Nonostante la pandemia, continua l’aliyà verso Israele

Un fenomeno tutto israeliano che conferma la necessità dell’esistenza di uno stato ebraico, vero focolare nazionale per gli ebrei di tutto il mondo

Editoriale del Jerusalem Post

27 dicembre 2020: il presidente dell’Agenzia Ebraica Isaac Herzog con un gruppo di bambini immigrati quest’anno in Israele da diversi paesi

Secondo i dati forniti dall’Agenzia Ebraica per Israele (JAFI), nel 2020 hanno fatto l’aliyà (cioè sono venuti a stabilirsi in Israele) più di 20.000 nuovi immigrati ebrei da quasi 70 paesi diversi. Che sia perché la situazione economica globale è così grama a causa della pandemia di covid-19 o perché Israele è diventato un’alternativa davvero allettante per gli ebrei del mondo, le cifre sono impressionanti. “E’ successa una cosa meravigliosa – ha detto il presidente dall’Agenzia Ebraica, Isaac Herzog, durante un incontro con bambini immigrati quest’anno in Israele da tutto il mondo – Ventimila ebrei sono immigrati nello stato d’Israele durante questo anno di pandemia. Ventimila persone disposte a lasciarsi tutto alle spalle, in un difficile periodo di turbolenze globali, per venire a costruire una nuova vita in Israele”.

Circa 10.200 sono partiti dalla Comunità degli Stati Indipendenti (nove ex repubbliche sovietiche), di cui 6.260 dall’Ucraina e 2.660 dalla Russia. Altri 3.120 sono arrivati dall’Europa occidentale, di cui 2.220 dalla Francia e 460 dalla Gran Bretagna. Alla fine di novembre, circa 2.850 immigrati giungevano dal Nord America: 2.550 dagli Stati Uniti e il resto dal Canada. Altri 1.500 dall’America Latina, di cui 510 dall’Argentina e 460 dal Brasile. L’aliyà dall’Etiopia è destinata a superare quota 1.200, per lo più Falash Mura portati in Israele nel quadro di un’operazione speciale gestita congiuntamente dall’Agenzia Ebraica e dal Ministero dell’Aliyà e dell’Integrazione. Un gruppo di 219 è arrivato con un volo il 22 dicembre, altri mille sono in attesa nel paese. Inoltre, vi sono stati 280 immigrati dal Sud Africa e 90 da Australia e Nuova Zelanda.

L’Agenzia Ebraica afferma d’aver ricevuto circa 160.000 richieste da potenziali immigranti, e d’aver aperto più di 41.000 pratiche per aliyà, di cui 28.000 provenienti da paesi occidentali, il doppio di quelle aperte nel 2019. Si è anche registrato un aumento del 41% dei file aperti per giovani adulti fra i 18 e i 35 anni provenienti da paesi occidentali.

3 dicembre 2020: l’arrivo di un gruppo di nuovi olim dall’Etiopia

I funzionari dell’immigrazione stimano che nei prossimi tre-cinque anni potrebbero arrivare in Israele altri 250mila immigrati, supponendo che il governo attui un piano nazionale per una così grande ondata di immigrazione e assorbimento. Si tratterebbe di un forte aumento rispetto agli anni precedenti. In tempi normali Israele assorbe una media di 30.000 immigrati all’anno. Nel 2019 avevano fatto l’aliyà circa 34.000 persone, ed era il dato annuale più alto dell’ultimo decennio.

Tutte le organizzazioni che contribuiscono a finanziare l’aliyà segnalano un aumento delle richieste. Si calcola che vi siano nel mondo circa 14,7 milioni di ebrei. Di questi, più di 6,8 milioni vivono attualmente in Israele. Il governo israeliano, ancorché uscente, deve mantenere il suo impegno di completare l’aliyà dall’Etiopia il prima possibile. Come ha affermato la ministra dell’Aliyà e dell’Integrazione Pnina Tamano-Shata, “il governo israeliano non può trascurare o abbandonare i nostri fratelli e sorelle che aspettano in Etiopia da anni e anni. Questa ingiustizia deve finire”.

È vero che Israele sta attraversando un periodo di disordine politico, sta andando incontro alla sua quarta tornata di elezioni anticipate nell’arco di due anni e che le difficoltà mediche, economiche e psicologiche causate da covid-19 sono profonde e dolorose. Tuttavia, sebbene sia entrato nel suo terzo lockdown, Israele è in testa nel mondo con il suo programma di vaccinazione contro il coronavirus, avendo inoculato in una sola settimana 500.000 dei suoi nove milioni di residenti. E’ un dato impressionante, e Israele deve garantire che i suoi confini rimangano aperti all’immigrazione ebraica e che le regole burocratiche rimangano facilmente superabili per i potenziali nuovi olim (immigranti ebrei). La capacità d’Israele di continuare ad assorbire nuovi olim anche durante la pandemia è testimonianza dell’importanza dell’aliyà e del fatto che Israele rimanga lo stato ebraico, vero focolare nazionale per tutti gli ebrei. Questa capacità dà un’idea concreta di quella qualità che Michael Dickson e Naomi L. Baum chiamano “IsResilienza” nel loro ultimo libro così intitolato, dove affermano che Israele, e gli israeliani, possiedono una speciale capacità di recupero che consente loro di progredire a dispetto delle probabilità più avverse.

Coloro che si trasferiscono in Israele dai paesi occidentali sperando di migliorare la propria condizione economica o di superare problemi personali potrebbero scoprire che Israele non è la risposta per loro, indipendentemente da quanta resilienza posseggano. Ma coloro che arrivano in Israele per partecipare all’esperienza sionista e che mirano a dare il proprio contributo al paese troveranno un’esperienza davvero significativa e gratificante. Sono i benvenuti e gli israeliani ne sono fieri.

(Da: Jerusalem Post, 29.12.20)