“Perché ho autorizzato la tradizionale sfilata delle bandiere a Gerusalemme”

In questo anno da ministro della pubblica sicurezza ho imparato che, come la criminalità non conosce limiti, non ci sono limiti nemmeno all'estorsione e alle minacce delle organizzazioni terroristiche

Di Omer Bar-Lev

Il ministro israeliano della pubblica sicurezza Omer Bar-Lev, autore di questo articolo

Nell’editoriale di domenica 29 maggio, il giorno della sfilata delle bandiere a Gerusalemme, Ha’aretz diceva che, in quanto ministro israeliano della pubblica sicurezza, non avevo fatto “tutto il possibile per prevenire un’evitabile conflagrazione regionale”.

Innanzitutto, sono ben felice che la mia decisione, razionale e ponderata, di autorizzare la sfilata nel suo formato tradizionale lungo il percorso che segue da oltre tre decenni, non ha portato a “una conflagrazione regionale evitabile” e che l’apocalittica previsione dell’editoriale non si è avverata.

Ma la vera domanda è se l’obiettivo dell’approvazione della marcia fosse “manifestare la supremazia ebraica nel quartiere musulmano di Gerusalemme est”, come affermava l’editoriale nella prima frase, o se fosse preservare e mantenere una tradizione decennale nonostante il fatto che le persone che l’hanno mantenuta negli ultimi anni non appartengano alla mia parte politica.

Breve promemoria, nel caso qualcuno l’avesse dimenticato: l’anno scorso il governo di Benjamin Netanyahu cedette all’ultimo momento e impedì la sfilata nel suo percorso tradizionale. Forse che ciò servì a evitare un’escalation? Tutt’altro. Il risultato di quella capitolazione fu il lancio di razzi su Gerusalemme e un nuovo round di combattimenti con Hamas nella striscia di Gaza, eventi che hanno permesso a Hamas di rivendicare un collegamento diretto e molto inquietante con Gerusalemme. Si immagini cosa sarebbe successo se anche quest’anno ci fossimo fatti intimorire dalle minacce di Hamas e avessimo capitolato. Hamas avrebbe continuato a erodere la sovranità israeliana e si sarebbe permessa di imporre ulteriori pretese estorsive e pericolose, nella convinzione che anche su questo avremmo capitolato.

29 maggio 2022: la sfilata delle bandiere, che celebra la riunificazione di Gerusalemme, si conclude tradizionalmente al Muro Occidentale (“del pianto”), il cui accesso era precluso a tutti gli ebrei durante il ventennio di occupazione giordana

Ai tanti che rifiutano questo argomento vorrei chiedere: cosa avrebbe dovuto fare Israele se, a seguito di una tale capitolazione, Hamas fosse andata avanti minacciando una conflagrazione regionale se, tanto per dire, la via intitolata all’ex capo di stato maggiore delle Forze di Difesa israeliane Haim Bar-Lev, situata nella parte orientale della città, non venisse rinominata in onore di un comandante militare musulmano? Dopotutto, non c’è fine all’appeasement (capitolazione condiscendente). Durante questo mio anno come ministro della pubblica sicurezza ho imparato che, così come la criminalità non conosce limiti, non ci sono limiti nemmeno all’estorsione e alle minacce da parte delle organizzazioni terroristiche, a meno che non siamo noi a imporre loro limiti chiari. Chiunque non affronti questi problemi quando si presentano la prima volta non deve sorprendersi se, in seguito, diventa molto più difficile affrontarli, e talvolta persino impossibile.

In un altro editoriale di quello stesso giorno su Ha’aretz in ebraico (e il giorno successivo in inglese), Noa Landau mi ha definito “il moderato israeliano senza possibilità di scelta”. Ma la verità è che io e molti altri israeliani abbiamo una scelta. È solo che le opzioni disponibili di questi tempi, sfortunatamente, non contemplano l’alternativa che io, e molto probabilmente anche Landau, preferiremmo: due stati per due popoli che vivano fianco a fianco in pace. “Scegliere tra opzioni negative”, la frase che Landau mi attribuisce, è una cosa resa spesso necessaria dalla realtà. La polizia doveva entrare nella moschea di al-Aqsa, rimuovere centinaia di facinorosi e consentire così a decine di migliaia di pacifici musulmani di pregare senza impedimenti, oppure doveva astenersi dall’entrare nella moschea lasciando all’interno le centinaia di istigatori e le porte sbarrate a quelle decine di migliaia dei fedeli? Ecco una scelta tra due opzioni negative. Sì, il fatto che la realtà sia complessa spesso costringe un leader a scegliere la meno sbagliata tra due opzioni negative.

Ma nel caso della sfilata delle bandiere la scelta è stata molto più semplice: preservare una tradizione consolidata da molti anni nonostante il rischio calcolato che comportava e quindi non mettere in dubbio la nostra legittimità, oppure minare la nostra legittimità e lasciare che venisse erosa la nostra sovranità pur sapendo dall’esperienza passata sotto Netanyahu che così capitolando non avevamo nessuna garanzia di prevenire “una evitabile conflagrazione regionale “, ma anzi in realtà proprio l’opposto.

(Da: Ha’aretz, 2.6.22)