Per capire il sionismo leggete Herzl, non Abu Mazen

Il sionismo, vero e proprio movimento risorgimentale ebraico, viene moralmente condannato in quanto tale, per cui Israele è come se fosse eternamente "sul banco degli imputati"

Di Paul Gross

Paul Gross, autore di questo articolo

Il 2018 è iniziato con un raro contributo alla chiarezza. Uno dei miti mediorientali più radicati nei mass-media occidentali è quello dell’atteggiamento “moderato” del presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen, regolarmente ritratto come un indefesso costruttore di pace, frustrato nel suo sforzo di arrivare un accordo dall’“intransigente” governo israeliano. Poco importa che si tratti della stessa persona che rifiutò la più favorevole offerta israeliana per una soluzione a due stati, quella avanzata da Ehud Olmert nel 2009; la stessa persona che da allora ha abbandonato almeno due volte il tavolo dei negoziati con Benjamin Netanyahu mediati dagli Stati Uniti anche dopo che, nel 2010, l’”intransigente” primo ministro israeliano aveva congelato per quasi un anno le attività edilizie ebraiche in tutti gli insediamenti e scarcerato terroristi palestinesi.

Ebbene, all’inizio di quest’anno lo stesso Abu Mazen ha fatto chiarezza quando, parlando al Comitato Centrale dell’Olp, si è lanciato in una lunga tirata, storicamente analfabeta e zeppa di teorie complottiste, fornendo spontaneamente tutte le prove necessarie per demolire il mito della sua “moderazione”: un discorso che conteneva una sequela di invenzioni che sono state definite “antisemite” non solo da Netanyahu, ma anche da Avi Gabbay, leader dell’opposizione laburista nella Knesset.

Nel fotomontaggio di honestreporting.com, il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen (a sinistra) e Theodor Herzl, il fondatore del moderno sionismo politico, fotografato a Basilea nel 1901

La lista delle calunnie andava dalla negazione dei legami fra ebraismo e Gerusalemme, ad un puerile tentativo di primato storico facendo discendere gli arabi palestinesi addirittura dai Cananei della Bibbia, allo stupefacente falso della domanda: “quando mai avremmo rifiutato i negoziati?” (c’è un’armata di frustrati negoziatori israeliani e americani che potrebbe fornirgli un preciso elenco di date). E poi c’era questa perla: un fulminante riferimento alla visita esplorativa compiuta da Theodor Herzl in Terra d’Israele/Palestina alla fine del XIX secolo:

«Quando arrivò in Palestina – ha detto Abu Mazen – Herzl vide persone, esseri umani, cittadini. Così disse: “Dovremmo cancellare i palestinesi dalla Palestina in modo che diventi una terra senza popolo per un popolo senza terra”».

Questo passaggio del discorso mi ha particolarmente colpito per due motivi. Uno è legato ad una coincidenza: proprio in quei giorni finivo di leggere un’ottima biografia di Herzl firmata dell’apprezzato professore israeliano Shlomo Avneri. A differenza di Abu Mazen, Avineri è un esperto di sionismo e uno studioso serio (viceversa, la tesi di dottorato del dott. Abu Mazen sostiene che i sionisti esagerarono il numero delle vittime della Shoà e collaborarono con i nazisti). Avineri dedica un capitolo del suo libro al romanzo utopistico scritto da Herzl nel 1902, Altneuland: la descrizione dello stato ebraico che il movimento sionista avrebbe creato.

Theodor Herzl fotografato in Terra d’Israele/Palestina nel 1898

Nel sistema politico ebraico da lui immaginato, gli arabi vivono come cittadini eguali. Anzi, il “cattivo” nel romanzo è un fanatico ebreo che si candida alle elezioni convinto che ai non ebrei debba essere negato il diritto di voto, e viene sconfitto. Nello stato ebraico immaginato nel romanzo, gli arabi hanno piena parità di diritti, un ingegnere arabo è tra i leader dello stato chiamato Nuova Società e la maggior parte dei commercianti sono armeni, greci e membri di altri gruppi etnici: alla faccia della pulizia etnica attribuita a Herzl da Abu Mazen. Il sionismo di Herzl vedeva esplicitamente gli arabi di Palestina “come eguali concittadini che avrebbero votato e sarebbero stati eletti alle istituzioni pubbliche della società”. Una visione che divenne realtà quando nel 1948 fu istituito il vero “altneuland”, lo stato di Israele, con eguali diritti di cittadini ebrei e non-ebrei sanciti nella Dichiarazione di Indipendenza.

La seconda ragione per cui la calunnia di Abu Mazen su Herzl mi è sembrata particolarmente importante sta nelle sue implicazioni e nell’effetto di tali implicazioni. La pretesa che Herzl, e quindi il sionismo sin dai suoi inizi, fosse razzista imperialista e malvagio, sta alla base di gran parte della propaganda anti-israeliana che vediamo all’opera nei mass-media, nei campus universitari e altrove. Anche se l’Onu nel 1991 ha abrogato la sua spregevole risoluzione del 1975 “sionismo uguale razzismo”, in molti ambienti liberal di tutto il mondo occidentale il sionismo rimane una parolaccia. Ciò che rende questa narrazione ancora più perniciosa è che infetta in generale un po’ tutto il dibattito su Israele. Tutti i paesi a volte agiscono in modo tale da attirare le critiche dai mass-media internazionali, ma solo Israele vede sistematicamente chiamata in causa la sua stessa legittimità in quanto stato a causa di questa o quella politica eventualmente discutibile. Il sionismo, ideologia fondante dello stato, vero e proprio movimento risorgimentale ebraico, ne risulta moralmente condannato, per cui Israele è come se fosse perennemente “sul banco degli imputati”.

Il prof. Shlomo Avineri

I velenosi risultati si possono vedere in una gran quantità di notizie sul conflitto. Difetti ed errori attribuiti a Israele sono sempre messi in primo piano, praticamente mai quelli dei suoi nemici. Le case costruite in un insediamento sono una notizia più grave e più importante della martellante istigazione all’odio e alla violenza sempre all’opera in campo palestinese. I palestinesi sono le vittime indifese, un popolo oppresso che non è mai responsabile delle proprie azioni, trattati come bambini incolpevoli quale che sia la violenza che commettono, e poco importa se la loro condizione è frutto della corruzione e della criminalità nell’Autorità Palestinese almeno quanto delle politiche israeliane.

Questa è la narrativa. La realtà, invece, è che sin dall’inizio il movimento sionista ha preconizzato un Israele democratico. Israele fu fondato come una democrazia nel 1948, in un’epoca in cui in tutto il pianeta le democrazie erano una ventina o giù di lì. A differenza di quasi ogni altro paese nato dal crollo degli imperi coloniali europei, Israele è rimasto una solida democrazia dal primo giorno fino ad oggi. Se è diventato una potenza militare, non è stato certo per il presunto impulso intrinseco militarista che viene attribuito al sionismo. La realtà è che Israele ha dovuto combattere molte guerre contro stati e, più recentemente, gruppi terroristi espressamente votati al suo annientamento. Israele ha dovuto vincere molte guerre perché non sarebbe sopravvissuto alla sconfitta in una sola guerra. Oggi ha Hamas su un confine, Hezbollah su un altro, e su un terzo le rovine di quella che era la Siria, dominate dall’Iran. Ognuno di questi bellicosi vicini considera la distruzione di Israele un imperativo religioso. Quando l’unico modo per placare il nemico è accettare di suicidarsi, la situazione richiede più bastoni che carote: una adeguata forza militare e la determinazione di esercitarla.

Una cittadina araba israeliana al voto. “Israele è rimasto una solida democrazia dal primo giorno fino ad oggi”

Concluderò con un’altra notizia recente, che ha attirato molta meno attenzione di quella che meritava: la rivelazione che l’Intelligence Militare delle Forze di Difesa israeliane ha contribuito a sventare molti attentati nel mondo fra cui, la scorsa estate, un attacco terroristico dell’ISIS contro un aereo passeggeri australiano. I paesi europei, che spesso e volentieri puntano il dito diplomatico contro Israele, hanno servizi di intelligence che sono infinitamente grati al Mossad e alle Forze di Difesa israeliane per l’assistenza che ricevono nella lotta contro trame terroristiche. Nel conflitto globale odierno tra le società libere e aperte e i terroristi islamisti, con gli stati che li sponsorizzano, Israele non solo è dalla parte giusta, ma è alla testa della battaglia. Nel frattempo il nostro amico “costruttore di pace” Abu Mazen ha appena aumentato a 403 milioni di dollari (il 7% del bilancio dell’Autorità Palestinese) il budget annuale destinato a pagare i vitalizzi ai terroristi palestinesi e alle loro famiglie.

Abu Mazen e altri propagandisti continueranno a spargere menzogne e disinformazione, e gran parte del mondo continuerà a bersele. Israele, dal canto suo, all’avvicinarsi del suo 70esimo compleanno, continuerà a fare ciò che deve per sopravvivere e prosperare come lo stato ebraico e democratico che Theodor Herzl aveva sognato.

(Da: honestreporting.com, 8.3.18)