jihad Islamica; la soluzione all’occupazione è l’uso della forza; la gente di Jenin è scesa nelle strade per celebrare gli attacchi a Tel Aviv, Hadera e Beersheva; la bomba nucleare che Israele deve fronteggiare è il popolo palestinese dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo”.
Clicca sull’immagine per il video MEMRI (con sottotitoli in inglese):

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Il Segretario a Jenin del movimento Fatah (che fa capo ad Abu Mazen), al raduno per celebrare l’attentato di Bnei Barak: “L’eroe martirizzato oggi ha ucciso cinque sionisti; era un eroe di Fatah; quando Fatah compie un attacco, è un attacco di qualità”.
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