Perché mente spudoratamente?

Quanto va dicendo il gran mufti islamico sulla storia del Monte del Tempio è come minimo sconcertante, e sicuramente molto molto preoccupante

Di Brian Schrauger

Brian Schrauger, autore di questo articolo

Brian Schrauger, autore di questo articolo

Il più autorevole giureconsulto islamico a Gerusalemme, il gran mufti Muhammad Hussein, ha recentemente affermato che il primo uomo, Adamo, forse con l’aiuto degli angeli, costruì l’odierna Cupola della Roccia, il santuario islamico di milletrecento anni fa che sorge sulla sommità del Monte del Tempio, nella Città Vecchia di Gerusalemme. Pertanto, ha detto il mufti, il sito è una moschea islamica “da tremila anni fa, e da trentamila anni fa”.

Hussein ha fatto queste affermazioni durante un’intervista in arabo alle news dell’emittente israeliana Canale Due. Come già altre volte in passato, Hussein ha negato con veemenza che il sito sia mai stato la sede dei Templi dell’ebraismo, né il primo attribuito a re Salomone, né il secondo ristrutturato da Erode il Grande. Secondo lui, infatti, il sito è sempre stato un luogo sacro esclusivamente islamico “sin dalla creazione del mondo”.

Non è la prima volta che il massimo giureconsulto islamico in Israele afferma che i Templi biblici d’Israele non sono mai esistiti. Circa quattro anni fa, il 5 gennaio 2012, il mufti lo fece durante le news della tv dell’Autorità Palestinese. “Loro [gli ebrei] – disse – vogliono sostenere o ipotizzare che questo luogo [il Monte del Tempio] era una volta un tempio, stando a quanto pretendono. La verità, invece, è che non c’è mai stato un tempio in nessuna epoca, né c’è mai stato in qualsiasi epoca un luogo di culto degli ebrei o di altri nel sito della moschea al-Aqsa [costruita sul Monte del Tempio nel 705 e.v.]”.

Muhammad Hussein, nominato gran mufti nel 2006 dal presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen)

Muhammad Hussein, nominato gran mufti nel 2006 dal presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen)

Alla luce della sua stessa tradizione sunnita e della storia scritta, le affermazioni del gran mufti appaiono come minimo sconcertanti. Secondo la storiografia islamica, la Cupola della Roccia venne completata verso la fine del VII secolo, poco più di milletrecento anni fa. Era stata commissionata da Abd al-Malik ibn Marwan, capo della impero islamico noto come il Califfato Omayyade. Al-Malik è considerato dal ramo sunnita dell’islam come il successore politico e religioso del fondatore dell’islam, Muhammad (Maometto). Abu Bakr al-Wasiti è uno storico sunnita, morto intorno al 932 e.v., che descrisse il processo storico con cui il Califfo si era impegnato a costruire la Cupola della Roccia: come reagivano i suoi sudditi, gli artigiani che assunse, i soldi che spese.

Nella storiografia più recente, gli studiosi islamici sono stati inequivocabili. Nel 1924, il Supremo Consiglio Musulmano pubblicò una breve guida all’Al-Haram Al-Sharif di Gerusalemme. Haram al-Sharif, o Nobile Santuario, è il termine arabo con cui l’islam si riferisce al Monte del Tempio. La versione inglese di quella Guida ufficiale è tuttora disponibile, anche on-line. Inizia con un “abbozzo storico”: “Il sito è uno dei più antichi del mondo – vi si legge – La sua santità risale ai tempi più antichi (forse preistorici). La sua identificazione con il sito del Tempio di Salomone è fuori discussione. Questo, secondo la credenza universale, è anche il luogo dove Davide eresse un altare al Signore e bruciò offerte e sacrifici di pace. Ma questa Guida – chiarisce il testo – si limita al periodo musulmano, che inizia nell’anno 637 d.C.”. L’opuscolo prosegue descrivendo la costruzione della Cupola della Roccia completata “nel 691 d.C.” e della moschea di al-Aqsa, due anni dopo.

La Guida ufficiale del Waqf islamico del 1924 (clicca per ingrandire)

La Guida ufficiale del Waqf islamico del 1924 (clicca per ingrandire)

In totale contrasto con le affermazioni storiche della sua stessa religione, per non parlare delle testimonianze archeologiche e dei riferimenti biblici (ebraici e cristiani), oggi il gran mufti di Gerusalemme contesta ciò che i suoi stessi colleghi definivano “fuori discussione” e nega ciò che affermano i suoi storici. Come può farlo? Perché lo fa?

Una possibile risposta è la dottrina islamica che permette di mentire quando un devoto è in pericolo di vita. Si chiama taqiyya. Un commentatore islamico del Corano spiega: “Se uno per sfuggire ai suoi nemici è costretto a professare mancanza di fede con la lingua mentre il suo cuore fa il contrario, nessuna colpa ricade su di lui perché Dio bada a ciò che crede il cuore dei suoi servitori”. In sostanza, mentire sotto costrizione è moralmente accettabile. Se questa è la motivazione del gran mufti, si dovrebbe evincere dalla dottrina della taqiyya che egli mente al fine di proteggere gli islamici devoti dal “pericolo mortale” posto alla fede islamica dalla (vera) storia del Monte del Tempio e dalle relative testimonianze archeologiche.

Un’altra spiegazione correlata sta nella dottrina islamica del tahrif, che significa distorsione o alterazione. Secondo questa credenza, la Bibbia contiene delle verità, ma è stata corrotta dagli ebrei e anche dai cristiani. Il Corano, si crede, nelle intenzioni di Allah doveva porre rimedio a tale corruzione. Alla luce di questa convinzione il gran mufti può determinare che le prove terrene, come l’archeologia, rappresentano una visione incompleta e spesso fuorviante rispetto alla verità più grande rappresentata, secondo lui, dall’islam. Postulando che la Bibbia è corrotta e che l’islam è la verità più grande alla quale tutto il resto è soggetto, egli conclude che le testimonianze storiche e archeologiche odierne sono fuorvianti. Anziché fare i conti con le prove che contraddicono la sua visione dell’islam, egli mente su di esse: persino sulle prove che provengono dalla sua stessa tradizione religiosa e storiografica.

Nella misura in cui risultasse valida una di queste due spiegazioni, o entrambe, ne emerge che l’islam è profondamente minacciato dalla storia del giudaismo: una minaccia esponenzialmente amplificata dalla rinascita di Israele come stato ebraico nella terra delle sue origini. In breve, se è vera la tradizione biblica ebraica, come indicano le prove archeologiche e l’esistenza di Israele, allora non lo sono l’islam e Allah. Se questa analisi è anche solo vagamente corretta, il tragico conflitto di oggi, per quanto brutto sia, è solo all’inizio.

(Da: Jerusalem Post, 2.11.15)