Petrolio e democrazia

I petrodollari hanno il potenziale per accelerare la democrazia nel mondo arabo

Da un articolo di Sever Plocker

Diamo un’occhiata al mondo arabo musulmano. Le tre fragili democrazie – in Libano, Palestina ed Irak – in qualche modo sopravvivono. Il governo libanese eletto è riuscito a scongiurare un colpo di stato di Hizbullah; Mahmoud Abbas ed i suoi compagni sono riusciti a confinare il fuoco di Hamas alla striscia di Gaza, e sotto la leadership di un primo ministro affidabile stanno facendo uno sforzo per il rinnovamento; in Irak ci sono sempre più numerosi segnali di normalizzazione – normalizzazione sotto gli auspici dell’esercito americano, ma anche sotto gli auspici della stanchezza del terrorismo iracheno assassino perpetrato da organizzazioni marginali.
Questo non è ancora il Medio Oriente democratico a cui George Bush non si stanca di rivolgersi nei suoi discorsi, eppure nell’estate 2007 c’è spazio per un cauto ottimismo.
Anche le centinaia di miliardi di petrodollari stanno rafforzando le tendenze democratiche. La ricchezza del petrolio ha un’influenze diverse. Regimi oscuri e tirannici la possono usare per corrompere, schiacciare gli oppositori e stabilire il proprio dominio ancora per qualche anno. Regimi più aperti ed illuminati possono usarla per aprirsi alla globalizzazione, sfruttarne i vantaggi, invitare investitori stranieri e con loro culture straniere – e così facendo migliorare lo standard di vita della popolazione.
Ovviamente, non c’è modo di sapere in anticipo quale influenza avrà la precedenza. La ricerca economica che ha esaminato il rapporto tra la ricchezza del petrolio e la democratizzazione ha trovato una correlazione statistica negativa tra l’aumento dei giacimenti di petrolio e la attuazione delle istituzioni democratiche.
Vorrei proporre qui un argomento contrario (contrario anche alle mie teorie nel passato): i petrodollari potrebbero accelerare la democratizzazione del mondo musulmano; stanno già portando dei cambiamenti. I miliardi di petrodollari hanno trasformato i paesi del Golfo – con l’eccezione dell’ Iran – in un paradiso per le loro popolazioni.
La nuova generazione si preoccupa di pianificare investimenti e si scatena negli acquisti, non nell’organizzazione del terrorismo. Il rischio interno alla loro stabilità è svanito e i regimi non proprio democratici possono concedersi una spinta democratica significativa.
In parallelo, i regimi smaccatamente repressivi, capeggiati dall’ Iran, stanno fallendo miserevolmente nell’uso dei loro proventi dal petrolio. Non solo mancano di acume finanziario e sono (generalmente) boicottati dalle comunità internazionali, ma stanno anche conducendo attivamente una politica economica radicale e populista che impoverisce i forzieri pubblici senza migliorare la vita della popolazione.
Un anno fa un gruppo di economisti iraniani inviò una lettera aperta al presidente mettendolo in guardia contro le misure economiche deliranti che voleva prendere. Recentemente egli ha ricevuto un’altra lettera, più dura della precedente; i disciplinati media iraniani hanno nascosto la lettera nonché il destino di parecchi dei firmatari.
Tuttavia, non si possono nascondere gli sviluppi visibili sulle strade delle città iraniane: la disoccupazione ha raggiunto il 25 percento della forza lavoro, l’inflazione non si può misurare a causa del distorto sistema di prezzamento e di sussidio, il deficit del governo è al culmine, l’efficienza della produzione è a zero e le riserve di petrolio stanno esaurendosi rapidamente. Nonostante un reddito annuale di circa $40 miliardi derivato dal petrolio, l’agitazione economica e sociale in Iran sta aumentando. Non c’è testimonianza migliore di questa per dimostrare la persecuzione antidemocratica che sta spazzando il paese. La parziale libertà di parola è stata completamente annullata, i membri della Guardia Rivoluzionaria Islamica si scatenano nei centri popolati, e le prigioni traboccano di membri dell’opposizione e membri dei movimenti di protesta.
Il regno degli ayatollah ha perduto quel che restava del supporto popolare ed esiste solo attraverso violenza e crudeltà.
Quando un cittadino iraniano timoroso e represso guarda quello che sta accadendo nel vicino Qatar o Abu Dhabi, vede crescita e prosperità che sono il risultato dell’economia di mercato, dell’accettazione della globalizzazione, dell’apertura all’occidente e di un processo di democratizzazione accelerato.
L’attuale governo iraniano ha più paura del modello Qatar che di un attacco israeliano ai suoi impianti nucleari.
La ricchezza proveniente dal petrolio nel mondo arabo e musulmano è chiaramente prova della preferenza di un regime democratico e di un’economia liberale. In un’epoca di molteplici canali TV in arabo, aperti e critici e forniti via satellite, le altre opzioni non possono essere nascoste al popolo iraniano.
Quando i regimi repressivi e quelli più aperti esistono fianco a fianco, il modello della maggiore apertura finirà col superare il modello repressivo. Particolarmente quando entrambi hanno denaro e solo uno ne fa buon uso. Quindi, in questa estate 2007, possiamo essere un po’ più ottimisti.

(Da: YnetNews, 2.08.07)