Padre Nadaf, il «cristiano di lingua araba» che osa sostenere l’integrazione nella società israeliana

Vessato e minacciato da Autorità Palestinese e parlamentari arabi alla Knesset.

Editoriale del Jerusalem Post

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Sigillo del Patriarcato Greco-Ortodosso di Gerusalemme

La vessazione del sacerdote greco-ortodosso Padre Gabriel Nadaf, residente a Nazareth (nord Israele), ha conosciuto un salto di qualità quando il Patriarcato di Gerusalemme ha minacciato di licenziarlo e privarlo dei suoi mezzi di sostentamento. L’imperdonabile colpa di Nadaf è il suo aperto sostegno all’integrazione nella generale società israeliana degli arabi cristiani israeliani – o meglio: degli israeliani cristiani di lingua araba, come Nadaf preferisce definire se stesso e i suoi seguaci. Per questo, Nadaf sostiene apertamente e coraggiosamente, anche se non necessariamente caldeggia, il crescente numero di giovani cristiani interessati ad arruolarsi (volontari) nelle Forze di Difesa israeliane, così come quelli che vogliono prestare servizio civile nazionale nelle rispettive comunità.
Tanto è bastato perché il suo nome finisse nel mirino dei parlamentari arabo-israeliani estremisti, compreso l’unico parlamentare arabo greco-ortodosso, Basel Ghattas (del partito Balad), e per scatenare smodate pressioni sul Patriarcato di Gerusalemme perché si dissoci da Nadaf e lo punisca. Naturalmente anche l’Autorità Palestinese si è subito rivolta al Patriarcato. Nadaf è stato lasciato sostanzialmente solo a combattere la sua battaglia, anche se riceve il tacito appoggio di tanti membri della sua comunità e di altri sacerdoti. Purtroppo i leader ebrei israeliani prestano poca attenzione alle tribolazioni di Nadaf e a quelle dei cristiani che servono nelle Forze di Difesa o nel servizio civile nazionale, ai quali egli offre il suo sostegno spirituale e psicologico.
E così, mentre gli israeliani ne sono inconsapevoli, Nadaf subisce in continuazione sinistre minacce di morte. Per molti mesi, in violazione della legge, è stato bandito da uno dei luoghi più sacri della cristianità, la Basilica dell’Annunciazione di Nazareth, ed è stato ostracizzato nella sua stessa città. Ad organizzare l’ostracismo contro Nadaf sono stati in primo luogo i parlamentari arabi Haneen Zoabi e Basel Ghattas, del Balad, insieme a quello di Hadash, Muhammad Barakei, i quali si sono impunemente dati all’istigazione contro il sacerdote. Il che dovrebbe turbare ogni israeliano, a cominciare da quelli che hanno tanto a cuore, giustamente, libertà democratiche come la libertà d’espressione.
A fine giugno, attivisti arabi cristiani pro-Israele hanno tenuto un incontro a Yafia (Galilea), dove Nadaf guida una congregazione, durante il quale hanno riferito che, solo nei primi sei mesi di quest’anno, 94 arabi cristiani hanno firmato per il servizio militare, contro i 30 di tutto il 2010. Sulla loro pagina Facebook le nuove reclute si presentano come “cristiani israeliani di lingua araba”, dicono di vivere in uno stato ebraico democratico di cui si considerano parte integralmente (i cristiani sono presenti in questa terra da secoli prima dei musulmani) e dicono che non smetteranno di affermarlo, soprattutto alla luce dell’amara sorte dei loro correligionari in Siria, Iraq, striscia di Gaza e Autorità Palestinese. Il loro obiettivo, sottolineano, è il tipo di status di cui godono gli israeliani drusi (di lingua araba) e circassi (musulmani) che, per inciso, prestano regolarmente servizio militare.
Appena si è tenuta la manifestazione, l’Autorità Palestinese si è precipitata a chiedere che Nadaf venisse licenziato, e le minacce contro la sua persona si sono moltiplicate. Nadaf parla di “lampante intimidazione, volta a spaventare i giovani cristiani perché non si identifichino con Israele come cittadini israeliani a tutti gli effetti”.
Ma qui non si tratta solo dell’individuo braccato Nadaf, né della opportunistica capitolazione ecclesiastica di fronte a una pura e semplice prepotenza, beffardamente messa in atto da musulmani. Qui è in ballo una questione importante per lo Stato ebraico. Lo spettacolo di parlamentari israeliani che abusano della libertà che caratterizza Israele per minare lo Stato non può che scoraggiare i potenziali amici d’Israele all’interno della comunità arabo-cristiana. Dovendo sopravvivere sotto il tallone musulmano all’interno della minoranza araba israeliana, i cristiani hanno sempre mantenuto un basso profilo cercando di non dare nessun fastidio e spesso abbracciando le posizioni più estremiste per fare mostra di lealtà ed evitare rischi. Gli estremisti arabi fanno paura, gli ebrei democratici e liberali no. I giovani cristiani che ora desiderano spezzare questo corso meritano d’essere incoraggiati, non scoraggiati e tanto meno intimoriti.
Che all’interno di Israele degli agit-prop anti-israeliani possano farla franca con le loro minacce e le loro buffonate è un concetto pericoloso. La mancanza di una qualunque reazione ufficiale non può che generare disprezzo per lo stato di diritto israeliano.

(Da: Jerusalem Post, 26.6.13)

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