Perché festeggiamo

In prospettiva tutti i problemi si ridimensionano rispetto a ciò che Israele ha realizzato dal 1948.

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_694Cinquantasette anni dopo l’indipendenza proclamata da David Ben-Gurion, la vita di tutti giorni nello stato d’Israele sembra, stando alle apparenze, fastidiosamente simile a quella di tanti altri. Lo stato degli ebrei è profondamente coinvolto in intrighi diplomatici e in conflitti regionali. I suoi politici sono impegolati nei contrasti con i giudici, con i generali e con i loro colleghi politici. Nonostante il suo genuino desiderio di realizzare la visione di giustizia di Isaia, anche Israele ha la sua iniqua porzione di poveri, disoccupati e persone in vario modo svantaggiate. E nonostante lo tradizionale stima del popolo ebraico per lo studio, gli scolari e gli studenti israeliani troppo spesso non raggiungono gli standard internazionali di successo scolastico, e troppi cittadini in età universitaria non possono permettersi i più alti livelli di istruzione.
Eppure, messi in prospettiva, tutti questi problemi si ridimensionano rispetto a ciò che è stato realizzato, in questo paese, a partire dal 1948.
Ben-Gurion, che fondò uno stato di soli 600.000 ebrei, avrebbe difficilmente creduto che, entro l’arco della vita dei suoi stessi figli, questo numero si sarebbe moltiplicato per dieci. Sbalordirebbe se sapesse che solo fra pochi anni il paese di Sion diventerà la dimora della più popolosa comunità ebraica del mondo, cosa che non era più accaduta non dico dai tempi della distruzione del Secondo Tempio, ma da quelli della distruzione del Primo Tempio, quasi duemila e cinquecento anni fa.
Il successore Ben-Gurion, Moshe Sharett, che diede vita al ministero degli esteri israeliano, resterebbe incantato se venisse a sapere che Israele, ai suoi tempi ostracizzato dalla maggior parte dei paesi non occidentali, ha successivamente intaurato piene relazioni con la Cina, la Russia, l’India, l’Egitto, la Giordania, con tutti i paesi dell’ex blocco sovietico e con quasi tutti i paesi del terzo mondo.
Il successore di Sharett, Levi Eshkol, per lungo tempo tesoriere di Ben-Gurion, non crederebbe ai suoi occhi se potesse vedere che, oggi, il reddito medio pro capite in Israele è più alto di quello di metà dei paesi dell’Unione Europea, e che lo stato degli ebrei ha una delle valute più stabili al mondo e uno dei più invidiati sistemi tecnologico-industriali.
Il successore di Eshkol, Golda Meir, che fu la prima rappresentante d’Israele a Mosca e che, come primo ministro, si adoperò con grande determinazione per cancellare il divieto all’emigrazione dall’Urss, sarebbe elettrizzata se sapesse che non soltanto i famosi Prigionieri di Sion, per i quali si era battuta, bensì tutto l’ebraismo sovietico è stato liberato e in gran parte si è trasferito in Israele.
Il successore di Golda Meir, Menachem Begin, che si batté per l’immigrazione degli ebrei dall’Etiopia e dalla Siria, sarebbe sopraffatto dalla gioia se sapesse della loro piena liberazione e del loro arrivo in Israele.
In effetti, lo stesso Theodor Herzl, che pure aveva scritto nel 1897 che lo stato degli ebrei si sarebbe realizzato entro cinquant’anni, sarebbe sbalordito nell’apprendere che, almeno per adesso, e per la prima volta dai tempi dell’antichità, a parte l’Iran non c’è più una sola comunità ebraica in tutto il mondo che sia ufficialmente oppressa dal governo del paese in cui vive.
Alle stesso modo Chaim Weizmann, che per decenni si impegnò nella ricerca di un’armonia fra arabi e sionisti, esulterebbe se sapesse che lo stato degli ebrei ha firmato la pace con due fra i principali paesi arabi, che ne condividono i confini più lunghi.
Per la verità, i successi di Israele sono impressionanti, oggi, non solo se considerati nella loro prospettiva storica, ma anche a confronto con gli attuali trend globali.
Sul piano strategico, Israele è in testa a molti paesi nel contrastare la peggiore minaccia del dopo-guerra fredda: il terrorismo.
Sul piano sociale, in un mondo sempre più afflitto da paesi sviluppati che non riescono né a fermare né ad assorbire flussi di immigranti dai paesi poveri, Israele in poco più di un decennio ha saputo accogliere un’ondata di immigrazione pari a un quinto della sua popolazione dell’epoca. Smentendo le previsioni pessimistiche, questi immigrati nel loro complesso hanno trovato casa, lavoro e istruzione, e di fatto si sono spesso inseriti nella middle class e nel mainstream culturale.
Sul piano demografico, mentre la popolazione della maggior parte dei paesi occidentali si contrae, quella israeliana continua a crescere grazie a tassi di fertilità più alti, ed età di matrimonio e tassi di divorzio più bassi rispetto al resto dell’occidente.
Sul piano economico, in un mondo sviluppato in cui anche le più sperimentate economie come quella tedesca e francese faticano a conservare tassi di crescita accettabili, Israele è riuscito a ripristinare la sua crescita economica anche dopo essere stato per alcuni anni sfibrato da una feroce guerra terroristica.
Infine, ed è la cosa più importante, in un mondo dove le culture vengono spesso sopraffatte dalle forze del commercio internazionale, in Israele la lingua e la cultura ebraica, che solo un secolo fa esistevano appena, sono fioriscono rigogliose.
Mentre si celebra l’anniversario dell’indipendenza d’Israele, bisogna tenere conto di tutto questo e ricordare che, con tutti i limiti, gli ostacoli e le avversità che comporta l’esistenza in questo paese, tutto considerato ne vale davvero la pena.

(Da: Jerusalem Post, 11.05.05)