Per il bene di Israele, i partiti ultra-ortodossi devono essere tenuti lontani dal potere

L’opinione di un editorialista che rispecchia i sentimenti di un’ampia parte della società israeliana

Di Ben-Dror Yemini

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

È difficile criticare il rapporto che esiste tra Israele e la sua popolazione haredi (ultra-ortodossa) senza rischiare di scivolare nel razzismo o persino in qualche forma di antisemitismo. Tuttavia la comunità haredi è attualmente al centro del dibattito pubblico e i giudizi vanno espressi sulla base dei fatti. Gli israeliani ultra-ortodossi costituiscono il 12% della popolazione, ma il 40% dei casi di contagio da coronavirus del paese. E quando si cerca di ridurre la diffusione del virus in quelle comunità e di impedire che contagino altri, la risposta è spesso violenta.

Gli ultra-ortodossi sefarditi non sono coinvolti in questa dinamica. Per la maggior parte si conformano alle normative sanitarie, per cui quello che resta è il settore ashkenazita. Non è chiaro quale porzione di questa comunità sia coinvolta nella violazione delle norme del lockdown e nelle violenze a cui abbiamo assistito. La Ponevezh Yeshiva (seminario talmudico ndr) a a Bnei Brak è una rispettata istituzione con 3.000 studenti e Chaim Kanievsky è un rabbino con molti seguaci. Quindi le affermazioni secondo cui i facinorosi sarebbero solo pochi e marginali non possono essere prese sul serio, sebbene altri nella comunità potrebbero non essere d’accordo con i loro rabbini.

La recente ondata di violenze è solo la punta dell’iceberg per quanto riguarda le controverse relazioni tra gli israeliani haredi e il resto della società israeliana. Queste relazioni hanno una lunga storia di contrasti, iniziata sin da prima dell’istituzione dello stato.

Proteste di ultra-ortodossi anti-lockdown a Bnei Brak

Nel 1948 il primo premier israeliano, David Ben Gurion, accettò di concedere l’esenzione dal servizio militare a 400 studenti di yeshiva ogni anno nonostante il disperato bisogno di combattenti che aveva il paese in piena guerra d’indipendenza. Solo 20 anni dopo una commissione parlamentare decise di aumentare quel numero a 800. Ma nel 1977, dopo la salita al governo di Menachem Begin, il primo premier del Likud, tutte le restrizioni al numero di esenzioni vennero rimosse come parte dell’accordo di coalizione con i partiti ultra-ortodossi. Nel corso degli anni successivi, tutti i ripetuti tentativi di arrivare a un’intesa che vedesse i giovani haredi contribuire allo sforzo della difesa nazionale sono falliti. Nel 1974 venne esonerato dal servizio militare solo il 2,4% dei giovani haredi idonei. Nel 2010 la percentuale era cresciuta al 16%. Nel 2017 il numero effettivo di esenzioni è salito a 11.700, un dato destinato probabilmente ad aumentare ulteriormente.

Ma la comunità ultra-ortodossa non gode soltanto dell’esenzione da quel servizio militare che invece la maggior parte dei diciottenni israeliani deve compiere. Gli haredi ricevono anche una retribuzione statale per mantenersi negli studi delle Scritture, e il budget per questo scopo è grossomodo raddoppiato dai 638 milioni di shekel (195 milioni di dollari) che era costato nel 2014. Il sistema educativo haredi si rifiuta di includere materie fondamentali come matematica, scienze e lingue straniere, eppure riceve finanziamenti dal Ministero dell’istruzione. Chiudere un occhio su questa mancanza di istruzione può solo causare danni a lungo termine. “Bambini che ricevono un’istruzione da terzo mondo possono sopravvivere solo in una società del terzo mondo”, hanno scritto i professori Dan Ben-David ed Eyal Kimchi in un rapporto presentato al Consiglio economico nazionale, avvertendo che i prezzi a lungo termine per il paese e per la stessa comunità haredi possono essere devastanti.

Se non si rivedono profondamente i rapporti fra la comunità ultra-ortodossa e lo stato, si va sicuramente verso un disastro. Le recente violenze, sebbene abbiano dominato i titoli dei notiziari, non sono che una postilla in una vicenda in corso da tempo. Siamo di fronte a un intero settore della popolazione che è povero, scarsamente istruito e abituato a fare affidamento su elargizioni statali. Il punto non è abolire il mondo delle yeshiva, né si devono trascinati gli studenti haredi nei centri di arruolamento militare. Ma i leader laici devono smetterla di piegarsi ai potentati ultra-ortodossi. Non è questione di dialogo. E’ questione che Israele ha bisogno di un governo che rappresenti la maggioranza laica del paese e tenga i politici haredi lontani dalle leve di potere. Questo è l’unico modo per risolvere il problema, per il bene sia del paese nel suo insieme sia dei suoi stessi cittadini ultra-ortodossi.

(Da: YnetNews, 30.1.21)