Perché gli israeliani hanno rieletto Netanyahu

Alcune considerazioni in vista del reincarico del primo ministro israeliano

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu

A quanto pare l’attuale primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sarà nuovamente incaricato dal presidente Reuven Rivlin di formare il prossimo governo. Come mai ha vinto di nuovo? Per dirla con le parole dell’ex ambasciatore d’Israele negli Usa Michael Oren, “la nostra economia è eccellente, le nostre relazioni con l’estero non sono mai state migliori e siamo relativamente al sicuro. Noi lo conosciamo, il mondo lo conosce, persino i nostri nemici lo conoscono”. A differenza di molti elettori americani ed europei, la maggior parte degli israeliani ha scelto la sicurezza e la stabilità rispetto all’ignoto.

La strategia dei rivali di Netanyahu è stata quella di sottolineare con forza i casi di corruzione di cui è sospettato, un argomento che evidentemente ha fatto abbastanza presa da spingere più di un milione di elettori a votare per la lista Blu&Bianco di Benny Ganz: vale a dire, più voti in assoluto di quanti ne abbia mai ottenuti un partito politico israeliano… tranne il Likud, che ne ha presi 15.000 più di Blu&Bianco.

Nel complesso la stragrande maggioranza del paese si è solidamente attestata a destra o tuttalpiù al centro: anche gli elettori più giovani, quelli che sono cresciuti e diventati adulti non negli anni dei negoziati e delle strette di mano, ma negli anni delle bombe e delle stragi della seconda intifada, e dei missili dal Libano e da Gaza. Ciò ha sicuramente contribuito al successo di Netanyahu. Il primo ministro viene percepito come una mano salda nelle acque turbolente. Israele è circondato da ogni parte da minacce crescenti dell’estremismo jihadista (Iran, Hamas, Hezbollah, Fratellanza Musulmana). Al contempo, Netanyahu si è dimostrato un leader molto pragmatico che ha abilmente evitato una guerra aperta con Hezbollah e Iran, pur prendendo di mira ogni volta che era necessario le posizioni iraniane e Hezbollah in Siria e Libano. Nonostante forti pressione della sua stessa base elettorale perché fosse più aggressivo con Hamas, Netanyahu ha evitato grandi operazioni militari volte a rovesciare il gruppo terroristico che controlla la striscia di Gaza: sa che sarebbe un disastro se Israele dovesse riconquistasse l’enclave costiera. Sotto il suo lungo mandato, Israele è diventato più sicuro, con significativi progressi economici e successi diplomatici nel forgiare relazioni con India e Cina, con l’Africa e persino con il mondo arabo, una cosa che molti osservatori sostenevano non potesse accadere senza prima risolvere il nodo palestinese. Netanyahu è stato il primo leader israeliano in 24 anni a visitare l’Oman. L’anno scorso ha incontrato un ambasciatore degli Emirati: un incontro che, ha scritto Business Insider, “getta luce su uno dei segreti meno segreti del mondo arabo: i rapporti pacifici tra Israele e alcuni dei paesi arabi vicini che stanno venendo sempre più a galla poiché hanno una causa comune contro il comune nemico Iran”.

In ogni caso, una volta smaltite l’euforia e la depressione per i risultati delle elezioni del 9 aprile, ciò che resta di straordinario da celebrare è la vibrante democrazia d’Israele che ha nuovamente espresso una leadership nazionale attraverso un processo elettorale molto combattuto, ma perfettamente regolare e pacifico. Da settantun anni Israele è un faro di valori democratici ed ebraici, e questo va riconosciuto, piaccia o non piaccia Bibi Netanyahu.
(Da: Jerusalem Post, 12.4.19)

Yaakov Katz

Scrive Yaakov Katz: Israele è la decima democrazia più antica del mondo. Sin dal suo inizio, ha avuto uguali diritti per tutti i cittadini, incluso il diritto di voto. Uomini e donne, ebrei, arabi, drusi e altri hanno tutti usufruito di questa vera e tangibile cultura dell’uguaglianza. Einat Wilf, una ex parlamentare laburista, lo ha spiegato bene: “Nessuna guerra civile, nessun colpo di stato militare, nessuna sospensione delle elezioni, suffragio universale fin dal primo giorno. Sin dai tempi dei primi congressi sionisti (fine del XIX secolo, ndr), siamo gli eredi di una lunga tradizione di democrazia e di rispetto”. E questo merita davvero: rispetto. Israele ha dimostrato ancora una volta che, malgrado viva nella regione più pericolosa del mondo accanto a dittature feroci e nemici votati alla sua distruzione, è una nazione che celebra la vita, la libertà e la democrazia. Dico questo perché, al di là di ogni considerazione, c’è qualcosa di condiscendente e paternalistico nel modo in cui molte persone al di fuori di questo paese ritengono di dover dire agli israeliani non solo come votare, ma anche quanto hanno sbagliato a votare. È perfettamente lecito esprimere un’opinione: sa il Cielo quanto lo facciamo noi qui in Israele da sempre. Ma quando la gente afferma che “Israele ha perso” per via dei risultati delle elezioni e che ora non merita più d’essere difeso, questo è offensivo. Gli israeliani possono apprezzare consigli, esortazioni ed anche ammonimenti, ma quando sentono dire che i risultati delle elezioni rappresentano un colpo fatale per la loro democrazia, per lo più fanno una cosa sola: smettono di ascoltare. Quindi, ecco il mio semplice suggerimento: non dovete per forza essere d’accordo con la scelta fatta dagli israeliani, ma non trattate con paternalistica superiorità un’intera popolazione che si permette la libertà di scegliere.
(Da: Jerusalem Post, 12.4.19)

Judith Bergman

Scrive Judith Bergman che, dopo le elezioni israeliane, si sono moltiplicate in Europa e in America le voci di chi esprime profonda preoccupazione per le prospettive di soluzione del conflitto e per la stessa natura democratica di Israele. Tutte queste dichiarazioni rivelano una profonda ignoranza della realtà sul terreno in Israele, e in particolare su cosa pensa la maggior parte degli israeliani. Israele ha premiato il Likud, che ha ricevuto il maggior numero di seggi dal 2003. Perfino Sderot, la città messa a dura prova da anni di attacchi missilistici dopo che Israele ha sgomberato Gaza, ha votato il Likud per il 43,5%. Ma anche il secondo maggior partito, Blu&Bianco, guidato dall’ex capo di stato maggiore Benny Gantz e da Yair Lapid che pure hanno basato la loro campagna sul concetto “mai più con Netanyahu”, non ha mai cercato di attirare elettori sostenendo concetti astratti di “pace” e di “soluzione a due stati”. In particolare, in un incontro con gli inviati europei Gantz ha evitato di abbracciare esplicitamente la soluzione a due stati. Anche lui sa bene che ormai gli israeliani sono sordi a questa retorica.

Molti osservatori stranieri non riescono a rendersi conto che quasi tutti gli israeliani – a più di 25 anni dal fallito processo di Oslo che è costano migliaia di vite israeliane e la creazione del regime corrotto e terroristico dell’Autorità Palestinese, a quasi 15 anni dallo sgombero della striscia di Gaza e dalla conseguente ascesa del regime terrorista di Hamas, e dopo le ripetute proposte di compromesso sistematicamente respinte da parte palestinese – pensano che la cosiddetta “soluzione a due stati”, così come viene prospettata, sarebbe in realtà la “soluzione finale” di Israele: sarebbe la realizzazione dell’intramontato sogno arabo di buttare a mare gli ebrei.

Gli israeliani non vedono in Netanyahu un leader perfetto, e sanno che gli si possono muovere molte critiche. Ma votano per lui perché nessun altro leader recente è stato in grado di garantire così tanti successi. È difficile per gli israeliani immaginare un altro primo ministro capace di contrapporsi con altrettanta fermezza all’allora presidente Barack Obama, di sfidare l’opinione mondiale e fare appello al Congresso americano perché respingesse l’accordo sul nucleare iraniano. È difficile per gli israeliani immaginare un altro primo ministro capace di opporsi alle richieste russe di cessare le attività militari israeliane in Siria e di ottenere anzi un coordinamento con Mosca. Per non dire del rapporto costruito con l’attuale presidente Trump, manifestato nel riconoscimento americano di Gerusalemme e della sovranità israeliana sulle alture del Golan. Viste da Israele, la decisioni di Trump di ripristinare le sanzioni contro il regime dei mullah e, più recentemente, di designare come “terroriste” le Guardie Rivoluzionarie Islamiche iraniane sono anche successi della politica estera israeliana. Gli elettori hanno visto e apprezzato tutto questo. E hanno votato per Netanyahu.
(Da: jns.org, 15.4.19)

Lo stato palestinese che esiterebbe già dal 2008 se Abu Mazen non avesse lasciato cadere la proposta dell’allora primo ministro israeliano Ehud Olmert (clicca per ingrandire)