Palestinesi al bivio

Forse Fatah ha capito che Hamas è il nemico, e l’unica via è l’accordo con Israele

Da un articolo di Moshe Elad

image_1742I fatti di Gaza hanno messo Fatah in cattiva luce, agli occhi dei palestinesi. Hanno dimostrato che i lunghi anni trascorsi all’estero mescolandosi con Europa, Israele e Stati Uniti l’hanno resa diversa, più realistica, meno militante. Lo zelo rivoluzionario si è andato dissolvendo, si è istituzionalizzato, ha messo su pancia, assomigliando alle organizzazioni occidentali. Ma Fatah non ha riconosciuto tutto questo: voleva essere ammessa nel salotto occidentale, ma non voleva pagare i prezzi necessari come ad esempio combattere apertamente contro Hamas.
È evidente che il vero ostacolo alla penetrazione di Hamas dalla striscia di Gaza in Cisgiordania non è dato dai mezzi blindati o dalle migliaia di mitra che il presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha chiesto al primo ministro israeliano Ehud Olmert. La massiccia scarcerazione di detenuti e le centinaia di migliaia di dollari che dovrebbero “sostenerlo finanziariamente” certamente non porteranno al cambiamento sperato. Quello che occorre è un mutamento di strategia e di percezione, una svolta pubblica rispetto al discorso per la pace e sul fare la pace. Il resto verrà da sé.
Se l’Autorità Palestinese resterà attaccata alla sua cara, vecchia politica, quella per cui è possibile impegnarsi in colloqui di pace e allo stesso tempo “lottare per la liberazione della Palestina”, allora Hamas potrà stare tranquilla: arriverà presto anche a Hebron e a Nablus. Se Abu Mazen continuerà ad entrare nell’ufficio di Olmert per negoziare mentre i suoi uomini mandano i “martiri” delle Brigate al-Aqsa a fare attentati anti-israeliani, i sostenitori di Fatah che ancora esistono in Cisgiordania passeranno preso ad appoggiare Hamas. Hamas, lo abbiamo visto tutti, è più abile di Fatah quando si tratta di lotta armata ed è ben più esperta in fatto di terrorismo. A Fatah non conviene competere con Hamas su questo terreno perché verrebbe ripetutamente sconfitta.
Ciò che sta accadendo da alcuni anni a questa parte nei territori fra Fatah e Hamas è un classico caso di “allievo che ha superato il maestro”. Quando Fatah, all’inizio degli anni ’60, si votò alla lotta armata, al terrorismo e all’eliminazione di Israele, Hamas era ancora di là da nascere. Poi però Hamas ha lentamente appreso da Fatah la lezione del terrorismo, tanto da mettere in ombra la lotta armata di Arafat, verso la fine degli anni ’80, con una sanguinosa campagna terroristica contro civili e militari israeliani.
Sono passati altri due decenni e la strage perpetrata da Khaled Mashaal e Ismail Haniyeh contro la gente di Abu Mazen e Muhammad Dahlan nella striscia di Gaza entrerà tragicamente negli annali della storia palestinese. Come dicono alcuni palestinesi, il mostro si è rivoltato contro il suo artefice.
C’è qualcosa che sta cambiando, e perché proprio adesso? A Gaza, Fatah e i suoi vari apparati non hanno subito solo una drammatica sconfitta di intelligence e militare. Sono stati sconfitti anche sul piano ideologico: è stata sconfitta la strategia che li aveva guidati sin dagli Accordi di Oslo, e anche prima, basata sull’assioma di “mantenere unito il fronte” palestinese (contro Israele). Ci è voluto un po’ di tempo perché Abu Mazen e i suoi realizzassero d’essere arrivati a un punto di svolta, e che da qui in avanti possono solo decollare o sprofondare nell’oblio. Finalmente hanno capito che non possono più continuare ad esistere accanto a Hamas. Persino le Brigate al-Aqsa, che adesso a Nablus danno la caccia agli uomini di Hamas come unità speciali israeliane, hanno evidentemente capito che l’ostacolo che impedirà a Hamas di penetrare in Cisgiordania è l’avvio di un’alternativa di pace che distingua nettamente la posizione di Fatah da quella di Hamas.
Alla vigilia del vertice di Sharm el-Sheikh, i capi di Fatah hanno capito che la sfida che hanno ora davanti è quella di delineare una nuova posizione ideologica tale da chiarire bene a ogni abitante della Cisgiordania, e successivamente a quelli della striscia di Gaza, che – quando si tratta del pericolo fondamentalista islamico – Israele, Fatah e ogni palestinese sinceramente desideroso di pace si trovano dalla stessa parte della barricata.
Non è facile, ma è possibile. Una condizione fondamentale sarebbe una pubblica presa di posizione da parte di Abu Mazen a favore della cooperazione con Israele contro il nemico comune Hamas. Qualunque altro atteggiamento più o meno ambiguo, che puntasse ancora una volta a ingannare Israele e occidente cercando di tenere il piede in due scarpe senza impegnarsi nello sforzo né affrontare sacrifici, sarebbe destinato al fallimento. Hamas non aspetta altro.

(Da: YnetNews, 26.06.07)

Nella foto in alto: Moshe Elad, autore di questo articolo, ricercatore presso il Shmuel Neeman Institute del Technion