Non cedere le Fattorie Sheba a Hezbollah

Decisioni Onu cambiate a posteriori per condiscendere i nemici della pace non valgono la carta su cui sono scritte

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_1803Nel maggio 2000, alla vigilia del ritiro unilaterale di Israele dal Libano meridionale, l’Onu eseguì scrupolose misurazioni per stabilire con precisione dove passasse il confine internazionale fra i due paesi. Il confine così stabilito è comunemente noto come Linea Blu.
Scopo dell’operazione era quello di garantire in modo assolutamente certo che Israele si ritirasse senza ombra di dubbio da ogni centimetro di territorio sotto giurisdizione libanese. Alla fine l’Onu proclamò ufficialmente la propria soddisfazione per il fatto che Israele aveva pienamente e incontrovertibilmente abbandonato il territorio del Libano, in conformità alla risoluzione 425 del Consiglio di Sicurezza (Dichiarazione del 18.06.2000). E Beirut accettò formalmente di rispettare la linea del ritiro certificata dall’Onu.
A quanto pare, però, anche la più meticolosa cartografia è mutevole. Quello che pochi anni fa era stato a tutti gli effetti categoricamente affermato sulla scorta dei calcoli più pignoli, non è più definitivo secondo i volubili standard delle Nazioni Unite. Per questo il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon deve ora inviare una nuova squadra di supervisori a riesaminare la situazione nell’area attorno al Monte Dov, ribattezzata da Hezbollah area delle Fattorie Sheba’a. L’unico motivo che spinge a farlo è la pretesa, sostenuta da questa milizia (universalmente considerata un gruppo terrorista), che quel fazzoletto di terra sia territorio sovrano libanese e che pertanto offra un pretesto per la guerra ininterrotta contro Israele, anche dopo il ritiro del 24 maggio 2000.
E così le Nazioni Unite, benché direttamente incaricate in base alla risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza di ridimensionare Hezbollah, di fatto stanno ora incoraggiando il suo leader Hassan Nasrallah, quello che l’anno scorso scatenò la guerra con Israele. E questo nonostante il fatto che Nasrallah sia tuttora in flagrante violazione della richiesta delle Nazioni Unite di restituire i due soldati israeliani presi in ostaggio nel luglio 2006, e continui a rafforzare e riarmare le regioni libanesi al confine con Israele in aperta e spudorata violazione della risoluzione Onu.
La disputa ruota attorno a un pezzo di terra disabitato e di dimensioni non ben definite, al di là del villaggio di Majdal Shams, alle pendici del Monte Hermon. Le posizioni più estremiste di Hezbollah puntano gli occhi su un più esteso segmento del Golan che comprenderebbe lo stesso Monte Hermon e le sorgenti dei torrenti Dan e Banias (a loro volta fonti del fiume Giordano).
L’unico fatto certo circa la vaga designazione delle fattorie Sheba’a è che fanno parte del Golan, il quale fino alla guerra del sei giorni del giugno 1967 era sotto controllo siriano, e il fatto che figuravano nell’Accordo israelo-siriano del 1974 per la separazione delle forze.
La comunità internazionale non ha mai riconosciuto l’estensione della legislazione israeliana al Golan approvata da Gerusalemme nel 1981, ma non ha mai nemmeno considerato il Golan e le Fattorie Sheba’a come parte del Libano. Solo ora, sotto la pressione di Beirut che a sua volta è sotto la pressione di Hezbollah, Ban Ki-Moon accarezza l’idea libanese di alterare lo status del territorio in questione.
La preoccupazione che ciò suscita in Israele è ampiamente giustificata.
Innanzitutto il Monte Dov, che domina direttamente tutti gli accessi alle postazioni israeliane sul Monte Hermon e offre un accesso alternativo ad esse, è vitale per preservare le posizioni israeliane su quel fronte. Senza il controllo sul Monte Dov, Israele non solo verrebbe privato della possibilità di tenere sott’occhio quello che succede nel Libano meridionale, ma dovrebbe anche fronteggiare una realtà in cui la salita al Monte Hermon sarebbe alla mercé dei capricci di chiunque subentrasse.
Forse ancor più importante di queste considerazioni di carattere militare, tuttavia, è la questione di principio. Cedere a Beirut una porzione di territorio che non ha mai fatto parte della sovranità libanese equivarrebbe ad una capitolazione di fronte alle pretese di Hezbollah e un premio al suo atteggiamento aggressivo. Costituirebbe anche un pericoloso precedente, giacché nulla impedirebbe poi a Hezbollah di continuare la sua belligeranza contro Israele pretendendo, ad esempio, sette villaggi sciiti abbandonati nella Galilea israeliana.
Naturalmente Israele non si aspetta che l’Onu tenga conto delle sue autentiche preoccupazioni per la sicurezza. La tradizionale ostilità dell’Onu in questo campo parla da sé. Ma è particolarmente esasperante il fatto che l’Onu possa prendere in seria considerazione una resa ignominiosa alle provocazioni di un’organizzazione terroristica che poco tempo fa ha scatenato una guerra sanguinosa, e questo dopo che la stessa Onu non ha saputo far rispettare la sua propria risoluzione, disarmandola.
Ma anche la presa in giro che l’Onu fa dei propri impegni sembrerebbe poca cosa se dovesse arrivare al punto di rivedere le mappe che essa stessa ha delineato e modificare le linee di demarcazione che essa stessa ha meticolosamente stabilito, piegandosi alla volontà di una delle più aggressive e intransigenti organizzazioni terroristiche.
Per dirla tutta, un tale voltafaccia priverebbe di ogni valore le decisioni delle Nazioni Unite. Giacché decisioni che possono essere retroattivamente cambiate per condiscendere i nemici implacabili della pace evidentemente non valgono nemmeno la carta, teoricamente al servizio della pace, su cui sono scritte.

(Da: Jerusalem Post, 21.08.07)

“Se andranno via da Sheba’a, noi non smetteremo per questo di combatterli. Il nostro obiettivo è liberare tutta la Palestina del ’48. Gli ebrei, che se ne vadano in Germania o da dove sono venuti”. Hassan Ezzedin, portavoce di Hezbollah, New Yorker, 14.10.2002.

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