Ottimo il workshop in Bahrain, ma i precedenti non fanno ben sperare

In tutta la storia del conflitto arabo-israeliano, odio e violenza del nazionalismo anti-ebraico hanno sempre sconfitto prosperità e sviluppo

Di Ben-Dror Yemini

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

Il seminario economico di martedì e mercoledì in Bahrain rappresenta uno sforzo encomiabile, ma le sue chance di successo, se mai esistono, potranno derivare solo da una piena comprensione della storia del conflitto israelo-arabo-palestinese.

Più e più volte è stata conseguita una maggiore prosperità economica, più e più volte alcune nazioni arabe della regione ne hanno goduto e ne hanno beneficiato, e più e più volte le possibilità di sviluppo economico sono state distrutte da pessimi soggetti fomentatori di odio, spesso incoraggiati da leader politici e religiosi.

Nel 1918, Hussein ibn Ali al-Hashimi, che era l’emiro e lo sharif della Mecca, dichiarò: “La terra della Palestina è una terra vergine che verrà sviluppata dai migranti ebrei che vi affluiscono” a beneficio di tutti i residenti della zona. Alla Conferenza di pace di Parigi del 1919, suo figlio Faisal firmò una dichiarazione congiunta con Chaim Weizman, che rappresentava l’Organizzazione Sionista mondiale, con cui accettava la Dichiarazione Balfour riguardante una patria ebraica in Terra d’Israele/Palestina. Solo per un momento il futuro sembrò luminoso, ma prevalsero i fomentatori di odio. Faisal divenne re dell’Iraq e la famiglia Saud prese il controllo dell’Hijaz.

Gli ebrei continuarono ad affluire in Terra d’Israele/Palestina. Le infrastrutture, le fabbriche e lo sviluppo dell’agricoltura portarono alla cooperazione arabo-ebraica e a una prosperità economica senza precedenti (che attirò anche molti immigranti arabi dalle terre circostanti, ndr). Ma tutto questo ebbe fine con le violenze della rivolta araba contro le forze mandatarie britanniche del 1936. La Commissione Peel, giunta per analizzare la situazione, dichiarò tra l’altro che, sebbene la popolazione araba avesse beneficiato dell’afflusso di ebrei, la cosa non aveva sortito un effetto pacificatore. Al contrario, con precisione quasi matematica la prosperità economica alimentava l’instabilità politica.

Proteste palestinesi contro la conferenza in Bahrain sull’economia per la pace. Sulla bandiera a destra, in rosso, la consueta mappa con la rappresentazione delle rivendicazioni territoriali palestinesi: Israele è cancellato dalla carta geografica (clicca per ingrandire)

Haj Amin al-Husseini era un capo politico arabo dell’epoca che intraprese una campagna omicida contro la cooperazione economica con gli ebrei, lanciando di fatto una guerra contro la prosperità finanziaria che essi portavano. Al-Husseini non riuscì ad uccidere molti ufficiali britannici o molti ebrei residenti in Terra d’Israele/Palestina, ma fece assassinare migliaia dei suoi che avevano scelto di cooperare con gli ebrei e godere dei benefici economici che ne derivavano. Fuggì in Iraq, dove continuò a istigare l’odio contro gli ebrei sfociato nel 1941 nell’uccisione a sangue freddo di 186 ebrei residenti a Bagdad in un pogrom passato alla storia come il Farhud. Gli ebrei facevano parte della spina dorsale dell’economia irachena, ma dopo quella campagna di omicidi la maggior parte di loro lasciò il paese. Questa modalità continuò con i successori di Al-Husseini. Ovunque riuscissero a istigare odio e fomentare violenze, inevitabilmente seguivano fame e distruzione. Mentre Al-Husseini, dal canto suo, conduceva una vita di lussi garantitagli dalla Germania nazista.

Il piano per la spartizione della Palestina adottato dall’Onu nel 1947 per promuovere la creazione di due stati in Terra d’Israele/Palestina, uno stato per gli ebrei e uno per gli arabi palestinesi, prevedeva una stretta cooperazione economica. Invano. Fu rifiutato da tutti i capi arabi, che alla cooperazione con gli ebrei preferirono l’odio, l’istigazione e la distruzione per i loro stessi paesi. Il prezzo di quello storico errore furono gli oltre 700.000 sfollati arabi, che divennero profughi nella stessa Palestina e nei paesi limitrofi.

Dopo la guerra del 1948, le Nazioni Unite decisero di istituire l’agenzia Unrwa per i profughi palestinesi e di investire enormi somme per riabilitare le loro condizioni. Ma quei fondi non vennero usati per lo scopo cui erano destinati. Un eccezionale leader palestinese, Musa Alami, adottò un approccio diverso. Fondò una fattoria agricola vicino alla città di Gerico, in Cisgiordania (allora sotto controllo giordano, ndr), dando lavoro a centinaia di famiglie. Aprì anche una scuola e un centro per bambini orfani, e i prodotti agricoli della fattoria erano destinati ai mercati internazionali. (Nel 1949 Alami scrisse sul Middle East Journal: “È vergognoso che i governi arabi impediscano ai profughi arabi di lavorare nei loro paesi, e chiudano loro le porte in faccia imprigionandoli nei campi”, ndr). Alami era anche un convinto nazionalista arabo che predicava la futura distruzione dello stato ebraico, e tuttavia venne considerato un traditore per aver creato una fondazione economica. Negli anni ’50 la sua proprietà venne devastata da una folla in tumulto.

Si potrebbe andare avanti. Negli anni ’90, dopo la firma degli Accordi di Oslo, vennero varati aiuti internazionali senza precedenti per i palestinesi, ma ciò non impedì loro di respingere i piani di pace approntati dall’allora primo ministro israeliano Ehud Barak e dal presidente americano Bill Clinton, e lanciare invece una violenta insurrezione (l’intifada degli attentati suicidi, ndr) durata parecchi anni.

L’economia palestinese dipende totalmente dagli aiuti. Di fatto sono in testa a tutte le classifiche mondiali per quantità di aiuti pro capite. Se si sommano gli aiuti da varie fonti e i fondi dell’Unrwa, ne risultano cifre enormi tanto che le proposte di finanziamento discusse nel workshop in Bahrein risultano modeste rispetto agli importi che i palestinesi hanno già ricevuto. Anche Israele ha ricevuto grandi aiuti da privati e dagli Stati Uniti, ma ha utilizzato quei fondi per sviluppare la sua economia, non per preservare in eterno il ruolo di vittima dipendente dalla carità internazionale.

Dunque, benché il seminario in Bahrain meriti di essere lodato e applaudito, bisogna chiedersi cos’è che è tanto cambiato da far pensare che, oggi, il nazionalismo estremista e l’istigazione araba possano portare a risultati diversi da quelli del passato.

(Da: YnetNews, 25.6.19)