O la strada di Balawi o quella di Zeid

L’unico modo per battere i jihadisti è far sì che vengano sconfitti all’interno dell’islam

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2715Durante la Guerra fredda gli occidentali potevano consolarsi con la convinzione che la maggior parte delle popolazioni al di là della Cortina di ferro non credesse nel comunismo: erano semplicemente intrappolate in un sistema moralmente in bancarotta, guidato da un’ideologia moribonda. Non fu tanto il fascino del capitalismo che alla fine conquistò le popolazioni dell’Europa orientale, quanto il fallimento del comunismo.
Ed oggi, che cos’è che ci vorrà per “convertire” un gran numero di musulmani attualmente soggiogati dall’estremismo islamico, e per convincere quelli disimpegnati a non seguire le orme degli islamisti?
Molto dipenderà dall’esito della guerra attualmente in corso all’interno della stessa civilizzazione islamica fra coloro che promuovono la jihad contro l’occidente e coloro secondo i quali l’islam non ha bisogno di distruggere l’occidente per potersi sviluppare.
Martedì scorso, questo giornale riportava una notizia del Washington Post: “La Giordania si rivela l’alleato chiave della Cia contro il terrorismo”. L’articolo del corrispondente per le questioni di sicurezza nazionale del giornale statunitense rivelava che un agente giordano, che operava in tandem con l’intelligence americana, era una delle persone rimaste uccise nell’attentato islamista suicida che l’altra settimana ha colpito una base della Cia presso il confine fra Afghanistan e Pakistan. Ed ora emerge che l’attentatore suicida era un medico giordano di 36 anni che rispondeva al nome Humam Khalil Abu-Mulal al-Balawi. Era stato “convertito” e reclutato – o almeno così si pensava – durante un periodo che trascorse in un carcere giordano per attività jihadiste. Secondo la tv Al Jazeera, il medico poi trasformatosi in attentatore suicida era in Afghanistan nel quadro di un’operazione volta a incastrare un altro medico, Ayman al-Zawahiri, uno dei due massimi capi di al-Qaeda. Balawi aveva fornito così tante informazioni affidabili che di lui ci si fidava al punto da lasciarlo entrare in una postazione della Cia senza che fosse attentamente perquisito.
L’agente giordano ucciso, Sharif Ali bin Zeid, era il “contatto” di Balawi. Lo stesso re Abdullah II di Giordania ha partecipato ai funerali di Zeid, suscitando le ire degli islamisti all’interno del regno hashemita.
Questa cupa vicenda di spionaggio e tradimenti offre una perfetta metafora di come deve di essere combattuta la guerra – tuttora senza nome – della società libera, aperta e civile contro le forze oscurantiste e retrograde della coercizione, del fanatismo e dell’intolleranza. Bisogna esortare i musulmani a scegliere: o la strada di Balawi o quella di Zeid.
L’unico modo concreto per sconfiggere gli islamisti è far sì che siano sconfitti dall’interno. Dopo tutto, gli islamici non-islamisti si giocano moltissimo nell’esito di questo scontro.
Martedì scorso il presidente Barack Obama si è riunito nella situation-room della Casa Bianca con i suoi massimi collaboratori in tema di sicurezza nazionale interna ed esterna. Due i punti all’ordine del giorno: far chiarezza su cosa sia andato storto, a livello sistemico e individuale, permettendo ad Umar Farouk Abdulmutallab di salire a bordo del volo Northwest 253, e fare un bilancio del danno causato dall’attentato che Balawi ha compiuto nella base operativa di Chapman dove sono caduti, oltre a Zeid, sette valorosi agenti della Cia, che insieme totalizzavano un centinaio di anni di esperienza.
Questo tradimento, come altri precedenti atti di infamia commessi in Pakistan, Yemen e altrove, sottolinea quanto l’occidente dipenda dal fattore umano per l’intelligence fornita da coloro che navigano nelle acque del fanatismo anti-occidentale.
Ma ne emergono anche altre lezioni da apprendere. Gli islamisti non vanno sottovalutati. Stanno diventando molto bravi in fatto di contro-spionaggio e disinformazione. Gli israeliani ne hanno fatto esperienza con Hezbollah in Libano. Ora Peter Baker, del New York Times, rivela che l’intelligence Usa c’era quasi cascata nel credere che islamisti dalla Somalia si fossero infiltrati negli Stati Uniti per far esplodere delle bombe durante il discorso inaugurale di Obama. Per fortuna John Brennan, assistente del presidente per la sicurezza interna e l’antiterrorismo, capì che era in corso una “polpetta avvelenata” di un gruppo terrorista che cercava far eliminare i suoi rivali dagli Stati Uniti: roba alquanto sofisticata, che dà l’idea di cosa l’occidente si trovi ad affrontare.
Un’ulteriore lezione da trarre è di non minimizzare gli attentatori suicidi come dei “depressi privi di autostima”, altrimenti si rischia di essere presi alla sprovvista dai tipi come Balawi, ben più difficili da catalogare. Il dottor Balawi aveva detto una volta a un magazine islamista: “Ho una predisposizione per la jihad e per il martirio sin da quando ero piccolo. Se l’amore per la jihad entra nel cuore di un uomo non lo lascia più, anche se lui lo volesse”.
Chiaramente alcuni islamisti sono irredimibili. Ma altri non lo sono. Se l’occidente saprà riconoscere le dimensioni della sfida e affrontarla efficacemente, se vi saranno abbastanza persone coraggiose del calibro di Sharif Ali bin Zeid che si adopereranno per salvaguardare l’islam dal suo interno, allora potremo ragionevolmente sperare che un giorno gli jihadisti si ritroveranno relegati nella pattumiera della storia. Se…

(Da: Jerusalem Post, 6.1.10)

Nella foto in alto: 2 gennaio, guardia d’onore giordana ai funerali dell’agente Ali bin Zeid, il 30 dicembre a Camp Chapman in Afghanistan, in insieme a sette agenti della Cia, dall’attentatore suicida Humam Khalil Abu-Mulal al-Balawi