Pensare fuori dagli schemi

Tzipi Livni ha ragione. Ma anche Benjamin Netanyahu ha ragione

di Ari Shavit

image_2448Tzipi Livni ha ragione. Occorre la soluzione “due popoli-due stati”. Il solo modo per porre fine al conflitto israelo-palestinese è dividere la Terra d’Israele/Palestina in due stati nazionali che vivano in pace fianco a fianco. Solo una soluzione diplomatica globale fra lo stato ebraico democratico e uno stato palestinese moderato può garantire la fine dello spargimento di sangue. Il riconoscimento reciproco, la fine dell’occupazione e la creazione di una realtà politica nuova sono essenziali per dare un futuro ai nostri figli ai loro figli. Non finirà finché non dialoghiamo.
Anche Benjamin Netanyahu ha ragione. Anche se dialoghiamo, non finirà. È un dato di fatto: abbiamo dialogato a Oslo (1993) e non è finita, abbiamo dialogato a Camp David (2000) e non è finita, abbiamo dialogato ad Annapolis (2007) e non è finta. Abbiamo dialogato e dialogato e dialogato ancora, ma il dialogo non ha portato da nessuna parte. Shimon Peres, Ehud Barak, Ehud Olmert e Tzipi Livni hanno offerto tutto ai palestinesi, ma per i palestinesi non era abbastanza: esattamente come hanno fatto affondare le trattative per la liberazione del soldato in ostaggio Gilad Shalit, così hanno stoltamente provocato il fallimento di tutti i negoziati diplomatici. Oggi la soluzione “a due stati” è una promessa vuota che ignora la realtà.
Ma Tzipi Livni ha ragione. Se non si divide il paese, il futuro di Israele è in pericolo. Uno stato palestinese va istituito il prima possibile non solo in nome della pace, ma anche in nome del sionismo. Già ora la demografia sta erodendo la maggioranza ebraica nella terra fra il fiume Giordano e il mar Mediterraneo, già ora la legittimità internazionale di Israele è sempre più usurata. Se non si firma presto un accordo con l’Autorità Palestinese per la fine del conflitto, il conflitto può trasformarsi in un cancro nel corpo nazionale ebraico. Non c’è altra scelta che un ampio ritiro, lo sgombero di insediamenti e la divisione di Gerusalemme. Per salvarsi la vita, Israele deve sottoporsi a un intervento chirurgico e separarsi dal gemello palestinese. Altrimenti per Israele è finita.
Ma anche Benjamin Netanyahu ha ragione. Un intervento chirurgico può anche ucciderti. Un chirurgo che non vede e non capisce come funzionano gli apparti del corpo può provocare disastrose emorragie. Quando Israele si è ritirato dal Libano meridionale (2000), il vuoto è stato colmato da Hezbollah che ha creato una testa di ponte iraniana al nostro confine settentrionale. Quando Israele si è ritirato dalla striscia di Gaza, il vuoto è stato colmato da Hamas che ha creato un’altra testa di ponte a sud. Un ritiro dalla Cisgiordania creerebbe il vuoto più pericoloso di tutti, sul quale gli iraniani si getterebbero immediatamente per creare un terza base di operativa. Se Israele sarà circondato da staterelli armati satelliti dell’Iran, non sarà più in grado di difendersi. La sua stessa esistenza sarà messa in forse.
Niente di personale. Livni e Netanyahu sono oggi i rappresentanti di due visioni che cozzano fra loro, due visioni giuste e sbagliate allo stesso tempo. La corrente di Livni fa una diagnosi corretta, ma propone una terapia da fattucchieri. La corrente di Natanyahu è realista per quanto riguarda i rimedi illusori, ma tende a ignorare la gravità della malattia. Così le due correnti di pensiero continuano a fallire, ed è ridicolo che nel 2009 continuino a prendersi a cornate.
C’è urgente bisogno di idee nuove. Il paradigma della destra è obsoleto, ma anche quello del centro-sinistra non è più pertinente. La soluzione “due popoli-due stati” è lo slogan giusto, solo che non è un piano operativo. Non può essere attuata nel mondo reale. Anziché ripetere il dogma, bisognerebbe riesaminare le sue premesse di fondo e trarre qualche insegnamento dal ripetuto insuccesso dei tentativi di realizzarlo. Le idee non sono tabù. Magari una hudna con Hamas, se Hamas rinuncia alla forza militare e alla piena sovranità. Magari un protettorato giordano-egiziano sulle parti della Terra d’Israele/Palestina da cui Israele si ritirerà. Magari un ombrello internazionale su un processo di nation-building palestinese a lungo termine. O forse un piano alla irlandese, o l’approccio di Tony Blair, o un’idea che non è stata ancora formulata.
In ogni caso, una cosa è chiara: è ora di provare a pensare al di fuori degli schemi, al di fuori dei due schemi. Questo sarà il compito del nuovo governo. Oltre ad occuparsi di Iran e di economia, dovrà guidare un riesame nazionale delle possibili soluzioni del conflitto israelo-palestinese.

(Da: Ha’aretz, 19.03.09)

Nella foto in alto: Ari Shavit, autore di questo articolo