Non dimentichiamo l’atomica siriana

È tempo che la comunità internazionale adotti una politica più assertiva

di Bennett Ramberg

image_2641I rinnovati sforzi internazionali per mettere sotto controllo il programma atomico iraniano hanno messo in ombra un’altra minaccia nucleare irrisolta in Medio Oriente: quella della Siria. L’incapacità dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) di far rivelare a Damasco la storia del suo reattore nucleare segreto con annessi e connessi suscita inquietanti interrogativi non solo sulle intenzioni nucleari del regime di Assad ma, più sostanzialmente, sulla capacità dell’AIEA di esercitare un effettivo controllo. A meno che la Siria non fornisca un resoconto completo, il suo riuscito ostruzionismo non farà che indebolire ulteriormente i tentativi internazionali di frenare la proliferazione.
La consapevolezza internazionale che la Siria pone una minaccia nucleare è emersa solo nel settembre 2007 quando si ritiene che aerei israeliani abbiano distrutto un impianto nucleare in costruzione in una remota regione desertica nel nord-est del paese. L’attacco generò reazioni singolarmente smorzate da parte di Damasco e Gerusalemme, ma a Vienna la AIEA condannò il raid sostenendo che Israele avrebbe dovuto informare l’agenzia dell’installazione siriana. La riluttanza di Israele rispecchia il diffuso e crescente disagio per il fatto che la AIEA è diventata uno strumento vuoto quando si tratta di stanare i truffatori nucleari, e farli recedere una volta scoperti. Risultato: Gerusalemme, non potendosi permettere le esitazioni internazionali, a quanto pare ha deciso di fare da sé.
Le riunioni del settembre 2009 del Board of Governors, composto da 35 nazioni, e della Conferenza Generale – il conclave annuale di tutti i membri dell’AIEA – hanno confermato una crescente preoccupazione per la proliferazione nucleare in Medio Oriente; ma si sono focalizzati quasi solo su Israele e sul fatto che abbandoni il suo programma. La Conferenza Generale ha solo deplorato con molto garbo Siria e Iran, chiedendo a entrambe di “cooperare pienamente con la AIEA nel quadro dei loro rispettivi impegni”. La dichiarazione riflette la strategia delle “lusinghe” – in pratica: ripetute richieste ai trasgressori nucleari di garantire trasparenza ed eliminare i traffici – che è diventata il marchio di fabbrica dell’agenzia quando si tratta di richiamare all’ordine i violatori. Questo approccio tende ad aumentare builds on la speranza che ben calibrati inviti a una maggiore apertura possano spingere i trasgressori a sentirsi meglio svelandosi. Ma troppo spesso la risposta è di tutt’altro segno. I violatori gettando qualche briciola, cui fanno seguito ulteriori preghiere da parte dell’agenzia. Il balletto si ripete, ma non arriva mai a una soddisfacente conclusione nel senso della non-proliferazione.
La cosa è ben illustrata dal caso dell’Iran. La strategia delle lusinghe ha scoraggiato il regime rivoluzionario dall’abbandonare il trattato di non-proliferazione, impastoiandolo nel frattempo nel sistema di protezioni sui siti nucleari esplicitamente dichiarati. La politica della lusinghe ha anche permesso l’accesso degli ispettori AIEA a siti altrimenti indisponibili alle ispezioni, ma non ha mai permesso una trasparenza nucleare “esauriente”. È la stessa politica che ha anche permesso a Teheran di guadagnare tempo nel suo sforzo di dotarsi di una capacità offensiva con armi nucleari.
Evidentemente la Siria ha imparato molto dall’esperienza dell’Iran, giacché respinge la richiesta dell’agenzia di spiegare compiutamente la sua impresa nucleare. Questo comportamento rivela come mai la politica delle lusinghe, che guadagna tempo, spreca il tempo utile per promuovere imputabilità.
La Siria, che è entrata nel Trattato di Non-Proliferazione nel 1968, ha applicato le tutele a un piccolo reattore di ricerca, a Damasco, nel 1992. L’accordo richiedeva che la Siria informasse l’AIEA di qualunque installazione nucleare pianificata. Il presunto raid israeliano ha rivelato chiaramente che il regime di Assad non l’ha fatto. In una cronologia fornita da Washington otto mesi dopo, gli autori facevano risalire le origini del reattore di Dair Alzour ad una iniziativa di collaborazione con la Corea del Nord avviata nel 2001. Operativi israeliani hanno confermato il potenziale valore bellico della struttura, prima del raid, sebbene rimanga il mistero di come Damasco intendesse estrarre plutonio usabile per armamenti in assenza di un impianto chimico d’estrazione.
Dopo l’attacco, l’AIEA ha tentato di ottenere che la Siria chiarisse le finalità dell’impianto. Ma sarebbero passati dieci mesi prima che Damasco permettesse agli ispettori di accedere al sito. La Siria ha utilizzato quel tempo per demolire l’ossatura dell’impianto; poi ha interrato le sua fondamenta, ha arato il terreno e sui resti ha costruito altre strutture; infine ha rimosso i detriti verso un luogo ignoto. Nonostante l’operazione di copertura, gli ispettori hanno trovato trace di uranio in campioni del suolo. La Siria ha spiegato in modo non soddisfacente che tali residui proverrebbero dalle munizioni israeliane usate per distruggere l’impianto.
In quattro rapporti pubblicati dall’agenzia a partire dal 2007, il direttore generale Mohammed ElBaradei ha ripetutamente chiesto al governo di Damasco, definito “non cooperativo”, di rivelare la funzione dell’impianto, i residui di uranio e la localizzazione dei detriti rimossi. Ha anche chiesto accesso a tre altri siti sospetti. La Siria ha fatto orecchie da mercante.
La ripetuta opposizione alla trasparenza da parte di Damasco solleva naturalmente degli interrogativi su cosa stia nascondendo il regime di Assad. Ma il comportamento della Siria esige anche una risposta su una questione altrettanto sostanziale: la comunità internazionale come deve trattare i violatori, attuali e futuri? Evidentemente le lusinghe non funzionano. I trasgressori le interpretano come segni di impotenza da parte dell’AIEA. Per avere un cambiamento, l’agenzia e il Consiglio di Sicurezza dovrebbero sostituire questa pratica con significativi standard, imposti e fatti rispettare mediante sanzioni “a scadenza certa” che i violatori nucleari non possano ignorare.
Nei prossimi mesi l’AIEA avrà l’opportunità di rafforzare la sua funzione di sorveglianza con un nuovo direttore generale, da dicembre, seguito nel maggio 2010 dall’importante Conferenza di Revisione del Trattato di Non-Proliferazione, che si riunisce ogni cinque anni. Un incontro che offrirà l’occasione ai convenuti di premere sul Consiglio di Sicurezza affinché autorizzi l’AIEA ad essere più assertiva verso i violatori nucleari: un svolta già molto in ritardo

(Da: Jerusalem Post, 21.10.09)

Nella foto in alto: il sospeto impianto nucleare siriano di Dair Alzour (Al Kibar), presso At Tibnah, fotografato nell’agosto 2007, prima del raid aereo che l’ha parzialmente distrutto