Nonostante le frequenti elezioni, gli israeliani non mostrano disaffezione al voto
Ancora una volta la campagna elettorale ruoterà in gran parte attorno alla capacità/idoneità di Netanyahu di guidare il paese
Di Keren Setton
Israele va alle urne. Di nuovo. Il prossimo 1 novembre gli israeliani voteranno per la quinta tornata di elezioni politiche in poco più di tre anni e mezzo.
Le elezioni più recenti, tenutesi nel marzo 2021, facevano seguito a tre elezioni ravvicinate che avevano solo rafforzato l’impasse politica anziché risolverla, con Israele retto per tutto il periodo da governi di transizione. Dopo quella rapida successione di campagne elettoral, venne infine varata un’improbabile coalizione composta da otto partiti schierati su tutto l’arco politico israeliano. Quella coalizione ha comunque garantito al paese una tregua di un anno. Quando lo scorso 20 giugno l’allora primo ministro Naftali Bennett ha annunciato che avrebbe messo ai voti l’autoscioglimento del parlamento, si è rinnovato il timore che i cittadini israeliani ne escano fortemente delusi dai politici e dal sistema politico stesso. E che questa volta possano esprimere il loro malcontento disertando le urne il giorno delle elezioni.
L’affluenza alle urne è considerata il principale indicatore della stanchezza degli elettori, l’unico che può essere misurato con precisione. Tuttavia, in una società così variegata come quella israeliana l’affluenza alle urne è soggetta a molti fattori e non riflette necessariamente con esattezza il grado di disaffezione degli elettori dal sistema politico. L’affluenza varia notevolmente anche all’interno dei diversi settori della società.
Quando nell’aprile 2019 è iniziata la crisi politica con la prima delle cinque elezioni anticipate, l’affluenza alle urne era quasi del 68%. Secondo i dati diffusi dal Comitato elettorale centrale, è aumentata nei due turni successivi (settembre 2019 e marzo 2020), raggiungendo un picco del 71% nella votazione del marzo 2020, per poi scendere a poco più del 67% nel marzo 2021. Dunque, la preoccupazione per la disaffezione degli elettori è risultata in gran parte infondata durante tutta la crisi.
In generale l’affluenza alle urne In Israele si attesta su un tasso medio per i paesi democratici, con una certa diminuzione negli ultimi due decenni. In Israele non è obbligatorio votare, ma per incoraggiare gli elettori a recarsi alle urne la giornata elettorale viene decretata come festiva. Non è previsto il voto per posta e non esiste la possibilità di votare in anticipo, ad eccezione degli israeliani che prestano servizio all’estero in veste ufficiale e delle loro famiglie, dei marinai israeliani imbarcati su navi israeliane e dei soldati in servizio attivo. Secondo gli esperti, dei cambiamenti sotto questo aspetto potrebbero incrementare il tasso di affluenza.
Dopo la breve pausa di un anno, il paese si ritrova ancora una volta nel mezzo di una campagna elettorale che ancora una volta ruoterà in gran parte attorno alla figura dell’ex primo ministro Benjamin Netanyahu e alla sua capacità/idoneità di guidare il paese. Netanyahu, che è sotto processo per accuse di corruzione, da molti è considerato inadatto a esercitare di nuovo la leadership. Quando anche membri del suo stesso campo di destra e della sua stessa formazione politica gli si sono schierato contro, si è generato un rebus politico pressoché irrisolvibile. Alla guida del Likud che da lungo tempo si conferma il partito politico israeliano in netta maggioranza relativa, più volte Netanyahu non è stato in grado di formare una coalizione (che godesse del sostegno di almeno 61 parlamentari su 120 ndr) perché gli si opponevano esponenti della destra che, pur disposti a sostenere un governo guidato dal Likud, non erano disposti a sostenere un Likud guidato da Netanyahu. Così il paese è passato da un’elezione all’altra fino a quando il suo ex-alleato Bennett e l’attuale primo ministro di transizione Yair Lapid (del partito Yesh Atid) sono riusciti a formare l’anomala coalizione “del cambiamento”.
Netanyahu nega le accuse contro di lui e, sostenuto da un considerevole appoggio popolare, continua a guidare il blocco di destra. Il dibattito su Netanyahu è controverso e divisivo, ma certamente contribuisce a garantire adeguati tassi di partecipazione al dibattito politico e al processo elettorale. Mentre i sondaggi condotti dall’Israel Democracy Institute durante le precedenti campagne elettorali indicavano un generale calo di interesse, l’affluenza alle urne ha dimostrato il contrario. “Il fatto che vi siano molte votazioni di per sé non influisce sull’affluenza alle urne – afferma Ofer Kenig, ricercatore dell’Israel Democracy Institute – La stanchezza degli elettori sembra essere controbilanciata dalla polarizzazione nel sistema politico. Di elezione in elezione, la posta in gioco per le parti era alta e le passioni restavano forti. Quando c’è una polarizzazione così spiccata, le persone sono spinte a votare”.
“Gli elettori comprendono l’importanza di ogni singolo voto – dice Moti Gigi, sociologo a capo del Dipartimento comunicazione del Sapir Academic College, presso Sderot – soprattutto quando c’è una forte concorrenza. In questi casi si assiste addirittura a un aumento dell’affluenza alle urne”. Nel corso della storia politica d’Israele, l’affluenza alle urne è stata generalmente più bassa nelle elezioni in cui il vincitore era abbastanza chiaro in partenza. Ora tuttavia, benché il Likud si sia costantemente confermato il partito di maggioranza relativa, l’incapacità di Netanyahu di formare una coalizione sottolinea quanto conti ogni singolo voto. Secondo recenti sondaggi, il primo ministro israeliano più longevo della storia del paese sarebbe solo a uno o due seggi dalla possibilità di formare una coalizione. Netanyahu avrà dunque bisogno dei voti degli elettori che l’ultima volta hanno disertato le urne, principalmente nella periferia geografica del paese.
Molti ritengono che se Netanyahu anche questa volta non riuscirà a formare una coalizione, questa potrebbe essere la sua fine politica: un fattore che potrebbe ulteriormente spingere alle urne i suoi sostenitori, ma anche i suoi avversari. Nell’ultimo anno, il Likud (all’opposizione) è costantemente cresciuto nei sondaggi, dimostrando un crescente sostegno alla sua leadership. Tuttavia, la sua effettiva capacità di raccogliere una maggioranza della Knesset a suo sostegno è tutt’altro che certa.
Un punto interrogativo molto rilevante riguarda l’affluenza al voto fra i cittadini arabi israeliani. Costituendo poco più di un quinto della popolazione, l’altalenante affluenza alle urne del settore arabo incide parecchio sul risultato finale. Nelle ultime elezioni di un anno fa il voto arabo era crollato. “L’affluenza degli arabi nelle ultime elezioni, che è stata inferiore al 45%, è un campanello d’allarme – dice Ofer Kenig – Significa che nel 20% della popolazione molti ritengono che il processo elettorale sia per loro irrilevante, un dato che riflette un sentimento generale di alienazione verso il sistema politico. Non è salutare per Israele che una parte così ampia della sua popolazione non partecipi al gioco democratico”. La storica partecipazione alla coalizione Bennett del partito Ra’am, una formazione araba islamista, avrà probabilmente un effetto su questi numeri. “La società araba ha vissuto un grande processo di cambiamento con l’ingresso di Ra’am nella coalizione – spiega Moti Gigi – Ciò potrebbe anche tradursi in un forte aumento dell’affluenza alle prossime elezioni”. Tuttavia, una certa delusione per i frutti della partecipazione araba al governo potrebbe avere l’effetto opposto. Sebbene il governo Bennett abbia stanziato budget senza precedenti a favore del settore arabo, i sondaggi condotti di recente dallo Statnet Research Institute indicano che il voto tra gli arabi precipiterà. Diversi i fattori in gioco. “La popolazione araba non ha visto tutti i risultati tangibili che si aspettava come effetto della presenza di Ra’am nella coalizione – afferma Yousef Makladeh, CEO di Statnet – Ma a parte questo, la divisione tra i partiti arabi rende più difficile l’identificazione di un rivale politico comune e coerente”. Quando si registrano evidenti lotte intestine fra i partiti arabi, gli elettori tendono a restare a casa. D’altra parte, la propaganda del blocco di destra contro la partecipazione degli arabi al governo, come si è vista nelle precedenti campagne elettorali, potrebbe spingere il pubblico arabo a votare.
In realtà, a quasi quattro mesi dalle elezioni tutto può ancora cambiare. Stanchi di un ciclo di elezioni senza fine che produce paralisi politica, gli israeliani potrebbero sorprendere con un’alta affluenza alle urne. “Questa è un’elezione cruciale – conclude Gigi – La gente vuole vedere un esito chiaro e non altre elezioni anticipate. E le persone si sentono impegnate a votare, ciascuna per il proprio blocco”.
(Da: Jerusalem Post, YnetNews, 4-8.7.22)