Perché gli israeliani voteranno pensando più all’economia interna che alla politica estera

Intanto i sondaggi stimolano qualche riflessione sul possibile cambiamento della maggioranza di governo

Scrive Ben Sales, su Times of Israel: «La scorsa estate Israele ha combattuto la sua guerra più lunga da molti anni a questa parte e ha visto missili cadere su tutto il paese, seguiti poco dopo da una serie di attacchi terroristici a Gerusalemme. Un anno fa i negoziati israelo-palestinesi sono di nuovo naufragati. Intanto si registra un aumento delle tensioni lungo il confine nord-est di Israele, il resto del Medio Oriente è sempre in presa a sanguinosi tumulti e le potenze mondiali negoziano un accordo con l’Iran sul suo minaccioso programma nucleare. Dunque la sicurezza nazionale è la questione al centro della campagna per le elezioni di martedì prossimo, giusto? Nient’affatto. Un sondaggio della scorsa settimana ha mostrato che, in vista del voto del 17 marzo, la maggior parte degli israeliani pensa innanzitutto al carovita. La sicurezza arriva semmai al secondo posto.

Non è che la questione guerra e pace non sia importante per gli israeliani. Semplicemente non credono che le elezioni faranno molta differenza. Un sondaggio di febbraio dell’Israel Democracy Institute ha rilevato che gli israeliani non ritengono il loro governo responsabile per la situazione di stallo con i palestinesi né per la crisi nei rapporti Usa-Israele. Men che meno, ovviamente, per le lotte intestine che travagliano il mondo arabo, palestinesi compresi. Stando al sondaggio, più di due terzi degli israeliani ritengono che Israele sia legato a doppio filo agli Stati Uniti in materia di difesa, politica estera ed economia; ma solo un quarto circa degli israeliani ritiene che il governo Netanyahu sia il principale responsabile del deterioramento dei rapporti con la Casa Bianca, e solo il 43% ritiene che il governo degli Stati Uniti sarebbe più amichevole se a Gerusalemme si insediasse un governo di centro-sinistra.

Moshe Kahlon di Kulanu

Moshe Kahlon di Kulanu

Circa i palestinesi, gli israeliani sono convinti che vi sia ben poco che possa fare il loro governo, di sinistra come di destra. Il 58% condivide in parte o del tutto l’affermazione che il processo di pace con i palestinesi non avanza semplicemente perché, allo stato attuale, non c’è una soluzione a portata di mano per la controversia tra le parti. Una percentuale simile dice che, se il governo fosse formato da una coalizione di centro-sinistra, l’Autorità Palestinese non mostrerebbe comunque una maggiore flessibilità nei negoziati né maggiore disponibilità al compromesso.

I maggiori partiti politici non sono particolarmente illuminanti circa il loro futuro approccio coi palestinesi. Il Likud del primo ministro Benjamin Netanyahu ha rilanciato la propria opposizione a uno stato palestinese, ma non presenta un piano alternativo. Isaac Herzog, l’avversario di Netanyahu, sostiene la soluzione a due stati e un parziale congelamento delle costruzioni negli insediamenti, ma sul processo di pace dice solo che vuole rilanciare il negoziato senza spiegare perché l’Autorità Palestinese dovrebbe accettare oggi quello che ha più volte rifiutato in passato.

In economia, i partiti israeliani sono un po’ più precisi. Molti hanno presentato piani per affrontare la crisi degli alloggi e il carovita. In fondo, le questioni economiche sono più presenti nella vita di tutti i giorni degli israeliani. Mentre i conflitti militari possono scoppiare ogni due o tre anni, le bollette si pagano ogni mese. Uno spot del partito Kulanu, che ha centrato la campagna su questi temi, coglie proprio questo aspetto quando chiede agli elettori: “Quante volte hai ricevuto una telefonata dalla Casa Bianca? E quante volte hai ricevuto una telefonata dalla tua banca?”». (Da: Times of Israel, 12.3.15)

Scrive Omer Benjakob, su YnetNews: «Se dobbiamo credere ai più recenti sondaggi e alle varie dichiarazioni, sembra profilarsi una possibilità, sebbene sottile, che dopo le elezioni del 17 marzo un governo di centro-sinistra soppianti l’attuale governo guidato da Benjamin Netanyahu. Perché questo scenario si realizzi, i principali attori politici israeliani, in particolare quelli delle formazioni di centro, dovranno mettere da parte il proprio orgoglio, ma se lo fanno potrebbe delinearsi una delle maggiori sorprese politiche in Israele da molti anni a questa parte.

Il processo elettorale di Israele è come il cortile di una scuola di borgata, dove la partita si gioca sulla popolarità di singole personalità combinata con la competizione fra cricche concorrenti. Perché il leader di un partito diventi primo ministro non gli è sufficiente conquistare la maggioranza relativa del voto popolare. Deve anche essere in grado di guadagnarsi l’appoggio di partiti contro i quali a gareggiato fino a pochi giorni prima. Perché vinca il laburista Isaac Herzog, il campo dei centristi che egli spera di guidare deve sostenere lui e non Netanyahu a partire dal giorno dopo le elezioni. Le possibilità per Herzog di diventare primo ministro dipendono tanto dai voti che otterrà la sua Unione Sionista quanto dalla disponibilità a sostenerlo del partito laico centrista Yesh Atid (di Yair Lapid) e del partito di centro-destra focalizzato sulle questioni socio-economiche Kulanu (di Moshe Kahlon).

Fino a una settimana dalle elezioni tutto questo sembrava improbabile. I partiti di Herzog e Netanyahu risultavano testa a testa nei sondaggi, prospettando al campo della destra la possibilità di creare in modo relativamente agevole una solida coalizione alla quale sarebbe stato difficile per Yesh Atid di Lapid non aderire come “foglia di fico”, vale a dire nella funzione di una forza moderata pronta a frenare Netanyahu e i suoi alleati di estrema destra agendo come “ala sinistra” di un governo di centro-destra simile a quello attualmente in carica. Gli elettori di Lapid non ne sarebbero entusiasti, ma nemmeno particolarmente delusi.

Isaac Herzog, di Unione Sionista

Isaac Herzog di Unione Sionista

Ora, però, la situazione si è modificata. Netanyahu e Herzog non risultano più alla pari. I più recenti sondaggi del canale tv della Knesset e del Canale Due danno l’Unione Sionista di Herzog in vantaggio da 3 a 4 seggi su Netanyahu. Il gap è stato ribadito da un sondaggio di radio Galei Tzahal. Anche se il margine di errore dei sondaggi israeliani è enorme e non mancano sondaggi con risultati diversi, se effettivamente il Likud dovesse ottenere 21 seggi alla Knesset contro i 25 o anche solo 24 dell’Unione Sionista, la disparità potrebbe rivelarsi cruciale.

Lapid ha dichiarato che non sosterrà Netanyahu come primo ministro e i suoi numeri nei sondaggi sono schizzati in su. “Le probabilità che sosterrò Netanyahu sono quasi a zero” ha detto Lapid mercoledì, di fatto impegnandosi per la prima volta in questo ciclo elettorale a sostenere Herzog. Anche se probabilmente si tratta di un espediente elettorale per rassicurare gli elettori centristi stanchi di Netanyahu ma a disagio con Herzog e diffidenti verso Kahlon, in pratica si traduce in un temporaneo voto di fiducia verso Herzog da parte di un uomo destinato a svolgere, di nuovo, il ruolo kingmaker.

Mentre i sondaggi iniziali davano come terza la Lista Araba Comune, ora Lapid, l’unico candidato in crescita costante sondaggio dopo sondaggio, sembra posizionato sui 13-14 seggi: cioè pari o uno di più della Lista Araba. Ma sopratutto, cosa più importante, in vantaggio rispetto a Bayit Yehudi (di Naftali Bennett), l’alleato di destra di Netanyahu, il che sposta l’onda di marea dal centro-destra al centro-sinistra. A ciò si aggiunga che il Kulanu di Moshe Kahlon si è rifiutato di impegnarsi sia verso Netanyahu che verso Herzog, facendo capire che non si può dare per scontato che Kahlon, in quanto ex membro del Likud, si schieri automaticamente a sostegno del suo ex leader di partito.

Yair Lapid di Yesh Atid

Yair Lapid di Yesh Atid

Dunque, se i sondaggi ci azzeccano e se Lapid mantiene la sua parola – due se molto grandi – allora Herzog potrebbe creare una coalizione formata da: Unione Sionista, Yesh Atid, Kulanu, Meretz, Shas, Ebraismo Unito della Torà. Sebbene con una maggioranza di pochi seggi, una tale coalizione potrebbe funzionare contando magari sul tacito appoggio esterno di alcuni parlamentari della Lista Araba Comune (che potrebbe anche ridividersi dopo le elezioni).

Se il laicista Lapid è disposto a sedere in un governo con gli ultra-ortodossi di Shas e Ebraismo Unito della Torà, coi quali peraltro si è scontrato su molti disegni di legge, allora un successo di Herzog è possibile.

Esistono altre combinazioni possibili: ad esempio, reclutando nel governo Yisrael Beytenu di Avigdor Liberman al posto di Ebraismo Unito della Torà. Il che renderebbe più facile a Lapid convivere con il solo Aryeh Deri di Shas. D’altro canto, l’ingresso di Lieberman potrebbe essere difficile da digerire per la sinistra sionista di Meretz. Sempre ammesso, naturalmente, che Meretz riesca a superare il quorum minimo d’ingresso (3,25%), cosa che potrebbe non accadere dopo che la Lista Araba Comune ha rifiutato l’accordo elettorale. In questo caso, la vittoria di Netanyahu sarebbe garantita.

Ma per ora, col passare dei giorni, non c’è nulla di sicuro.

N.B. – I sondaggi in Israele hanno una tradizione di imprecisione e dichiarano un margine d’errore del 4%. Con coalizioni che si giocherebbero su pochi seggi di differenza è praticamente impossibile avanzare pronostici fondati. Questo articolo ha il solo scopo di spiegare quale scenario renderebbe possibile un cambio di governo, senza formulare scommesse sulla probabilità che ciò avvenga effettivamente.»

(Da: YnetNews, 12.3.15)