Nuovi tesori israeliani riconosciuti Patrimonio dellUmanità dallUNESCO

Le nuove aggiunte del 2005 comprendono i siti archeologici biblici di Tel Megiddo, Hazor, Beer Sheva e le città del deserto di Haluza, Mamshit, Avdat e Shivta.

image_931Chiunque abbia potuto apprezzare la quantità e la varietà di siti storici antichi e moderni in Israele sa che il paese contiene molti luoghi importanti ed essenziali per il patrimonio artistico e naturale dell’umanità.
Negli ultimi anni, il valore di questi siti è stato riconosciuto ufficialmente dalla comunità internazionale attraverso l’UNESCO – l’agenzia dell’ONU che si occupa di istruzione, scienza e cultura.
Quest’estate, il numero dei siti in Israele riconosciuti dall’UNESCO come Patrimonio Mondiale dell’Umanità è cresciuto considerevolmente. Al 29esimo Congresso dell’UNESCO sul Patrimonio Mondiale dell’Umanità, sono entrate nella lista parecchie nuove destinazioni archeologiche, che comprende 812 siti in tutto il mondo.
Le nuove aggiunte del 2005 comprendono i siti archeologici biblici di Tel Megiddo, Hazor, Beer Sheva e le città del deserto di Haluza, Mamshit, Avdat e Shivta, che fanno parte dell’antica via dell’incenso e delle spezie.
Questi siti vanno ad aggiungersi a quelli di Masada e della Città Vecchia di Acco (San Giovanni d’Acri), che furono scelti nel 2001, ed alla “Città Bianca – Bauhaus e movimento moderno di Tel Aviv”, entrato nella lista nel 2003.
Il prof. Michael Turner ad altri volontari appassionati come lui, impegnati a conservare il patrimonio d’Israele e a vederlo riconosciuto a livello internazionale, sono la forza trascinante che ha portato all’aggiunta di questi siti alla lista.
Turner, professore di architettura all’Accademia Bezalel, è da molti anni attivo nel movimento per la conservazione del Patrimonio in Israele. Da tempo immigrato in Israele dalla Gran Bretagna, è presidente dell’Israel World Heritage Committee, l’ente che ogni anno decide quali siti saranno sottoposti alla valutazione dell’UNESCO.
La Convenzione per il Patrimonio Mondiale dell’Umanità esiste dal 1972, ma per più di due decenni Israele non ne è stato membro. Turner dice che lo sforzo di far entrare Israele cominciò alla metà degli anni ’80, quando lui e altri architetti e archeologi attivi nell’organizzazione chiamata Icamos – il Consiglio Internazionale per i monumenti ed i siti – cominciò a lavorare a quello scopo.
Finalmente, nel 1999, Turner e i suoi colleghi ebbero successo, e Israele divenne membro. Il ritardo fu dovuto in parte a ostilità politica all’interno dell’Onu, in parte a una certa mancanza di interesse da parte del governo israeliano.
Ottenere un sito riconosciuto dall’UNESCO non è una cosa semplice: ci vogliono letteralmente anni di sforzi. Turner dice che , per firmare la convenzione nel 1999, al paese fu chiesto di preparare una lista di 25 siti con “eccezionale valore mondiale”. A quello scopo, fu costituito il Comitato israeliano per il Patrimonio Mondiale dell’Umanità, da lui presieduto, che comprende rappresentanti dei ministeri dell’istruzione, degli esteri e del turismo, l’Autorità per le antichità, l’Autorità per le riserve ed i parchi naturali e l’ufficio governativo del turismo.
Una volta che Israele fu accettato alla convenzione, divenne compito del comitato scegliere ogni anno quali siti proporre. Per far ciò, il comitato deve fare affidamento su collaborazione, dedizione e entusiasmo di funzionari locali e nazionali che supervisionano la cura del sito, poiché diventare membri implica prendere un impegno per la conservazione del sito e la sua salvaguardia per le generazioni future, e investire uno sforzo enorme in tutto il processo.
“Preparare il materiale può richiedere due o tre anni. L’UNESCO richiede una quantità enorme di documentazione, una descrizione del significato del sito, un confronto con altri siti simili al mondo e un dettagliato piano di gestione: si tratta davvero di un impegno per il futuro”.
Una volta che il sito è stato sottoposto alla commissione, il materiale viene distribuito agli esperti che lo studiano, esaminano il sito e la sua gestione, e compilano raccomandazioni che vengono passate all’UNESCO, che decide su base consensuale.
Il fatto che Israele abbia ottenuto tanti siti in un tempo relativamente breve, dice Turner, “è una testimonianza del fatto che siamo altamente professionali. Poiché siamo spesso considerati con esitazione e sospetto, e dobbiamo vedercela con i commenti del gruppo arabo, sappiamo che non possiamo prendere scorciatoie e che dobbiamo essere anche più preparati e professionali di tutti gli altri paesi. Come risultato, stiamo facendo molto bene: francamente, la gente è stupita”.
Senza ironia nella voce, Turner dice che essere inseriti nella lista è quasi una dichiarazione di “santità”, per quanto concerne il valore culturale di un paese. Su un piano più pratico, aggiunge, ci possono essere veri vantaggi per i paesi che hanno molti siti sulla lista e sfruttano in pieno la situazione.
“L’UNESCO ha lavorato per valutare gli effetti sul turismo – spiega Turner – I paesi che veramente sanno mettere a frutto l’opportunità di marketing e si vendono bene possono raddoppiare il numero di turisti. Ma non basta entrare nella lista: il paese deve capitalizzare su questo”.
Turner dice che i prossimi tre siti che Israele presenterà per l’approvazione sono le vie migratorie degli uccelli che attraversano Israele, il triplo arco a Tel Dan che rappresenta il primo uso dell’arco conosciuto al mondo, e i luoghi santi Baha’i a Haifa.
I siti scelti quest’anno sono stati selezionati per la ricchezza di informazioni che forniscono al mondo sulle sue prime civiltà. I “tel” sono collinette che conservano i resti a strati di insediamenti preistorici: in Israele ne esistono oltre duecento. I tre scelti dall’UNESCO – Megiddo, Hazor e Beer Sheba – contengono sostanziosi resti di città con connessioni bibliche.
I tre tel presentano anche alcuni dei migliori esempi di vita nell’età del ferro, con sistemi sotterranei di raccolta dell’acqua creati per servire comunità urbane a grande densità. Le loro tracce di costruzione nel corso dei millenni riflettono l’esistenza di autorità centralizzate, prospera attività agricola e il controllo di importanti vie commerciali. Secondo l’UNESCO, “rappresentano un interscambio di valori umani attraverso il Medio Oriente antico, forgiato attraverso grandi vie commerciali e alleanze con altri stati, evidente nella costruzione di stili che fondevano influenze egiziane, siriane ed egee per creare uno stile locale ben distinto”. Essendo menzionate nella Bibbia, “costituiscono anche una testimonianza religiosa e spirituale di eccezionale valore universale”.
Attentamente scavati e curati dalle autorità israeliane, i tre tel hanno rivelato molti tesori che hanno fatto luce sulla storia delle diverse nazioni che hanno abitato la zona in tempi diversi.
L’altro gruppo di siti che è stato selezionato – la quattro città nabatee di Haluza, Mamshit, Avdat e Shivta, insieme con fortezze e paesaggi agricoli nel deserto del Negev – sono sparsi lungo strade che li collegano alla parte mediterranea della via degli incensi e delle spezie. Il percorso intero andava dallo Yemen, via Arabia Saudita e Giordania attraverso il Negev fino al Mediterraneo e all’Europa, ed era usato per trasportare e commerciare spezie, gioielli, oro, argento e stoffe preziose. Il commercio, altamente redditizio, di incenso e mirra dall’Arabia meridionale al Mediterraneo fiorì dal terzo secolo a.e.v. fino al secondo secolo e.v.
Le città israeliane comprendono resti di sofisticati sistemi di irrigazione, costruzioni urbane, fortezze, e testimoniano il modo in cui il duro deserto era utilizzato per commercio e agricoltura.
Questi luoghi, secondo l’UNESCO, hanno ottenuto di entrare nella lista per la loro “eloquente testimonianza dell’importanza economica, sociale e culturale dell’incenso nel mondo ellenistico-romano. Le strade fornivano anche un mezzo di passaggio non solo per l’incenso ed altre merci, ma anche per persone e idee”. Inoltre, i “resti di città, fortezze, caravan e sofisticati sistemi agricoli disposti lungo la via dell’incenso nel deserto del Negev mostrano una risposta eccezionale ad un ambiente desertico ostile, durata ben cinque secoli”.

(Da: israel21c, 19.09.05)

Nella foto in alto: Ricostruzione di Tel Megiddo, uno dei siti israeliani riconosciuti Patrimonio dell’Umanità UNESCO.

Vedi anche:
UNESCO: Israele per la prima volta nella commissione per il Patrimonio dell’Umanità

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