“Per decenni abbiamo sognato che Israele venisse accettato nella regione. Ora che sta accadendo sarebbe imperdonabile ignorarlo”
“A Israele non è mai stata data una giusta opportunità in questa regione perché è sempre stato isolato dai suoi vicini con una forma di discriminazione etnica e religiosa”
Di Eldad Beck, Salm Salmen Alnoiami
Scrive Eldad Beck: È sconcertante vedere come la maggior parte della grande stampa, persino in Israele, si stia occupando della rapida attuazione degli “accordi di Abramo” tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Dalla ratifica del trattato da parte della Knesset e del governo di Abu Dhabi, alla visita in Bahrain della delegazione israeliana per la normalizzazione, all’avvio dei primi voli commerciali diretti tra gli Emirati e Israele: tutto viene sottovalutato e minimizzato. Come se questi sviluppi non fossero altro che un fastidioso rumore di fondo che distoglie l’attenzione dalla “storia principale”: le proteste contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Ciò che è accaduto in Medio Oriente nei due mesi trascorsi dallo straordinario annuncio degli accordi di Abramo è più che una scossa di terremoto: è un vero e proprio movimento tettonico che sta rimodellando il volto del Medio Oriente dopo 72 anni di conflitto arabo-israeliano assolutamente inutile. La profondità del cambiamento nell’approccio a Israele da parte di molti in Medio Oriente è assolutamente sorprendente. E lo dico come qualcuno che ha vissuto profondamente l’euforia per la pace dei primi anni ’90: alla Conferenza di Madrid, ai colloqui di pace di Washington, al processo di Oslo. Ciò a cui stiamo assistendo oggi è qualcosa di fondamentalmente diverso: questa non è solo una pace fra i leader, e non è accompagnata da chiacchiere vuote unite a tentativi di sabotare ogni progresso e violare gli accordi. È un cambiamento di paradigma profondamente radicato, sostenuto da una nuova generazione che non ne può più di pagare i pesanti costi di un conflitto straniero imposto dalle generazioni precedenti.

1 settembre 2020: la prima pagina del Khaleej Times degli Emirati Arabi Uniti (clicca per ingrandire)
E’ la nuova generazione negli Emirati, in Arabia Saudita, nel Bahrein, nel Kuwait, in Egitto e in Giordania: giovani per lo più dotati di titoli accademici, generalmente ottenuti negli Stati Uniti e in Europa dove per la prima volta sono entrati in rapporto con ebrei e israeliani che hanno cambiato la loro concezione del “nemico”. Hanno sperimentato le speranze, le delusioni e le ricadute della “primavera araba”. E si sono resi conto che se vogliono vedere un futuro migliore nella loro vita, Israele non è il problema, bensì parte della soluzione. Non solo per la imprescindibile necessità di riconoscere il diritto dell’”altro” di esistere in Medio Oriente, ma anche per la necessità di riconoscere che i problemi e le calamità che i paesi della regione subiscono da decenni non si possono risolvere attribuendoli sempre a un comodo capro espiatorio esterno.
L’ostinazione palestinese a voler perpetuare il conflitto con Israele ad ogni costo viene vista dalle nuove generazioni arabe come la perfetta rappresentazione delle catene del passato che devono essere spezzate se si vuole andare avanti. Non sono più disposti a farsi tenere in ostaggio dai palestinesi con le loro intransigenze e i loro capricci. Nel nuovo Medio Oriente che sta prendendo forma sotto i nostri occhi Israele è fonte di ispirazione, e le politiche dei palestinesi sono motivo di repulsione.
Tutti, a partire dagli stessi israeliani, dovrebbero aprire gli occhi su ciò che sta accadendo, ascoltare le chiare voci che provengono da ogni parte e aprirsi a questo grande cambiamento. Per decenni abbiamo sognato, auspicato e lottato per entrare a far parte a pieno titolo della nostra regione. Ora, quando sta finalmente accadendo, sarebbe imperdonabile ignorarlo.
(Da: Israel HaYom, 22.10.20)
Scrive Salm Salmen Alnoiami: Gli architetti degli accordi di Abramo hanno capito le pericolose conseguenze che possono derivare dal permettere a leader e statisti di trascurare i valori morali. Si sono resi conto che era impossibile aspettare che la prossima generazione attuasse il cambiamento, e che spetta invece a questa generazione battersi per una rinascita dei valori umani. La decisione di normalizzare i rapporti tra Israele ed Emirati Arabi Uniti va considerata come un passo cruciale verso una coesistenza pacifica e prospera, ed è già stato sottolineato come questo trattato rappresenti una svolta strategica nelle relazioni arabo-israeliane e l’inizio di una pace globale in Medio Oriente.
L’accordo di pace tra Emirati Arabi Uniti e Israele non è “semplicemente” una decisione volta a stabilire relazioni bilaterali. E’ piuttosto un accordo ispirato dalla realtà strategica complessiva del Medio Oriente. Si prevede innanzitutto che rafforzi la cooperazione scientifica tra i due paesi, con promettenti potenzialità in fatto di collaborazioni in diversi campi come l’astronomia, l’acqua e la sicurezza alimentare. Ed è molto importante ricordare l’interesse degli Emirati Arabi Uniti per le aziende israeliane, soprattutto perché Israele è noto per le sue start-up. Ciò offre agli Emirati nuove possibilità di investimento e tale cooperazione potrebbe spingere la crescita economica reciproca e sostenere lo sviluppo tecnologico di entrambi i paesi.
Ma è anche importante sottolineare che Israele ed Emirati Arabi Uniti hanno un altro denominatore comune: le sfide nel campo della sicurezza. Il che indubbiamente richiede un tipo speciale di dialogo e di visione, per poter vedere con i nostri occhi lo storico passo compiuto nella direzione della pace: un passo che mette un freno all’intenzione e al tentativo di eliminare entrambi i nostri paesi.
Ho già avuto occasione di osservare che a Israele non è mai stata concessa una giusta opportunità in questa regione, poiché è sempre stato isolato dai suoi vicini in quella che può essere solo descritta come una forma di discriminazione etnica e religiosa. E’ invece molto chiaro, come tanti sperano, che l’accordo di pace tra gli Emirati Arabi Uniti e Israele rafforza l’”asse moderato” in generale, e offre agli Emirati Arabi Uniti l’opportunità di svolgere un ruolo importante e influente nel mediare il conflitto arabo-israeliano, soprattutto nei confronti degli stati “militanti”.
(Da: Israel HaYom, 22.10.20)