Per amore di chiarezza, un utile esperimento mentale

Si immagini che gli israeliani decidano di voler arrivare a un accordo entro un paio di settimane

Da un articolo di Daniel Gordis

image_2514C’è un po’ quest’idea, che circola nell’aria: Israele è il problema e gli Stati Uniti ne hanno abbastanza; se non fosse per Israele il Medio Oriente non sarebbe tutti i giorni in prima pagina; per arrivare alla pace in Medio Oriente tutto quello che bisogna fare è sottomettere Israele: piegate la sua intransigenza e finalmente si vedranno progressi.
Vorrei dunque proporre un esercizio mentale, a chi mi legge e magari allo stesso presidente Barack Obama. Si immagini che gli israeliani decidano di voler arrivare a un accordo entro un paio di settimane. Ed ecco dunque che abbattono la barriere di sicurezza (il “muro”), rimuovono tutti i posti di blocco, aprono tutte le strade e i valichi nonché le acque territoriali e lo spazio aereo della striscia di Gaza, accettano pubblicamente di ritirarsi più o meno sulla Linea Verde (la linea armistiziale 1949-’67) e accettano che mezza Gerusalemme, compresi i luoghi santi, passi sotto controllo internazionale o magari addirittura sotto controllo palestinese.
Tutto ciò porrebbe fine al conflitto? Naturalmente no. La Carta di Hamas invoca la distruzione dello stato d’Israele, e non solo: invoca anche la guerra santa islamica contro gli ebrei ovunque si trovino (per quale motivo non dovremmo prenderla in parola?). Cosa cambierebbe realmente? Il cappio non farebbe che stringersi; i razzi verrebbero lanciati ancora, e non più solo dalla striscia di Gaza ma anche da territori ben più a ridosso del cuore stesso di Israele; la pretesa di far affluire in Israele i profughi palestinesi (e i loro discendenti), ponendo fine all’unico stato ebraico del mondo, persisterebbe e si farebbe ancora più pressante. Come avvenne quando Israele lasciò il Libano meridionale nel maggio 2000 e Gaza nell’estate 2005, i nemici di Israele percepirebbero i segni di un paese ferito e indebolito e si appresterebbero alla fase successiva della loro guerra.
Non sarebbe affatto la pace. Per quanto tutti noi si desideri la fine di questo conflitto, c’è qualcuno che davvero non vede questo scenario? In altri termini, qualunque mediatore onesto deve ammettere che non c’è praticamente nulla che Israele possa fare per porre fine, di sua iniziativa, al conflitto.
Tentiamo ora l’esperimento contrario. Immaginiamo che i palestinesi decidano che ne hanno abbastanza del conflitto, o che il loro elettorato riesca ad avviare il tanto atteso ribaltone elettorale mettendo l’accento sulla composizione pacifica.
Dunque i palestinesi, sia di Hamas che di Fatah, pur continuando a chiedere che Israele accetti quanto sopra (fine dei posti di blocco, apertura di Gaza, collegamento fra Gaza e Cisgiordania, confini prossimi a quelli del ’67, magari anche il controllo su Gerusalemme est), al contempo potrebbero riconoscere il diritto di Israele ad esistere come stato ebraico, potrebbero accettare un’immediata e definitiva cessazione delle ostilità e delle violenze a parole e nei fatti (un esperimento mentale difficile, lo ammetto), e potrebbero accettare che ogni importante questione venga negoziata e risolta con gli Stati Uniti e gli altri partner del Quartetto come intermediari e facilitatori. E mettiamo che chiedano agli israeliani di pronunciarsi con un voto entro un mese, non di più, su questo accordo.
Quanti sarebbero gli israeliani che si pronuncerebbero contro? Certo, vi sarebbero alcuni israeliani residenti in Cisgiordania che si opporrebbero ad abbandonare le loro case. Ma non vi è dubbio che vi sarebbe un plebiscito della popolazione israeliana a favore di una tale offerta. Nell’arco di poche settimane si potrebbe chiudere un secolo di spargimenti di sangue e di sofferenze.
Tutto questo, naturalmente, non succederà. Perché, indipendentemente da tutta la nuova retorica e tutta la confusione che oggi viene fatta, c’è sempre stata una parte che cercava la pace, ovviamente nella sicurezza, e un’altra parte che la rifiutava. Fu così nel 1948, fu così coi “no” di Khartoum del 1967, ed è così ancora oggi. Israele non può porre fine al conflitto. Può cedere molto, può indebolirsi molto, ma il solo modo che ha per portare la pace nella regione (unilateralmente) è dichiarando fallimento. Se è questo che vogliono veramente i pacifisti, lo si vedrà presto con agghiacciante chiarezza.

(Da: Jerusalem Post, 14.05.09)

Nella foto in alto: Daniel Gordis, autore di questo articolo