Nuovi toni per un nuovo inizio?

Tutto è iniziato quando divenne evidente che Yasser Arafat non sarebbe più tornato a governare i palestinesi.

Di Ze'ev Schiff

image_433Chi ascolta attentamente può percepire toni nuovi che giungono ultimamente dall’ establishment della difesa israeliana ed anche, sebbene più lievi, dall’ufficio del primo ministro.
Tutto è iniziato nei giorni in cui divenne evidente che Yasser Arafat non sarebbe più tornato a governare i palestinesi e che sarebbe entrata in scena una nuova dirigenza, consapevole di doversi guadagnare la legittimità internazionale sul terreno di una efficace azione per fermare il terrorismo anti-israeliano.
Finora Israele ha mantenuto un profilo basso sulla questione della nuova leadership palestinese, ma la sensazione generale è che vi sia la possibilità di un vero cambiamento. Non solo perché è scomparsa l’ombra che Arafat stagliava su ogni evento quotidiano. È anche perché Hamas è stata indebolita. Inoltre negli ambienti della difesa israeliana si va dicendo che Israele ha tratto insegnamento dagli errori commessi durante la “prima lezione”, il breve periodo in cui Mahmoud Abbas (Abu Mazen) fu primo ministro dell’Autorità Palestinese. Anche gli americani hanno qualche insegnamento da trarre da quella “prima lezione”: essi concedettero veramente troppo tempo alle forze di sicurezza palestinesi perché si decidessero a combattere il terrorismo, mentre il fattore tempo è essenziale e della massima importanza.
Gli ambienti della difesa israeliana, che hanno sempre avuto ben presente la lista di cose che si aspettavano dai palestinesi, ora iniziano in varia misura e parlare di ciò che Israele potrebbe fare se emergessero davvero nuove opportunità. Da anni Israele dice che non esiste un interlocutore affidabile sul versante palestinese. Ora si inizia a dire che, se una nuova dirigenza palestinese si assume il compito – per usare le parole del ministro della difesa Shaul Mofaz – di “mettere mano alle riforme promesse dai palestinesi, e con risultati visibili”, allora vorrà dire che c’è un nuovo interlocutore palestinese.
Se questi saranno effettivamente gli sviluppi, è ragionevole ipotizzare che il disimpegno (dalla striscia di Gaza e parte della Cisgiordania settentrionale) assumerà un nuovo carattere, diverso da quello dei mesi scorsi. Il disimpegno è unilaterale e per questo non sono in corso negoziati diretti sulle sue modalità. Ma inizia a circolare l’espressione “disimpegno coordinato”. Ciò significa che, se i palestinesi garantiranno uno sgombero degli insediamenti in pace e tranquillità, essi si risparmieranno un sacco di fuoco e distruzioni. E Israele potrebbe anche accettare l’ingresso di enti internazionali nella striscia in vista del ritiro. Inoltre si troverebbero soluzioni alternative per rimpiazzare il centro industriale di Erez (al confine fra Israele e striscia di Gaza), oggi in corso di chiusura, e crescerebbe il numero dei palestinesi cui viene dato il permesso di lavorare in Israele.
Vi è chi già si spinge a sostenere che un disimpegno nella calma aprirebbe la strada a un nuovo accordo ad interim fra Israele e Autorità Palestinese. Alcuni ricordano che nel 2003 il ministro della difesa israeliano Mofaz e l’allora capo della sicurezza preventiva palestinese a Gaza Mohammed Dahlan avevano giò raggiunto un accordo per il ritiro dei soldati da quattro città cisgiordane, e che Sharon l’aveva approvato nonostante il parere contrario dei servizi segreti. Poi l’accordo naufragò a causa di un micidiale attentato suicida di Hamas sull’autobus della linea 2 di Gerusalemme. Ora si registra una rinnovata disponibilità a discutere di ritiro da città palestinesi, di trasferimento di territorio ai palestinesi, di ampliamento della libertà di movimento.
Tutto dipende dal fatto che la parte palestinese inizi ad agire concretamente contro il terrorismo. La valutazione è che una nuova e determinata dirigenza palestinese potrebbe impegnarsi a far cessare la fabbricazione e i lanci di missili Qassam nella striscia di Gaza. La calma a Gaza metterebbe anche fine alle azioni militari israeliane in quella zona.
E’ un errore pensare che l’occasione sia interessante per una parte soltanto. Si tratta invece di una rara opportunità per entrambe le parti. Un buon inizio porterebbe non solo a una rapida discussione sui “passaggi garantiti” per i palestinesi fra Cisgiordania e Gaza, ma anche a un ritiro israeliano dal corridoio Philadelphi sul confine fra striscia di Gaza ed Egitto. Una leadership palestinese responsabile a Gaza favorirebbe il ritiro israeliano dalla Philadelphi Route molto più delle vaghe promesse egiziane.
Affinché tutte queste aspettative non si trasformino ancora una volta in delusioni, è importante ricordare che vi sono soggetti assolutamente determinati a far fallire le chance di rilancio del dialogo tra israeliani e palestinesi nell’era del dopo-Arafat: in testa a tutti, l’Iran e i jihadisti sciiti libanesi Hezbollah, che vogliono far fallire qualunque accordo positivo e cercano di reclutare sempre nuovi terroristi fra le fila del Tanzim e delle Brigate Al Aqsa (di al-Fatah).

(Da: Ha’aretz, 10.11.04)

Nella foto in alto: terrorista delle Brigate Martiri di Al Aqsa manifesta nel campo palestinese di Balata, presso Nablus. Le Brigate Al Aqsa (che erano sostenute e sovvenzionate dall’AP di Arafat) hanno deciso di farsi chiamare Brigate Martiri di Yasser Arafat ed esortano i palestinesi ad attaccare Israele per vendicare “l’assassinio sionista” del loro leader.