Perché Trump ha ragione su Gerusalemme

Chi rese la pace più difficile fu Obama, con la risoluzione Onu di un anno fa che criminalizzava la presenza di Israele nelle storiche aree ebraiche della città. Trump ha ripristinato il giusto equilibrio

Di Alan Dershowitz

Alan Dershowitz, autore di questo articolo

La decisione del presidente Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele è una risposta perfetta alla cieca decisione presa dal presidente Barack Obama di cambiare la politica americana quando architettò la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che decretava come “territori occupati” i luoghi più sacri dell’ebraismo a Gerusalemme, equiparandoli a una “flagrante violazione del diritto internazionale”. È stato il presidente Obama che ha cambiato lo status quo e ha reso la pace più difficile, elargendo ai palestinesi un enorme vantaggio negoziale e togliendo loro l’incentivo ad accettare un compromesso di pace.

Da molto tempo la politica estera americana opponeva il veto a qualsiasi risoluzione unilaterale del Consiglio di Sicurezza che definisse “occupati illegalmente” i luoghi più sacri dell’ebraismo. La decisione di Obama di cambiare quella politica non rispondeva agli interessi americani o della pace. Fu presa solo per consumare una vendetta personale contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e per un moto di irritazione da parte del presidente americano uscente. Aveva anche lo scopo di legare le mani, in modo improprio, al neoeletto presidente Trump. Ora Trump fa la cosa giusta quando dice alle Nazioni Unite che gli Stati Uniti respingono quella risoluzione parziale del Consiglio di Sicurezza.

Dall’alto: la secolare sinagoga di Hurva prima del 1948; la stessa sinagoga durante l’occupazione giordana di Gerusalemme Vecchia (1948-1967); l’arco in memoria della sinagoga, eretto dopo la riunificazione della città nel 1967; la sinagoga quasi completamente ricostruita (luglio 2009).

Quindi, se c’è stato un cambiamento nello status quo, la responsabilità di quel cambiamento venga attribuita a chi spetta: al presidente Obama, per la sua vile decisione di aspettare gli ultimi giorni della sua presidenza per saldare i conti con Netanyahu. Il presidente Trump merita il plauso per aver ripristinato l’equilibrio nei negoziati con Israele e palestinesi. È stato il presidente Obama a rendere la pace più difficile. E’ stato il presidente Trump a renderla di nuovo possibile.

La vergognosa risoluzione del Consiglio di Sicurezza dichiarava che “qualsiasi modifica rispetto alle linee del 4 giugno 1967, anche per quanto riguarda Gerusalemme” non ha “alcuna validità legale e costituisce una flagrante violazione del diritto internazionale”. Ciò significa, tra l’altro, che la decisione di Israele di costruire una piazza per la preghiera davanti al Muro Occidentale, il sito più sacro dell’ebraismo, costituisce una “flagrante violazione del diritto internazionale”. La risoluzione non si limitava dunque agli insediamenti in Cisgiordania, come poi avrebbe cercato di sostenere l’amministrazione Obama in modo ingannevole. La risoluzione si applicava al cuore stesso di Israele.

Prima del 4 giugno 1967 agli ebrei era proibito pregare al Muro Occidentale. Veniva anche impedito loro di frequentare il campus dell’Università di Gerusalemme sul Monte Scopus, fondato nel 1925 e sostenuto da Albert Einstein. Gli ebrei non potevano essere curati all’Ospedale Hadassah, sempre sul Monte Scopus, che aveva curato sia ebrei che arabi sin dal 1918. Gli ebrei non potevano vivere nel quartiere ebraico di Gerusalemme, dove i loro antenati avevano costruito case e sinagoghe per migliaia di anni. Questi divieti in stile judenrein furono decretati dalla Giordania, che aveva catturato con la forza militare quelle aree ebraiche durante la guerra d’indipendenza d’Israele del 1948, e aveva occupato illegalmente l’intera Cisgiordania che le Nazioni Unite avevano destinato a uno stato arabo. Quando il governo giordano occupò i siti storici ebraici, vennero distrutte tutte le vestigia dell’ebraismo come sinagoghe, scuole e cimiteri, con le secolari lapidi ebraiche usate per lastricare gli orinatoi. Tra il 1948 e il 1967 le Nazioni Unite non vararono una sola risoluzione che condannasse l’occupazione giordana e la devastazione culturale. Quando Israele riprese quelle aree, nel corso di una guerra difensiva che la Giordania aveva iniziato bombardando le case civili di Gerusalemme ovest, e quando Israele aprì quelle aree come luoghi in cui gli ebrei potessero pregare, studiare, essere curati e abitare, gli Stati Uniti assunsero la posizione ufficiale di non riconoscere le legittime rivendicazioni di Israele sulla Gerusalemme ebraica. Affermarono che lo status di Gerusalemme, comprese le aree appena liberate, sarebbe stato demandato ai negoziati finali e che intanto sarebbe rimasto in vigore lo status quo. Questo è il motivo ufficiale per cui gli Stati Uniti si rifiutavano di riconoscere qualsiasi parte di Gerusalemme, inclusa Gerusalemme ovest, come parte di Israele. Questo è il motivo per cui gli Stati Uniti rifiutavano che un cittadino americano nato in una qualsiasi parte di Gerusalemme indicasse sul proprio passaporto “Gerusalemme, Israele” come luogo di nascita.

Ma persino questo status quo è stato cambiato con l’ingiustificata decisione del presidente Obama di non opporre il veto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dello scorso dicembre. Tutt’a un tratto le Nazioni Unite hanno deciso che, fatti salvi ulteriori negoziati e accordi, le aree ebraiche di Gerusalemme liberate dall’occupazione giordana nel 1967 non fanno parte di Israele. Sarebbero anzi territori illegalmente occupati da Israele, e qualsiasi costruzione in queste aree – compresi i luoghi di preghiera al Muro Occidentale, le strade di accesso al Monte Scopus e le sinagoghe ricostruite nello storico quartiere ebraico – “costituisce una flagrante violazione del diritto internazionale”. Se questo è davvero il nuovo status quo, allora perché mai i palestinesi dovrebbero accettare di sedere a negoziare? E se anche lo facessero, potrebbero usare queste aree ebraiche per estorcere concessioni irragionevoli da Israele, per il quale queste aree “illegalmente occupate” sono sacre e non negoziabili.

Il rifiuto del presidente Obama di opporre il veto a quella risoluzione unilaterale fu un deliberato stratagemma per legare le mani ai suoi successori, e la conseguenza fu di rendere molto più difficile spingere i palestinesi ad accettare l’offerta di Israele di negoziare senza precondizioni. Nessun futuro presidente può annullare la deleteria decisione, dal momento che un veto non usato non può essere opposto in modo retroattivo. E una risoluzione, una volta approvata, non può essere annullata se non con un voto di maggioranza contrario e senza il veto di nessuno dei membri permanenti, tra i quali figurano Russia e Cina che sicuramente opporrebbero il veto a qualsiasi tentativo di annullare quella risoluzione.

Barack Obama in raccoglimento nella piazza del Muro Occidentale che successivamente avrebbe permesso all’Onu di definire “territorio illegalmente occupato”

La decisione del presidente Trump di riconoscere ufficialmente Gerusalemme come capitale di Israele serve a ripristinare il giusto equilibrio. Essa dimostra che gli Stati Uniti non accettano gli effetti da judenrein della faziosa risoluzione sulle storiche aree ebraiche di Gerusalemme che erano proibite agli ebrei. Il precedente rifiuto degli Stati Uniti di riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele si basava esplicitamente sull’idea che non si dovesse fare nulla per modificare lo status quo della città, santa per tre religioni. Ma la risoluzione del Consiglio di Sicurezza ha fatto proprio questo: ha cambiato lo status quo dichiarando la presenza di fatto di Israele sui siti santi ebraici una “flagrante violazione del diritto internazionale” che “l’Onu non riconoscerà”. Dal momento che praticamente tutti, nella comunità internazionale, riconoscono che qualsiasi pace ragionevole dovrà riconoscere le legittime rivendicazioni di Israele su queste e altre aree di Gerusalemme, è del tutto irragionevole permettere alla risoluzione Onu di trasformare in “criminale” ogni ebreo o israeliano che metta piede in queste aree storicamente ebraiche, strappate agli ebrei con la forza nel ‘48 e liberate nel ’67. (Per colmo di ironia, lo stesso presidente Obama ha pregato nella piazza del Muro Occidentale che ha poi definito “illegalmente occupata”).

Dopo che l’Onu, su sollecitazione di Obama, ha trasformato in un crimine internazionale continuato qualunque presenza israeliana nelle aree contese di Gerusalemme, comprese le aree la cui origine ebraica è fuori discussione, il presidente Trump aveva tutte le ragioni di liberarsi le mani disfacendo il danno fatto dal suo predecessore.

Alcuni hanno sostenuto che gli Stati Uniti non avrebbero dovuto riconoscere Gerusalemme perché questo spronerà la violenza dei terroristi arabi. Ma nessuna decisione dovrebbe essere influenzata dalla minaccia della violenza. I terroristi non devono avere potere di veto sulla politica americana. Se gli Stati Uniti cedessero al ricatto della violenza, incentiverebbero altri a minacciare violenze in risposta a qualunque piano di pace.

Dunque Trump ha fatto la cosa giusta, annullando la cosa sbagliata che il presidente Obama aveva fatto alla fine della sua presidenza.

(Da: Jerusalem Post, 7.12.17)