Operazione verità su Gerusalemme

La negazione arabo-palestinese della storia e dell’identità ebraica è uno dei maggiori ostacoli che impediscono accordo e convivenza. Ecco perché affermare la verità su Gerusalemme può servire alla pace

Di Emmanuel Navon, Michael Boyden, Reuven Berko, Avi Issacharoff, Haim Shine

ULTIMAORA. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato mercoledì sera che gli Stati Uniti riconoscono ufficialmente Gerusalemme come capitale d’Israele e che trasferiranno la loro ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. “Oggi – ha detto Trump parlando dalla Casa Bianca – riconosciamo finalmente ciò che ovvio, che Gerusalemme è la capitale di Israele. E’ la cosa giusta da fare, un passo da tempo dovuto per promuovere il processo di pace e adoperarsi per un accordo durevole”. Trump ha ricordato che nel 1995 il Congresso adottò con una larga maggioranza bipartisan la decisione di spostare l’ambasciata a Gerusalemme, sottolineando che tutti i suoi predecessori hanno firmato il rinvio della mossa per oltre vent’anni “nella convinzione che tale rinvio avrebbe fatto avanzare la causa della pace. Ma dopo più di vent’anni di rinvii – ha continuato Trump – non siamo più vicini a un accordo di pace duraturo tra israeliani e palestinesi. Sarebbe una follia pensare che ripetere la stessa formula possa produrre risultati diversi o migliori. Ho deciso che è ora di riconoscere ufficialmente Gerusalemme come capitale d’Israele. Non possiamo risolvere la questione mediorientale con il vecchio approccio, ne serve uno nuovo – ha detto ancora il presidente americano – La scelta di oggi su Gerusalemme è necessaria per la pace” e “la pace in Medio Oriente è necessaria per sradicare l’estremismo”. “Israele – ha spiegato Trump – è uno stato sovrano e ha il diritto, come ogni altro paese, di determinare la propria capitale. Capire questo è una condizione necessaria per arrivare alla pace. Gerusalemme non è solo il cuore di tre religioni, ma di una delle democrazie più importanti al mondo. Gli israeliani hanno costruito un paese dove tutti sono liberi di professare la propria religione. Gerusalemme è e deve restare un posto dove gli ebrei pregano al Muro Occidentale, i cristiani percorrono le stazioni della Via Dolorosa e i musulmani pregano nella moschea al-Aqsa. Per decenni non abbiamo riconosciuto nessuna capitale d’Israele. Oggi riconosciamo l’ovvio: che Gerusalemme è la capitale d’Israele. È il riconoscimento della realtà, niente di più e niente di meno. Gerusalemme è la sede del governo e del parlamento israeliano, così come della Corte Suprema; è la residenza ufficiale del primo ministro e del presidente”. Trump ha aggiunto d’aver dato disposizione al Dipartimento di stato di dare avvio al processo di trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, come richiesto dalla legge approvata nel 1995. Trump ha anche detto che tale decisione non compromette i confini geografici e politici della città, che dovranno essere determinati da israeliani e palestinesi, e ha ribadito che gli Stati Uniti “appoggeranno una soluzione a due stati se concordata da entrambe le parti”. “Voglio anche chiarire bene un punto – ha detto – Questa decisione non intende in alcun modo riflettere un allontanamento dal nostro forte impegno a promuovere un accoro di pace duraturo. Non stiamo prendendo in alcun modo posizione in merito a questioni relative allo status finale, inclusi i confini specifici della sovranità israeliana a Gerusalemme o la soluzione sui confini contesi, che sono di competenza delle parti coinvolte”. “E’ tempo che i tanti che desiderano la pace espellano gli estremisti dal loro interno. E’ tempo che tutte le nazioni e i popoli civili reagiscano ai disaccordi con il dibattito ragionevole, non con la violenza”. “Dio benedica gli israeliani, Dio benedica i palestinesi” ha detto Trump chiudendo il breve discorso durato una dozzina di minuti. (Da: YnetNews, Ha’artez, israele.net, 6.12.17)

Emmanuel Navon

Scrive Emmanuel Navon: Il presidente della Lega Araba, Ahmed Abul Gheit, ha avvertito il presidente Usa Donald Trump che riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele renderebbe un cattivo servizio al processo di pace israelo-palestinese e scatenerebbe la violenza in Medio Oriente. Data l’assenza di un processo di pace e l’abbondanza di violenze in Medio Oriente, l’avvertimento di Aboul-Gheit suona quasi risibile. Anziché infiammare la regione, riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele spingerebbe in realtà il mondo arabo a prendere atto di un fatto fondamentale: sono tramontati i tempi della sfacciata negazione della realtà storica (vero ostacolo al negoziato e alla convivenza) e Israele viene ricompensato per essere l’unico paese in tutta la regione che protegge realmente i luoghi santi di tutte le fedi.

Il piano di spartizione delle Nazioni Unite del 1947 (rifiutato dalla parte araba) aveva raccomandato l’internazionalizzazione di Gerusalemme, ma la raccomandazione non venne mai attuata. La Lega Araba lanciò una guerra contro il neonato stato di Israele, e gli accordi armistiziali del 1949 congelarono la spaccatura della città tra Israele (a ovest) e Giordania (a est). Questa divisione di fatto di Gerusalemme non è mai stata riconosciuta dalla comunità internazionale.

La Knesset (il parlamento israeliano) a Gerusalemme

Nel dicembre 1950 Israele dichiarò Gerusalemme come propria capitale e la Giordania annesse la parte est di Gerusalemme che aveva occupato manu militari. Nessun paese ha riconosciuto quelle annessioni, ma a partire dal 1952 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha lasciato cadere dalla sua agenda l’internazionalizzazione di Gerusalemme. Lo status quo venne tacitamente accettato, anche se non venne mai approvato giuridicamente. La guerra dei sei giorni del giugno 1967 portò Gerusalemme est sotto il controllo di Israele. Guarda caso, tutt’a un tratto lo status di Gerusalemme – che fino ad allora era stato ampiamente ignorato e non aveva scaldato gli animi di nessuno (basti pensare che la stessa Olp non ne rivendicava la sovranità nella sua Carta Nazionale del ’64) – divenne improvvisamente molto rilevante e controverso. La sovranità di Israele su Gerusalemme est viene contestata, ma la sua sovranità su Gerusalemme ovest non è mai stata riconosciuta. Il governo degli Stati Uniti, ad esempio, continua a rifiutarsi di registrare i cittadini americani nati a Gerusalemme (anche a Gerusalemme ovest) come “nati in Israele”. I vari governi statunitensi hanno sempre ribadito che sulla questione riconosceranno ciò che concorderanno israeliani e palestinesi, ma finora un siffatto accordo appare irraggiungibile e il divario tra le parti rischia di rimanere incolmabile.

Gerusalemme ai primi del ‘900. I due edifici a cupola nella parte bassa della foto sono le antiche sinagoghe di Hurva e Tiferet Yisrael, distrutte dalla Legione Araba quando occupò la parte est della città nel 1948 (clicca per ingrandire)

Durante i negoziati a Camp David (nel luglio 2000) e a Taba (nel gennaio 2001), i palestinesi si spinsero fino a negare che sia mai esistito un Tempio ebraico a Gerusalemme, disconoscendo legittimità a qualsiasi rivendicazione ebraica sul Monte del Tempio e sulla città. Eppure Gerusalemme è comunemente indicata nelle fonti islamiche come Bayit al-Maqdis, che è la traslitterazione araba dell’ebraico Beit Hamikdash (che significa “il Tempio”). Una guida turistica pubblicata dal Consiglio Supremo Islamico nel 1924 descriveva il Monte del Tempio come l’antico sito del Tempio di Salomone. La “negazione del Tempio” da parte araba-palestinese è dunque un fenomeno del tutto nuovo e strumentale che contraddice la stessa tradizione musulmana, per non dire di tutte le testimonianze archeologiche e le fonti storiche (a partire dalla Guerra giudaica di Flavio Giuseppe). Ed è – forse è il caso di ricordarlo – profondamente offensivo per l’identità e la fede ebraica.

Le negazione della storia da parte araba-palestinese (giunta sino al punto di manipolare l’Unesco) era e rimane uno dei principali ostacoli a un accordo sullo status finale di Gerusalemme, e più in generale alla convivenza e alla pace fra le due popolazioni. La mancanza di rispetto per le altre fedi porta alla profanazione dei loro luoghi santi. Quando Gerusalemme est era sotto dominio giordano (tra il 1949 e il 1967), agli ebrei venne negato l’accesso al Muro Occidentale (“del pianto”), furono distrutte decine di sinagoghe (inclusa la famosa sinagoga di Hurva del XVIII secolo) e venne profanato il millenario cimitero ebraico sul Monte degli Ulivi. Negli anni ’90, l’Autorità Palestinese ha vandalizzato le antichità ebraiche sotto il Monte del Tempio allo scopo di ricavarvi due nuove moschee, nel totale disprezzo per i preziosi reperti archeologici e per la sensibilità degli ebrei. Al contrario, solo la sovranità israeliana ha garantito la libertà religiosa per tutti e la tutela dei luoghi santi delle tre religioni monoteiste.

Il presidente Trump può benissimo riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele senza precludere con questo lo status finale dei luoghi santi o possibili cambiamenti futuri dei confini della municipalità. Non sarebbe nemmeno il primo. La Russia lo ha già fatto riconoscendo la sovranità di Israele su Gerusalemme ovest. Lo scorso aprile il Ministero degli esteri russo ha dichiarato: “Consideriamo Gerusalemme ovest come capitale di Israele”. Se lo può fare la Russia, perché non possono farlo gli Stati Uniti e altri? È tempo che gli Stati Uniti esercitino di nuovo una leadership in Medio Oriente. Porre fine a questa anomalia vecchia di settant’anni, premiando l’unico paese di tutta la regione che tutela la libertà religiosa e lo stato di diritto, è un buon modo per iniziare a farlo. (Da: Times of Israel, 6.12.17)

Michael Boyden

Scrive Michael Boyden: In quanto cittadino israeliano, non mi turba particolarmente la tanto preannunciata e reclamizzata dichiarazione del presidente Trump secondo cui Gerusalemme è la capitale di Israele. Stando al dizionario, una capitale è “la città dove hanno sede gli organismi legislativi e amministrativi centrali di uno stato”. Questo è esattamente ciò che Gerusalemme è per Israele (e non è mai stata per nessun altro paese). … La comunità internazionale insiste con la sceneggiata di tenere le ambasciate a Tel Aviv, ma i suoi ambasciatori e ogni altro funzionario e rappresentante politico e governativo sale a Gerusalemme quando deve trattare con le autorità israeliane (è a Gerusalemme che hanno sede la Presidenza della repubblica, il Governo, il Primo ministro, il Parlamento, la Corte Suprema). … Certo, resta il problema dei palestinesi e della necessità di arrivare a un accordo con loro. Ma nessuno può seriamente pensare che Israele trasferirà mai la propria sede di governo a Tel Aviv nel contesto di un qualunque accordo di pace. Dunque, sarebbe ora di smetterla di fare giochetti. (Da: Times of Israel, 6.12.17)

Reuven Berko

Scrive Reuven Berko: Sin dai tempi del capo dell’Olp Yasser Arafat, i tre dogmi impiantati nella testa dei palestinesi – Gerusalemme “palestinese”, “il diritto al ritorno”, il rifiuto di riconoscere Israele come stato nazionale del popolo ebraico – sono serviti per impedire qualunque accordo di pace definitivo con Israele. Parlando con personalità palestinesi come il fondatore di Hamas, Ahmed Yassin, e il mufti e politico Faisal Husseini, ho sempre sottolineato il fatto che, sul piano storico, Gerusalemme non è mai stata la capitale di uno stato arabo-palestinese (che non è mai esistito) e lo stesso Corano indica gli ebrei come eredi di questa terra. E ho sempre aggiunto che la moschea di Al-Aqsa non è un luogo sacro “per i palestinesi” ma per i musulmani in generale, e ho ricordato il fatto che nel mondo arabo-musulmano nessun altro luogo sacro islamico è mai stato scelto come capitale, tanto è vero che non sono capitali né la Mecca né Medina e che la stessa Giordania non si sognò di fare Gerusalemme capitale quando governò la città dal 1948 al 1967. Ebbene, devo ancora trovare un palestinese che sia in grado di controbattere queste argomentazioni. (Da: Israel HaYom, 5.12.17)

Avi Issacharoff

Scrive Avi Issacharoff: Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha parlato in questi giorni con tutti possibili leader arabi ed europei minacciando che una mossa come quella prospettata da Trump su Gerusalemme potrebbe scatenare violenze. Se ci sarà effettivamente un aumento della violenza, non deriverà da attacchi di “lupi solitari” o di fazioni palestinesi marginali: sarà piuttosto una scelta concertata dall’alto, dallo stesso presidente palestinese, proprio come ai brutti tempi di Yasser Arafat. Per Abu Mazen, Gerusalemme è come lo straccio rosso per il toro. Durante i negoziati fra Israele e Olp a Camp David nel 2000, Abu Mazen fu tra i capi che si opposero a un accordo che comportava una qualche rinuncia palestinese sul Monte del Tempio. Ogni volta che Gerusalemme compare nell’agenda del Medio Oriente, Abu Mazen alza la voce. Nell’autunno 2015 non esitò a infiammare i palestinesi accusando gli ebrei di “profanare al-Aqsa con i loro sozzi piedi”.

Abu Mazen: “(gli ebrei) non hanno diritto di profanare (i luoghi santi) con i loro sozzi piedi” (tv dell’Autorità Palestinese, 16.09.2015)

Lo scorso luglio, nel mezzo della crisi sui metal detector alle porte del Monte del Tempio (generata da un sanguinoso attentato perpetrato da terroristi palestinesi proprio a partire dal sito sacro: circostanza che curiosamente non venne considerata blasfema e non suscitò l’indignazione islamica), Abu Mazen ha compiuto la mossa senza precedenti di congelare il coordinamento con Israele sulla sicurezza.

Ora sta praticamente ordinando ai suoi uomini di intensificare le violenze. La sua fazione Fatah ha già pubblicato martedì un annuncio ufficiale che indice  “tre giornate della rabbia”. È probabile che in queste ore venga data luce verde alle milizie Tanzim per scendere nelle strade e che venga detto alle forze di sicurezza palestinesi di girarsi dall’altra parte. Almeno per il momento, Abu Mazen sembra soprattutto determinato a non lasciare a Hamas né a chiunque altro il ruolo di protagonista nella “battaglia per Gerusalemme”, non importa a quale prezzo. Può non importargli granché d’essere indicato fra i palestinesi come il responsabile del collasso del processo di riconciliazione tra Fatah e Hamas, ma non ha nessuna intenzione d’essere accusato d’essersi arreso e d’aver abbandonato Gerusalemme. (Da: Times of Israel, 6.12.17)

Haim Shine

Scrive Haim Shine: Paesi arabi, palestinesi, arabi israeliani, Iran e varie organizzazioni terroristiche stanno cercando di intimidire gli Stati Uniti e Israele. Da giorni sentiamo le loro incessanti minacce apocalittiche, come se la dichiarazione di Trump su Gerusalemme significasse la fine del mondo. Il mio auspicio è che Trump non si faccia scoraggiare. E’ ora che l’Occidente la smetta di farsi ricattare dalle minacce. Mostrarsi timorosi e titubanti di fronte alla minaccia di violenze non fa che incitare ulteriori ricatti e terrorismo. A differenza di quanto afferma la maggior parte dei mass-media, personalmente non ho dubbi che la decisione di Trump possa aiutare a promuovere la pace tra Israele e palestinesi. Se non c’è alcun vero processo di pace la cosa è in gran parte dovuta al fatto che i palestinesi e i loro soci sono convinti che gli ebrei sono una sorta di Crociati, inquilini provvisori nel loro stesso paese, destinati prima o poi ad essere cacciati in mare. Finché i paesi e le agenzie nel mondo continuano ad assecondare questa falsa convinzione, e le false illusioni che essa alimenta nei palestinesi, costoro non avranno alcun motivo per scendere a patti con Israele e accettare un accordo di pace definitivo. La posizione di Trump su Gerusalemme, nel mezzo dei rivolgimenti geopolitici che si registrano nella regione, può invece servire per convincere arabi e palestinesi che Israele è qui per restare, che ha profonde e riconosciute radici in questo paese e che dunque accettare il dialogo e il compromesso con Israele è anche nel loro interesse. L’idea di arrivare alla pace esercitando tutte le pressioni solo su Israele si è dimostrata fallimentare. E’ ora di cambiare approccio. La pace non è certo imminente, ma una decisione come questa su Gerusalemme apre una porta, contribuendo a renderla possibile. (Da: Israel HaYom, 6.12.17)

 

Archeologi israeliani hanno recentemente scoperto che il simbolo della Menorà (il candelabro ebraico) adornava monete e vasellame musulmano agli albori del periodo islamico, 1.300 anni fa. Reperti con inscritto il simbolo ebraico risalenti alla dinastia Omayyade (VII-VIII sec. e.v.) sono stati trovati in vari siti archeologici in Israele. L’anno scorso, gli archeologi Assaf Avraham, dell’Università Bar-Ilan, e Peretz Reuven, dell’Università di Gerusalemme, avevano scoperto un’antica iscrizione islamica che si riferisce alla Cupola della Roccia col termine “Beit al-Maqdis” (Il Tempio), a riprova che nei primi tempi dell’islam i musulmani percepivano il santuario come una versione islamica del Tempio di Salomone. I manufatti ora scoperti presentano sia la Menorà che la professione di fede islamica, scritta in arabo. “Ci auguriamo che molti musulmani vengano a conoscenza di questa parte del loro patrimonio religioso e culturale” ha detto Avraham (Jerusalem Post, 6.12.17)