Perché Abu Mazen rifiuta il piano Trump (e qualsiasi altro accordo con Israele)

Passata l’emergenza sanitaria, si riproporrà l’eterno nodo: i palestinesi non firmeranno mai un accordo che ponga davvero fine alle loro rivendicazioni irredentiste e al conflitto

Di Benny Begin

Benny Begin, autore di questo articolo

Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha reagito in modo rapido e netto. Immediatamente dopo la presentazione da parte del presidente Donald Trump del piano americano “pace per la prosperità”, lo scorso 28 gennaio, Abu Mazen ha dichiarato in una conferenza stampa a Ramallah: “Diciamo mille volte: no, no, no, all’accordo del secolo. Il nostro popolo lo manderà nel cestino della storia, dove sono andati tutti i piani che cospiravano per eliminare la nostra causa”.

La veemente avversione di Abu Mazen al piano americano è comprensibile in quanto esso rappresenta una concreta ritrattazione di alcune delle principali componenti delle proposte avanzate negli ultimi venti anni da Stati Uniti e Israele nel tentativo di arrivare a un accordo di pace tra le parti. Ma il fatto è che nessuna di quelle proposte aveva portato all’agognato accordo. Quindi, come verifica fattuale, vale la pena rivedere quale fu la reazione dell’Olp all’ultima proposta israeliana, presentata ad Abu Mazen dall’allora primo ministro israeliano Ehud Olmert il 16 settembre 2008: una proposta che si spingeva persino oltre il compromesso proposto dal presidente americano Bill Clinton nel 2000 e accettato dall’allora primo ministro israeliano Ehud Barak.

I punti principali della proposta di Olmert erano i seguenti:
1) Israele avrebbe ceduto il 97% del territorio di Giudea e Samaria (così affermò Abu Mazen al Washington Post il 31 maggio 2009). Inoltre, scambi di terre con Israele avrebbero garantito che l’area sotto sovranità dell’Olp fosse di dimensioni equivalenti a quella che era sotto il controllo dell’Egitto (la striscia di Gaza) e del Regno Hascemita di Giordania (Giudea e Samaria) agli inizi di giugno 1967 (vigilia delle guerra dei sei giorni, ndr). Va notato che al momento della proposta di Olmert la striscia di Gaza era già sotto il controllo di Hamas.
2) Un tragitto come “passaggio sicuro” sotto controllo dell’Olp avrebbe collegato Gaza alla Giudea (Cisgiordania, ndr).
3) Gerusalemme sarebbe stata divisa in due capitali, una sotto sovranità israeliana e l’altra sotto sovranità dell’Olp.
4) Israele avrebbe ceduto la sua sovranità su Monte del Tempio, Monte degli Ulivi e Città di David che sarebbero passate sotto amministrazione congiunta di Arabia Saudita, Giordania, Olp, Stati Uniti e Israele (I punti 2-4 sono stati esposti da Olmert in un’intervista del 28 novembre 2009 a The Australian).
5) Circa 5.000 profughi arabo-palestinesi sarebbero stati ammessi in Israele in un periodo di cinque anni sulla base di considerazioni personali e umanitarie, anziché in base al “diritto al ritorno” o alla “unificazione familiare”.
6) L’Olp avrebbe firmato l’impegno a porre “fine al conflitto e alle rivendicazioni” (I punti 5-6 sono stati esposti da Olmert in un discorso del 17 gennaio 2012 al Forum MEMRI).

In giallo/ocra, lo stato palestinese che esisterebbe già oggi se nel 2008 Abu MAzen avesse accettato la proposta di Olmert (clicca per ingrandire)

Diversamente da ciò che pensano alcuni, Abu Mazen respinse questa proposta, come scrisse chiaramente Ehud Olmert un anno dopo in un articolo sul Washington Post: “Ancora oggi non riesco a capire perché la dirigenza palestinese non ha accettato la proposta di ampia portata e senza precedenti che avevo offerto loro. Varrebbe la pena esplorare le ragioni per cui i palestinesi hanno respinto la mia offerta e hanno preferito, invece, puntare i piedi sottraendosi a decisioni reali”.
Nel suo libro di memorie del 2012 No Higher Honor, l’ex Segretaria di stato Condoleezza Rice rivelò che nell’estate del 2008 aveva suggerito che la proposta di Olmert e l’accettazione da parte di Abu Mazen venissero segretamente messe verbale, ma Abu Mazen rifiutò. Quando Abu Mazen andò a Washington nel novembre 2008 per salutare George Bush, che era a fine mandato, ha scritto Condoleezza Rice, “il presidente portò Abu Mazen da solo nell’ufficio ovale e lo esortò a ripensarci. Ma il palestinese fu irremovibile e l’idea morì lì”.

Dal 2008 la dirigenza dell’Olp insiste che i negoziati con Israele su un accordo permanente debbano ricominciare da dove sono stati interrotti con Olmert. Abu Mazen ha recentemente ribadito questa posizione in una conferenza stampa tenuta l’11 febbraio 2020 insieme a Olmert a New York, dove ha dichiarato di essere “pienamente” disposto a riprendere i negoziati da quel punto. Una settimana dopo, un esponente vicino ad Abu Mazen ha chiarito l’intento dietro questa affermazione. Ha rivelato che, durante una riunione tenuta prima della conferenza stampa, Olmert ha nuovamente esortato Abu Mazen ad accettare il suo piano allo scopo di tagliare la strada al piano di pace di Trump. Ma Abu Mazen ha rifiutato, sostenendo che dovevano ancora essere discusse e negoziate le questioni relative a confini, Gerusalemme e profughi, prima che i palestinesi potessero approvare il piano (Al-monitor.com, 17 febbraio 2020). Dunque, la dirigenza dell’Olp ribadisce la sua riluttanza ad accettare anche la vasta proposta di Olmert e quindi, realisticamente, qualsiasi proposta concepibile per un accordo permanente con Israele.

Questo rifiuto da parte dell’Olp deriva dalla sua negazione di qualsiasi relazione storica fra il popolo ebraico e la Terra d’Israele e dal rifiuto dell’esistenza stessa di una nazione ebraica, dal momento che l’Olp definisce l’ebraismo solo come una religione che non può rivendicare il diritto nazionale di istituire e gestire uno stato. Il 13 agosto 2009 la principale fazione dell’Olp, Fatah, ha pubblicato le risoluzioni del suo sesto congresso a Betlemme, tra cui figura la “opposizione assoluta, che non può essere ritirata, al riconoscimento di Israele come ‘stato ebraico’, al fine di proteggere i diritti dei profughi e i diritti del nostro popolo al di là della Linea Verde [cioè, i cittadini arabi d’Israele]”.

Più di recente, il settimo congresso di Fatah, tenutosi a dicembre 2016, ha sottoscritto questa risoluzione, il cui significato concreto è stato successivamente spiegato da Hafez Al-Barghouti, direttore del quotidiano dell’Autorità Palestinese (Al-Hayat Al-Jadida, 7 luglio 2012) : “Siamo tuttora impegnati verso la patria, esterna e interna, e non dispereremo mai”. L’espressione “interna” significa all’interno dell’area delineata dalla linea armistiziale del 1949, ovvero l’area dello stato d’Israele.

Durante il suo intervento al Consiglio di Sicurezza dello scorso febbraio, Abu Mazen ha mostrato una versione, ancora più falsa del solito, della consueta sequenza di mappe usata dalla propaganda anti-israeliana per sostenere che Israele si sarebbe ampliato a scapito di una presunta, ma inesistente, sovranità palestinese precedente (clicca per l’articolo)

Passano alcuni anni e il 28 gennaio 2020, in una conferenza stampa convocata a Ramallah per rispondere al piano di Trump, Abu Mazen dà voce alle convinzioni più profonde dell’Olp affermando: “Cari fratelli, considero questo accordo come il culmine della dichiarazione Balfour. L’accordo del secolo si basa sulla Dichiarazione Balfour, creata da America e Gran Bretagna. Alcuni potrebbero trovarlo strano. L’America? Sì, l’America! E la Gran Bretagna. Fu l’America a formularla, in accordo con la Gran Bretagna, e fu l’America a incorporarla nel Patto della Lega delle Nazioni. E’ l’America che ha forgiato la Dichiarazione Balfour, e ora ha iniziato a metterla in atto”.

In effetti, secondo l’articolo 20 della Carta palestinese del 1964 “la dichiarazione Balfour, il Mandato sulla Palestina e tutto ciò che si è basato su di essi sono da considerare nulli”. Sicché, anche 22 anni dopo la cerimonia in cui quella Carta palestinese sarebbe stata “abolita”, l’Olp continua a considerare la Dichiarazione Balfour l’origine dell’ingiustizia perpetua che sarebbe stata fatta ai palestinesi. È in questo spirito che Abu Mazen, nel suo articolo in occasione del centenario della Dichiarazione intitolato “The Burden of Lord Balfour” (The Cairo Reviews of Global Affairs, 17 novembre 2017) ha scritto: “Lord Arthur Balfour era un segretario agli esteri britannico che decise di cambiare l’identità e il destino della Palestina, una terra che non possedeva, promettendola al movimento sionista e alterando drammaticamente la storia del popolo palestinese. La Dichiarazione Balfour del 1917 rappresenta il ruolo internazionale nella catastrofe e nell’esodo palestinese, la nakba del 1948”.

In quell’articolo Abu Mazen proponeva anche una soluzione alla questione dei profughi: “Ribadiamo inoltre che, per porre fine alle rivendicazioni verso Israele, ci deve essere una giusta soluzione per i sette milioni [sic] di profughi palestinesi basata sul diritto di scelta di ogni singolo profugo”: cioè la sua possibilità di scegliere tra il ritorno nella casa originaria dei suoi avi dentro Israele o l’accettazione di un risarcimento finanziario. Il significato di questa irriducibile rivendicazione è che l’Olp non è autorizzata a rappresentare la volontà di ogni singolo profugo (o discendente di profugo, ndr) e di conseguenza l’Olp non si considera autorizzata a concordare con il governo israeliano una qualsiasi quota di profughi che potrebbero stabilirsi in Israele. Pertanto l’Olp non può accettare, in nessuna ipotesi di accordo, la clausola essenziale che decreti la “fine delle reciproche rivendicazioni”: un ostacolo insormontabile, che va ad aggiungersi all’altro, vale a dire la persistente rivendicazione dell’Olp su tutto il territorio di Israele, una rivendicazione revanscista sulla quale tutt’ora l’organizzazione palestinese educa le giovani generazioni.

Per evitare errori futuri, non si dovrà più chiudere gli occhi sul semplice dato di fatto che, per l’Olp, il problema principale è la secolare “ingiustizia” insita nell’esistenza stessa di una sovranità ebraica in qualsiasi parte della Terra d’Israele/Palestina. E’ un gap che non può essere colmato, e non esiste nessun piano accettabile da qualsiasi governo israeliano che possa soddisfare queste posizioni dell’Olp.

(Da: Ha’aretz, 6.3.20)