Non ha senso chiedere a Israele di disdegnare Matteo Salvini

La vera domanda è: la politica di avvicinamento ai governi "populisti" europei serve l'interesse nazionale israeliano? La risposta è sì, ma fino a un certo punto

Di Emmanuel Navon

Emmanuel Navon, autore di questo articolo

La visita in Israele del ministro dell’interno italiano Matteo Salvini è stata criticata da coloro che accusano il suo partito, la Lega, di avere legami fascisti. Il quotidiano Ha’aretz ha pubblicato un editoriale in cui chiedeva al governo israeliano di dichiarare Salvini persona non grata. All’inizio della settimana l’ufficio del presidente Reuven Rivlin ha annunciato che non vi sarebbe stato un incontro con Salvini a causa dell’agenda troppo piena. L’annuncio è stato ampiamente interpretato come una presa di distanza da Salvini ed elogiata come tale dal partito d’opposizione Meretz. Al contrario, per quanto mi riguarda ho criticato il presidente Rivlin per questa decisione, dicendo che non era coerente. Ho chiesto: se violazioni di diritti umani o affiliazione con la destra populista sono ragioni sufficienti per snobbare i leader stranieri, allora perché il presidente Rivlin incontra il primo ministro ungherese Viktor Orban, il cancelliere austriaco Sebastian Kurtz (la cui coalizione include il Freiheitliche Partei Österreichs-FPÖ) e il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte? Nei confronti degli immigrati illegali, il presidente Donald Trump ha detto e fatto cose molto più dure rispetto a Matteo Salvini, eppure nessuno si sognerebbe di snobbare il presidente degli Stati Uniti, men che meno Rivlin. Né Rivlin boicotterebbe Vladimir Putin che pure ha eliminato avversari, espanso i confini, salvaguardato Assad e sostenuto i partiti populisti europei (incluso quello di Salvini). Poco dopo aver messo in discussione la decisione di Rivlin con un editoriale, sono stato contattato dal suo portavoce che mi ha assicurato che il presidente non ha intenzione di disdegnare Salvini e che il comunicato circa l’agenda di Rivlin troppo piena era genuino. Dunque, la mia accusa si è rivelata infondata. Ma la polemica intorno alla visita di Salvini rimane, e offre un’opportunità per esprimere una valutazione sulla politica di avvicinamento di Israele ai governi “populisti” europei.

11 dicembre ’18 : il vice primo ministro italiano Matteo Salvini su un elicottero militare israeliano dopo l’atterraggio in Israele

La polemica attorno a Salvini è un tipico dilemma della politica estera tra realpolitik e principi. La sinistra israeliana, che sta assumendo una posizione forte contro Salvini, manifesta un modo un po’ singolare di affrontare questo dilemma. Quando, nel giugno del 2016, Benjamin Netanyahu firmò un accordo di riconciliazione con la Turchia (per l’incidente del 2010 sulla nave filo-Hamas Mavi Marmara), gli editorialisti Ha’aretz (in particolare Zvi Barel e Barak Ravid) lodarono Netanyahu per aver scelto l’opzione del realismo politico. Il fatto che il presidente turco Recep Erdogan sia un autocrate e un antisemita non costituiva un problema. Adesso, invece, a proposito dell’Italia (una democrazia, nonché un membro dell’Unione Europea), per qualche motivo le regole della realpolitik non valgono più.

In realtà, nessun paese al mondo sacrificherebbe il proprio interesse nazionale per puro amore dei valori morali. E’ assurdo aspettarsi che lo faccia Israele (e solo Israele). La questione non è se anche Israele abbia il diritto di muoversi secondo le regole della realpolitik (è ovvio che ce l’ha), ma se la sua politica di avvicinamento ai governi “populisti” europei serva l’interesse nazionale. La risposta è sì, ma fino a un certo punto.

Il crollo finanziario del 2008 e la cosiddetta “primavera araba” del 2011 hanno inflitto all’Europa crisi economiche, migrazioni di massa e attacchi terroristici rivendicati dall’ISIS. Molti europei hanno incolpato le loro élite e l’Unione Europea per la perdita di posti di lavoro e del controllo sulle frontiere. Da qui, l’ascesa di governi che rivendicano una piena sovranità sulle politiche economiche e di immigrazione in paesi come Polonia, Ungheria, Austria, Italia e Grecia. Da qui, l’ascesa di partiti come Alternative für Deutschland o il Rassemblement National di Marine Le Pen. Da qui, la Brexit.

11 dicembre ’18 : Matteo Salvini (a sinistra) al confine nord di Israele, in visita all’operazione Scudo Settentrionale contro i tunnel terroristici di Hezbollah

Questi governi e partiti europei ammirano Israele per quello che rappresenta: uno stato-nazione fiero, un successo sul piano economico ma anche geloso delle sue tradizioni sociali, e che non si fa remore quando si tratta di difendere i confini, combattere i terroristi o irritare gli eurocrati. Grazie ai forti legami con i “ribelli” europei, Israele è riuscito a rompere l’unanimismo di Bruxelles. Ungheria, Repubblica Ceca e Romania, ad esempio, hanno bloccato una decisione dell’Unione Europea intesa a condannare il trasferimento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme. Sul tema dell’Iran, il Gruppo di Visegrad (Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria, Slovacchia) sta ostacolando il proposito della Commissione Europea di aggirare le rinnovate sanzioni statunitensi contro il regime di Teheran. Di recente, Israele ha firmato un memorandum d’intesa con Cipro, Grecia e Italia per la costruzione di un oleodotto che consentirà a Israele di esportare il proprio gas naturale in Europa. E’ dunque chiaro che i legami speciali di Israele con i “ribelli” europei rispondono al suo interesse nazionale perché permettono a Israele di adoperare la tattica del divide et impera nell’Unione Europea su questioni come Gerusalemme e Iran, e perché aiutano Israele a promuovere le sue esportazioni di gas naturale verso l’Europa nonostante i molti che avversano il progetto (come ad esempio la Spagna).

D’altra parte, Israele non ha alcun interesse in una disarticolazione dell’Unione Europea e nella proliferazione di governi “populisti” e “sovranisti”, perché questi governi generalmente si oppongono al libero scambio e sono più inclini ad allinearsi con la Russia che con gli Stati Uniti. L’Unione Europea rimane il maggior partner commerciale di Israele. Israele ha un accordo di libero scambio con l’Unione Europea ed è parte del suo programma di punta in fatto di ricerca e sviluppo (“Horizon 2020“). Dunque Israele non trarrebbe alcun beneficio da un’Europa dominata da mercantilisti filo-russi.

Tuttavia, legami ad hoc e ben calibrati con i governi dell’Europa dell’est e dell’Italia rispondono, per ora, all’interesse nazionale di Israele. Quindi non avrebbe senso, per Israele, snobbare Matteo Salvini (che caso vuole che sia il vero uomo forte dell’attuale governo italiano).

(Da: Times of Israel, 11.12.18)