Normalizzazione saudita-iraniana: quali conseguenze per Israele?

Inizialmente visto come una battuta d'arresto per le future relazioni israelo-saudite, il disgelo fra Riyad e Teheran potrebbe tuttavia aprire nuove strade contribuendo a ridurre le tensioni regionali

Editoriale del Jerusalem Post

Teheran, 11 marzo: sui giornali, l’annuncio della “ricucitura” dei rapporti fra Iran e Arabia Saudita

L’ambasciata iraniana in Arabia Saudita ha riaperto la scorsa settimana, per la prima volta dopo sette anni, ora che i due paesi rivali hanno ristabilito rapporti bilaterali. Allo stesso tempo, rappresentanti sauditi sono giunti in Iran per discutere le procedure di una riapertura dell’ambasciata di Riyad a Teheran. Iran e Arabia Saudita hanno concordato il mese scorso di porre fine alla loro spaccatura diplomatica e riaprire le rispettive missioni diplomatiche grazie a un accordo mediato dalla Cina. La domanda è: in che modo il riavvicinamento tra Teheran e Riyad influirà su Israele e come dovrebbe rispondere Gerusalemme a quello che appare come un notevole punto di svolta in Medio Oriente?

Da un lato, la decisione dell’Arabia Saudita di avvicinarsi all’Iran invece che a Israele è motivo di seria preoccupazione. L’amministrazione Biden spinge da tempo per una normalizzazione fra Arabia Saudita e Israele, e il primo ministro Benjamin Netanyahu aveva chiaramente affermato nel suo discorso di insediamento, tre mesi fa, che il suo principale obiettivo in politica estera era quello di ampliare gli Accordi di Abramo del 2020 e arrivare a un accordo con Riyad, arrestando al contempo il programma nucleare iraniano al quale sia Israele che l’Arabia Saudita si oppongono fermamente.

Per contro, sia funzionari israeliani che statunitensi hanno affermato che l’accordo saudita-iraniano potrebbe addirittura agevolare gli sforzi di Israele verso la normalizzazione dei rapporti con Riyad. Un rappresentante israeliano ha detto che se l’accordo portasse alla fine della guerra nello Yemen, le relazioni tra Arabia Saudita e Stati Uniti migliorerebbero e questo renderebbe più facile per Washington adoperarsi per promuovere una normalizzazione fra Arabia Saudita e Israele. Dal canto suo, un rappresentante statunitense ha affermato che, dal punto di vista di Washington, non vi è alcun motivo per cui l’accordo saudita-iraniano debba ostacolare questo processo.

Pechino, 10 marzo: il consigliere per la sicurezza nazionale dell’Arabia Saudita Musaad bin Mohammed Al Aiban (a sinistra), l’alto rappresentante diplomatico cinese Wang Yi (al centro) e il segretario del Consiglio Supremo per la sicurezza nazionale dell’Iran Ali Shamkhani, alla firma dell’accordo per la ripresa dei rapporti diplomatici bilaterali

L’ex generale Amos Yadlin, già capo dell’intelligence delle Forze di Difesa israeliane, ha dichiarato a Breaking Defense: “I sauditi vogliono ottenere qualcosa da Washington prima di fare una mossa verso la normalizzazione con Israele, ad esempio un programma nucleare civile. La strada per Gerusalemme passa per Washington”.

Secondo Yadlin, l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita rimarranno nemici sul piano religioso, ideologico e strategico, e non è affatto chiaro se saranno in grado di colmare l’ostilità tra di loro entro due mesi come prevede il loro accordo. Ad esempio, dice Yadlin, “non è detto che l’Iran sia in grado di adempiere all’impegno di costringere gli Houthi, che agiscono in modo relativamente indipendente, a cessare completamente gli attacchi contro l’Arabia Saudita dal territorio yemenita”.

Come ha sottolineato Seth Frantzman sul Jerusalem Post, il motivo per cui l’accordo saudita-iraniano è stato inizialmente visto come una battuta d’arresto per Israele è che proprio pochi giorni prima che venisse annunciato, sia il Wall Street Journal che il New York Times avevano riferito che l’Arabia Saudita aveva presentato le sue condizioni per normalizzare i rapporti con Israele, tra cui garanzie di sicurezza da parte degli Stati Uniti. Ma secondo Frantzman, sebbene l’accordo saudita-iraniano possa aprire la strada a relazioni tra Riyad e la Siria, cosa che preoccuperebbe Israele, potrebbe anche portare l’Iran a ridimensionare il suo programma nucleare, il che sarebbe uno sviluppo positivo. “L’Arabia Saudita – spiega Frantzman – non sarà disposta a firmare un accordo e poi ritrovarsi improvvisamente con un Iran che sviluppa la Bomba e minaccia la regione. Chiaramente, stabilità regionale significa non avere un Iran dotato di armi atomiche né una corsa regionale agli armamenti nucleari”.

Gerusalemme e Riyad mantengono da tempo contatti segreti volti a stabilire relazioni fra loro. Netanyahu, dopo aver incontrato a gennaio il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan, ha affermato d’aver discusso “i prossimi passi per approfondire gli Accordi di Abramo e ampliare la cerchia della pace, con particolare riferimento a una svolta con l’Arabia Saudita”. Nessun esponente israeliano ha rilasciato dichiarazioni ufficiali sulla ripresa delle relazioni tra Arabia Saudita e Iran, o sul fatto che sia stata una vittoria diplomatica per la Cina in una regione in cui gli Stati Uniti hanno storicamente svolto un ruolo dominante. Tuttavia, la speranza a Gerusalemme è che, come nel caso degli Emirati Arabi Uniti, la distensione fra Arabia Saudita e Iran non impedisca a Riyad di stringere relazioni con Israele nel prossimo futuro. Forse potrebbe persino accelerare il processo.

In ogni caso, per Israele questo non è il momento di adottare un approccio attendista, ma anzi di impegnarsi sia con gli Stati Uniti che, attraverso canali appropriati, con la stessa Arabia Saudita per esplorare come si possa mantenere aperta e infine cogliere la finestra di opportunità per la normalizzazione.

(Da: Jerusalem Post, 16.4.23)