Oriente, Occidente e Medio Oriente

Un modo affascinante per capire il Medio Oriente è cercare di spiegarlo a chi viene da una cultura diversa

Da un articolo di Barry Rubin

image_1800Un modo affascinante per capire qualcosa di più del Medio Oriente è cercare di spiegarlo a chi proviene da una storia e da una cultura completamente differenti. Mi è capitato di farlo in diversi posti un po’ in tutto il mondo, ma è la Thailandia quella che offre un esempio particolarmente interessante della singolarità, in termini globali, e della natura bizzarra del Medio Oriente.
Naturalmente, la maggior parte della gente in Asia ha meno preconcetti sul Medio Oriente perché indù e buddisti non hanno legami con la Terra Santa, o con quella che potrebbe essere chiamata la Regione Santa, fattore che invece influenza molto la percezione di ebrei, cristiani e musulmani.
Benché abbiano alcuni interessi strategici nella regione, anche questi tendono ad essere meno numerosi che in altri posti. Vi sono certamente legami economici, in particolare il flusso di migliaia di lavoratori asiatici verso il Medio Oriente e la dipendenza di parte dell’Asia dalle fonti energetiche mediorientali. Per quanto riguarda i primi, molti dei lavoratori asiatici confluiscono verso il Golfo Persico dove stipendi bassi secondo gli standard locali comportano risparmi relativamente grandi una volta portati a casa. Solo in Israele si stima che vi siano circa 30.000 lavoratori tailandesi. Per quanto riguarda petrolio e gas naturale, lo sforzo di modernizzazione della Cina, per citare un caso, dipende in larga parte dalle importazioni dal Medio Oriente.
Per la verità, esiste anche un altro articolo esportato dal Medio Oriente: l’estremismo e il terrorismo islamista. A prima vista sorprende che questo sia diventato un grosso problema per un paese come la Thailandia. Ma gli islamici del paese costituiscono il 10% della popolazione, per lo più concentrati nell’estremo sud. La cosa è ulteriormente complicata da una questione etnica: il gruppo etnico tailandese comprende circa il 70% della popolazione, mentre i musulmani sono per lo più malesi, la comunità che è invece predominante nella vicina Malesia.
Negli anni scorsi la Thailandia ha malauguratamente ospitato quello che è probabilmente il più misterioso movimento terrorista islamista del mondo: non c’è un gruppo definito, non si vede alcuna leadership, non vi sono rivendicazioni né prove evidenti di appoggi esterni. Eppure i buddisti nel sud vengono regolarmente assassinati e con modalità particolarmente raccapriccianti, dai lavoratori delle piantagioni di caucciù, agli ambulanti che transitano in bicicletta su strade solitarie, agli studenti che vanno a scuola a piedi. Le vittime si contano già fra le 2.000 e le 2.500, e la situazione è diventata così grave che i buddisti stanno iniziando ad abbandonare la zona, che è presumibilmente uno dei principali obiettivi dei terroristi. Si sono registrati persino alcuni attentati a Bangkok, la capitale, dove vive il 20% dei 68 milioni di abitanti del paese.
La Thailandia è retta da una giunta militare e solo da poco sono stati varati dei progetti per il ritorno a un governo civile. Ma non si tratta di un sistema particolarmente repressivo o militarista. Tutto viene fatto a nome del re, che quest’anno celebra sia il suo 80esimo compleanno sia il suo 60esimo anno sul trono. L’esercito vuole evitare a tutti i costi di dare l’impressione di “occupare” il sud del paese e così si muove con molta cautela nell’affrontare il problema. Non è ancora considerata una guerra, ma prima o poi potrebbe esserlo.
Quali sono le caratteristiche della Thailandia che rendono così difficile ai suoi leader e i suoi intellettuali capire il Medio Oriente? Una è la chiara propensione per il pragmatismo che anima il paese. La Thailandia ha sicuramente molti problemi e conosce la vera povertà, ma ha anche fatto rimarchevoli progressi. E poi ha un buona tradizione in fatto di risoluzione delle dispute interne e nell’evitare problemi coi vicini. Per i tailandesi è del tutto ovvio che i problemi devono essere analizzati in termini logici e pratici puntando a trovare soluzioni senza ricorrere a ideologie e fanatismi. Per loro è inconcepibile che della gente scelga di mettere k.o. il proprio stesso paese.
Diversi paesi asiatici hanno conseguito straordinari successi sulla strada verso la democrazia e l’innalzamento degli standard di vita, grazie al duro lavoro e alla volontà di operare cambiamenti. In quasi tutte le categorie positive delle statistiche sociali ed economiche l’Asia tiene testa al Medio Oriente. Agli asiatici appare semplicemente senza senso che il pragmatismo venga respinto dalla maggior parte del Medio Oriente in termini di governi, movimenti, intellettuali e istituzioni.
Seconda caratteristica è l’accettazione a braccia aperte dell’occidentalizzazione, della modernizzazione e della globalizzazione. I tailandesi da tempo hanno accettato l’idea che possono imparare molto dall’occidente e importare idee e prodotti culturali senza alcun timore di annientamento. Di nuovo: vi sono, è vero, problemi reali, il più noto dei quali è quello dell’industria del sesso. Ma nessuno dubita che quella dell’apertura sia la strada più opportuna.
Si rimane con la sorprendente sensazione che molti dei più grandi paladini della civilizzazione occidentale si trovino oggi in Asia e in Africa. Questa è gente che ha sperimentato di prima mano o visto coi propri occhi guerra miseria e oppressione, ed ora ritiene d’aver trovato un modo per avere qualcosa di meglio. Di nuovo: un approccio molto diverso da quello che vediamo in Medio Oriente, a tutto svantaggio di quest’ultimo.
In terzo luogo, l’approccio occidentalizzante convive in Asia con un forte senso di solidità riguardo la propria identità. Ascoltare musica classica, leggere Shakespeare, vestire abiti occidentali non li fa sentire in alcun modo insicuri o timorosi di non essere più quello che sono. Il caso più evidente di questo fenomeno è il Giappone, ma anche Corea del Sud, Filippine e la stessa Cina costituiscono dei buoni esempi della capacità di mescolare proficuamente la propria cultura, il proprio sistema, le proprie idee con quelle dell’occidente. Cosa molto diversa da quanto avviene nella gran parte del mondo a maggioranza araba e musulmana.
In più di un’occasione amici arabi mi hanno raccontato delle discussioni fatte con cinesi o giapponesi. Ecco come si svolse una di quelle conversazione. “Come vi sentite per il fatto d’essere stati vittime dell’imperialismo occidentale per così tanti anni?”, venne chiesto a un funzionario cinese. “Abbiamo superato la cosa – fu la risposta – e siamo andati avanti con la nostra vita”.
Vi è molta saggezza nell’approccio asiatico a questi temi. In un certo senso, per loro è un fortuna che non riescano a capire il Medio Oriente.

(Da: Jerusalem Post, 5.08.07)

Nella foto in alto: L’autore di questo articolo