Perché i palestinesi temono le telecamere sul Monte del Tempio

Il sistema tv a circuito chiuso, installato in collaborazione con la Giordania, mette in crisi chi ha sempre diffuso menzogne sulla moschea di al-Aqsa per fomentare scontri religiosi

Di Reuven Berko

Reuven Berko, autore di questo articolo

Reuven Berko, autore di questo articolo

Durante lo scorso fine settimana, nel complesso monumentale della moschea di al-Aqsa, a Gerusalemme, è stato fatto circolare un volantino anonimo che metteva in guardia i fedeli musulmani dalle telecamere di sicurezza che vengono installate nel luogo sacro.

L’idea di installare nell’area un sistema di telecamere a circuito chiuso è il frutto di un’intesa raggiunta, con la mediazione degli Stati Uniti, fra Israele e Waqf islamico, l’ente sotto ègida giordana che controlla e gestisce il patrimonio immobiliare musulmano dentro e attorno al sito. Obiettivo del progetto: monitorare quanto avviene nel delicato complesso e in particolare, dal punto di vista di Israele, sconfessare in modo documentato le ricorrenti campagne fraudolente di soggetti come Hamas e Movimento Islamico che gridano al “complotto ebraico” allo scopo di alterare lo status quo sul Monte del Tempio e fomentare guerre di religione. Il sistema di sorveglianza visiva aiuterà a identificare finalmente chi sono i veri provocatori che periodicamente mettono a repentaglio il luogo sacro.

Ma l’Autorità Palestinese, che si dice “profondamente preoccupata” per l’integrità di Al-Aqsa, è proprio quella che tenta di sabotare il progetto, ben consapevole di quanto esso sia destinato a minare la sua influenza sul sito. In effetti, la collaborazione fra Israele e Giordania nell’installare la rete di telecamere a circuito chiuso esclude l’Autorità Palestinese dai giochi attorno alla moschea di al-Aqsa nel momento in cui rafforza la sovranità israeliana a Gerusalemme e consolida il ruolo della Giordania come garante nella gestione del sito, formalmente riconosciuto dal Trattato di pace israelo-giordano del 1994. Inoltre, permettendo di monitorare i facinorosi che operano al servizio di piani stranieri per alimentare tensioni in tutto il complesso, è evidente che il sistema di telecamere torna utile a Israele nel suo impegno di neutralizzare le forze che soffiano sul fuoco dell’istigazione alla violenza: il tutto a chiaro vantaggio del luogo sacro affidato alle sue cure.

Settembre 2015: giovani palestinesi a volto coperto (alcuni persino con le scarpe ai piedi) accumulano dentro la moschea di al-Aqsa sassi e pietre da lanciare contro gli ebrei che si recano sulla spianata del Monte del Tempio. Queste sono le immagini che le telecamere di sorveglianza non potranno riprendere perché i palestinesi si oppongono ad installarle all’interno delle moschee

Non basta. La maggiore collaborazione sulla sicurezza tra Israele e Giordania, così come la collaborazione sulla sicurezza fra Israele ed Egitto, corrisponde in senso più ampio agli interessi di Gerusalemme, di Amman e del Cairo, che è proprio uno dei motivi per cui l’Autorità Palestinese, con la sua pletora di organizzazioni, è contraria a qualsiasi progresso in questo campo.

Ecco perché i palestinesi tendono a sabotare un progetto pensato per incrementare la sicurezza nel luogo santo musulmano. Anche se funzionari islamici e palestinesi si sono opposti al posizionamento delle telecamere all’interno delle moschee, la rete tv a circuito chiuso nelle aree esterne rappresenta comunque un duro colpo per i gruppi islamisti, in primo luogo il Movimento Islamico e il partito Hizb ut-Tahrir, e in generale per tutti coloro che da sempre ricorrono a false campagne allarmiste sulla moschea di al-Aqsa “in pericolo” per coagulare e mobilitare le forze e fomentare gli scontri.

La sorveglianza elettronica metterà in difficoltà, ad esempio, i tentativi di Raed Salah, capo del Movimento Islamico israeliano Ramo Nord, di diffondere – come ha fatto di nuovo recentemente – immagini false e manipolate di presunti scavi ostili israeliani sotto la moschea di al-Aqsa, così come i tentativi dei gruppi fondamentalisti Murabitun e Murabitat di innescare disordini nel luogo di preghiera, specialmente durante le festività ebraiche.

Tutto questo, infine, non potrà che indebolire la bizzarra pretesa dell’Autorità Palestinese di ancorare alla moschea di Al-Aqsa la rivendicazione di Gerusalemme est come capitale del futuro stato palestinese quando si si consideri il fatto che nessuna delle grandi città sante dell’islam – La Mecca, Medina, Qom, Karbala, Najaf – è mai stata eletta capitale.

(Da: Israel HaYom, 13.4.16)

(fotocomposizione a scopo illustrativo)