Per l’amministrazione Biden sarebbe un errore storico sottovalutare l’Iran

La minaccia rappresentata dal regime di Teheran dovrebbe essere una questione bipartisan: dopo tutto i missili balistici intercontinentali non distinguono tra democratici e repubblicani

Di Emily Schrader

Emily Schrader, autrice di questo articolo

Mentre negli Stati Uniti inizia la transizione dall’amministrazione Trump alla successiva, in Medio Oriente si registra grande preoccupazione per quanto riguarda la futura amministrazione Biden e l’Iran. Che sia o meno sostenitore del neo eletto presidente Joe Biden, ogni americano – come ogni israeliano – dovrebbe essere preoccupato all’idea di un presidente degli Stati Uniti che non sembra disposto a vedere l’Iran per il bieco attore che è in questa regione. Per anni, l’Iran si è intromesso in Siria (e nel resto del Medio Oriente) svolgendo un ruolo violento e destabilizzante, finanziando e supportando organizzazioni terroristiche come Hezbollah, addestrando le forze siriane a svolgere le loro operazioni e creando basi militari. Grazie all’Iran, decine di siti militari controllati da Hezbollah si trovano oggi al confine delle alture del Golan.

Comprensibilmente, la reazione delle Forze di Difesa israeliane è stata quella di colpire ripetutamente obiettivi iraniani piazzati in Siria dal 2011 per svolgere attività militari e di spionaggio contro Israele. Questo mese le tensioni sono aumentate quando le forze israeliane hanno sventato un attacco, scoprendo e disinnescando tre gruppi di ordigni antiuomo posizionati dai siriani al confine tra Siria e Israele su direttiva dell’Iran. L’esercito israeliano ha reagito colpendo pesantemente in Siria “magazzini, posti di comando e complessi militari, nonché batterie di missili terra-aria” controllati dall’Iran. A quanto è dato sapere, sarebbero rimasti uccisi quattordici militari iraniani o filo-iraniani.

L’Iran, come fa da anni, nega categoricamente la costruzione di una sua presenza militare nella regione e, in modo quasi comico, sostiene che la sua presenza in Siria è fatta semplicemente di “consiglieri”. Dopo gli ultimi attacchi aerei israeliani, l’Iran ha ripetuto che il suo ruolo è consultivo e non militare, minacciando al contempo di infliggere a Israele una “risposta distruttiva”. Chiunque non riesce leggere tra le righe e a vedere le intenzioni perniciose dell’Iran è totalmente all’oscuro delle cose o chiude gli occhi volontariamente.

L’orologio installato in Piazza Palestina, a Teheran, con il conto alla rovescia dei giorni che mancano alla distruzione di Israele, fissata per il 2040 in base a ciò che disse la Guida Suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei, il 9 settembre 2015: “Il regime sionista cesserà di esistere entro i prossimi 25 anni”

Ma il vasto “export” militare iraniano (o dovremmo dire il suo ruolo di “consigliere”?) non si limita alla Siria. L’Iran ha quasi distrutto il Libano fomentando Hezbollah, ha decimato lo Yemen con il sanguinoso conflitto in corso e col sostegno militare e finanziario a un gruppo gregario iraniano, ha inasprito la disperata situazione in Iraq impiantando anche lì milizie gregarie, e ha inviato milizie sciite a combattere in Libia anche per conto della Turchia. Tutto questo mentre continua a sviluppare il suo programma nucleare ben oltre i limiti indicati dall’accordo del 2015, e mentre vìola sistematicamente i più elementari diritti umani dei suoi stessi cittadini.

Si potrebbe pensare che il neo eletto presidente degli Stati Uniti, a prescindere dal partito che rappresenta, sappia fare di meglio che dare credito a un regime così determinato a portare la guerra in cinque paesi (e più). Purtroppo Biden ha già espresso il proprio impegno verso il defunto accordo sul nucleare iraniano, mosso probabilmente da un eccesso di reazione alle politiche di Trump, anche quelle positive. Invece di prendere una chiara posizione contro il sanguinario regime iraniano, il neo eletto presidente Biden vorrebbe revocare le sanzioni imposte all’Iran dal presidente Trump, consentendo così a Teheran di sovvenzionare ancora più efficacemente il terrorismo e la violenza in tutta la regione. Il ritorno a quell’accordo con l’Iran sarebbe anche una decisione estremamente invisa agli stati del Golfo, tra cui alcuni alleati chiave degli Stati Uniti come l’Arabia Saudita, che ha ampliato la cooperazione e i legami con gli Stati Uniti durante la presidenza Trump. Fare appello all’Iran – o per dir meglio, accondiscendere quel regime – significa inviare un messaggio sbagliato a Teheran e un messaggio sbagliato agli alleati americani.

I fautori dell’accordo con l’Iran, tra cui alcuni sostenitori di Biden, sostengono che l’accordo è il “meglio che possiamo ottenere” e che il presidente iraniano Hassan Rouhani è più “moderato” di altri iraniani della linea dura. Ma a costoro sfugge un punto cruciale: non si ottiene nulla cedendo ai bulli e non si placano le dittature genocide con l’appeasement. Tornare all’accordo con l’Iran significherebbe proprio questo. A prescindere dalle profonde differenze politiche di Trump e Biden sulle questioni interne americane, entrambi dovrebbero assolutamente concordare su una cosa: l’Iran è un regime violento, che abusa dei diritti umani, che sostiene il terrorismo e che agisce senza alcun riguardo per il diritto internazionale mettendo in pericolo la vita di tanti, americani compresi. La minaccia dell’Iran dovrebbe essere percepita come bipartisan perché è bipartisan. Dopo tutto, i missili balistici intercontinentali non distinguono tra democratici e repubblicani. Sarebbe un errore storico della futura amministrazione Biden gettare al vento la politica di Trump sull’Iran.

(Da: Jerusalem Post, 24.11.20)