Perché Hamas rimpiange il dittatore del Sudan?

La destituzione del criminale al-Bashir è una buona notizia per il Sudan, ma è pessima per i terroristi che da anni si avvalevano della sua amicizia e complicità

Di Muhammad Shehada

Muhammad Shehada, autore di questo articolo

C’è stato totale silenzio da parte di Hamas sulla rivoluzione in Sudan. Silenzio totale anche da parte degli alleati naturali del Sudan, Turchia e Qatar, con l’Iran che ha semplicemente rigettato l’intera rivolta popolare come “un colpo di stato”. Uguale mancanza di reazioni da parte del blocco avversario: Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. La tendenza generale è stata quella di prendere tacitamente le parti del presidente (ora destituito) Omar al-Bashir, nell’ipotesi che tutto sarebbe finito rapidamente e che il dittatore avrebbe schiacciato la rivolta sul nascere. Quasi nessun paese arabo ha ufficialmente appoggiato le masse che si ribellavano al regime tirannico di al-Bashir (inseguito da un mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità) anche dopo che è stato estromesso. Dal Golfo sono giunte piuttosto parole di lode e appoggio, e generose donazioni, agli elementi residui del regime corrotto e spietato di al-Bashir che hanno assunto il controllo del paese sotto forma di un Consiglio di transizione militare. La rivoluzione di kandaka, la”regina nubiana” sudanese, è stata forse la più singolare rivolta della regione. Per la prima volta dallo scoppio della cosiddetta primavera araba nel 2011, non si sono visti agenti e delegati stranieri a sostegno del popolo, né un’adeguata copertura mediatica internazionale.

Ma il silenzio di Hamas, che sosteneva totalmente al-Bashir, è particolarmente assordante. I capi di Hamas stanno incrociando le dita nella speranza che i successori non compromettano gli interessi strategici del movimento nel Sudan, e soprattutto il suo ruolo nel cruciale percorso delle forniture di armi dalla Libia e dall’Iran alla striscia di Gaza. Per decenni, il Sudan di al-Bashir è stato un essenziale e cruciale sostenitore della causa palestinese in generale, e in particolare di Hamas in altissimo grado. Il defunto leader ideologico del Sudan, Hassan Al-Turabi, ha fatto da mentore a diversi eminenti fondatori di Hamas. Il paese ha tenuto ha tenuto le porte spalancate ai militanti di Hamas che vi hanno gestito posti di addestramento, compreso l’addestramento degli “ingegneri” di ordigni esplosivi per attentati, e ha concesso numerose borse di studio a selezionati membri di Hamas per studiare medicina e legge nei college sudanesi. Ha persino addestrato gli agenti di Hamas nelle accademie di polizia di Khartoum. Con un regime così amichevole, parecchi alti esponenti di Hamas hanno ottenuto senza difficoltà diplomi e lauree negli atenei sudanesi senza nemmeno mettervi piede.

Dicembre 2011: incontro a Khartoum fra il capo di Hamas a Gaza Ismail Haniyeh (a sinistra) e il presidente del Sudan Omar Hassan al-Bashir

Ma il contributo più significativo di al-Bashir è stata l’apertura e facilitazione di un tragitto per le forniture di armi destinate a Hamas dall’Iran e più recentemente dalla Libia post-Gheddafi. Le armi (mitra, munizioni, missili anticarro e missili d’artiglieria M-302 di fabbricazione siriana) venivano raggruppate e immagazzinate in Sudan per poi essere prudentemente introdotte in Egitto, da dove raggiungevano Hamas attraverso i tunnel fra la penisola del Sinai e la striscia di Gaza. In cambio, Hamas è stata un fedele fautore di al-Bashir, come quando decise di applicare la legge della sharia in Sudan nel 1991. Occasionalmente Hamas ha anche svolto il ruolo di intermediario tra Khartoum e Teheran, ogni volta che il rapporto tra i due regimi tendeva a surriscaldarsi.

Nel 2016 al-Bashir ha deciso di tagliare ufficialmente i legami con Teheran e si è aggregato alla guerra degli Emirati Arabi nello Yemen, sperando di ricevere in cambio sostegno finanziario e di placare in qualche modo Washington con l’obiettivo di allentare le sanzioni statunitensi sul Sudan. Ma il traffico di armi verso Hamas è continuato e su di esso al-Bashir ha continuato a chiudere un occhio.

Israele si è adoperato senza soste per ostacolare o bloccare questa rotta, con attacchi di vario genere e occasionali raid aerei e navali. Nel 2009 i jet israeliani presero di mira in Sudan un convoglio di 17 camion di armi affermando che erano dirette a Gaza. Nel 2010 l’Egitto ha accolto la richiesta israeliana di intensificare le forze di sicurezza ai confini con il Sudan per prevenire sospette forniture di armi a Hamas. Nel 2011, il capo delle Brigate Qassam di Hamas, Abdul-latif Al-Ashqar, è sopravvissuto a un attacco aereo israeliano contro la sua auto a Port Sudan. Nel 2012 Israele ha bombardato la fabbrica militare al-Yarmouk, a Khartoum, per sventare un trasporto di armi iraniane verosimilmente destinato a Hamas. Due mesi dopo, Israele accusava ufficialmente il Sudan di contrabbando di armi a favore di Hamas, nel momento in cui due navi iraniane approdavano a Port Sudan. Nel 2014, la marina israeliana ha intercettato nelle acque internazionali tra il Sudan e l’Eritrea una nave che trasportava rifornimenti iraniani a Gaza. Nel 2015, il regime ha affermato d’aver abbattuto un drone militare israeliano alcune ore dopo che si era registrato un nuovo attacco aereo israeliano su un impianto di armi a Omdurman. Naturalmente, il regime di al-Bashir ha sempre respinto tutte le accuse di complicità nelle forniture di armi a Hamas.

La fabbrica di armamenti Yarmouk, a Khartoum, colpita il 24 ottobre 2012 da un raid attribuito a Israele

Successivamente, Israele ha tentato anche la via diplomatica. Nel 2016, Israele avrebbe chiesto a Washington di fare pressione sul Sudan perché chiudesse la rotta delle armi verso Hamas. L’anno successivo apparve con evidenza in Sudan una crescente disponibilità alla normalizzazione quando il ministro sudanese per gli investimenti, Mubarak al-Mahdi, sostenne pubblicamente la necessità di normalizzare le relazioni con Israele, accennando addirittura qualche rude sentimento anti-palestinese quando disse: “Il problema palestinese ha frenato il mondo arabo”. Nel 2018, mentre Netanyahu allargava la sua azione diplomatica nel continente africano e il suo capo del Mossad dirigeva gli sforzi di normalizzazione arabo-israeliani, la tv israeliana Canale 2 riferiva che la prossima tappa di Netanyahu sarebbe stata il Sudan. Due giorni dopo, la tv Canale 10 rivelava che dei diplomatici israeliani si erano incontrati in segreto a Istanbul con influenti funzionari sudanesi, alcuni dei quali molto vicini all’allora capo dell’intelligence sudanese, ed oggi  ambasciatore a Washington, Mohammed Atta. A novembre, dopo che il presidente del Ciad Idriss Deby aveva visitato Israele ponendo fine a un divorzio diplomatico di 46 anni, si moltiplicarono le voci secondo cui il capo del Sudan sarebbe stato il prossimo a stringere la mano a Netanyahu.

Hamas, estremamente preoccupata che i suoi interessi nel Sudan di al-Bashir fossero in serio pericolo, si affrettò a denunciare tutti gli sforzi di normalizzazione con Israele, senza nominare esplicitamente il Sudan. In seguito, fonti vicine a Hamas si incontrarono con al-Bashir, il quale ribadì di considerarsi l’ostacolo più forte e più risoluto sulla via della normalizzazione, citando il suo eterno risentimento per le armi e l’addestramento che Israele avrebbe fornito ai ribelli sud-sudanesi che hanno conseguito la scissione dal Sudan nel 2011.

In ogni caso, le conseguenze per Hamas della destituzione di al-Bashir saranno certamente gravi. L’ascesa del Consiglio di Transizione Militare avverrà essenzialmente a scapito dell’influenza dei Fratelli Musulmani nel paese. I generali dell’esercito, ora a capo del governo civile, cercano disperatamente di guadagnare sostegno popolare prospettando progressi economici, se non politici. E ancora più disperatamente hanno bisogno di supporto e legittimazione internazionali. I nuovi corrotti governanti di Khartoum potrebbero giungere a pensare che sarebbe strategicamente più efficace ottenere quella legittimità con un voltafaccia che apra la strada alla normalizzazione israelo-sudanese, a scapito della presenza di Hamas in Sudan.

Quattro mesi fa, mentre la rivolta iniziava a prendere forma, Hamas iniziava già a richiamare alcuni dei suoi attivisti dal Sudan e a cercare covi e rotte amichevoli alternative in giro per il Mar Rosso. Ma è improbabile che Hamas possa trovare nelle immediate vicinanze un alleato così stretto come è stato il dittatore criminale sudanese Omar al-Bashir.

(Da: Haa’retz, 15.4.19)