Più cattolici dell’Italia?

Purtroppo l’itinerario della visita non permetterà al papa di farsi un’idea precisa della complessa situazione politica nella regione

Di Sergio l. Minerbi

image_2490Nonostante forti opposizioni in Vaticano, lunedì papa Benedetto XVI arriva in visita in Israele.
Secondo notizie di stampa, ancor prima del suo arrivo il presidente israeliano Shimon Peres ha sollecitato il ministro degli interni Eli Yishai a rinunciare alla sovranità israeliana su sei siti: la Basilica del’Annunciazione a Nazareth; la Chiesa del Getsemani sul Monte degli Ulivi a Gerusalemme; la Chiesa della Moltiplicazione dei pani e dei pesci a Tabga, sulle rive del Lago Kinneret (di Tiberiade); il Monte delle Beatitudini; il Monte Tabor; e il Cenacolo sul Monte Sion, a Gerusalemme.
Di questi siti, i primi cinque sono già proprietà della Chiesa Cattolica, mentre il Cenacolo, tradizionalmente considerato il luogo dell’Ultima Cena, non è nelle mani della Chiesa da quattrocento anni. Lo status del Cenacolo, che oggi ospita anche una moschea, è molto diverso da quello degli altri siti menzionati. Legalmente appartiene al locale Waqf (amministrazione delle proprietà religiose islamiche). Durante il Mandato Britannico le richieste da parte della Chiesa di vederlo restituito alla proprietà cattolica restarono inascoltate. Israele ha solo la custodia del sito, e l’eventuale decisione di cederlo alla Chiesa creerebbe un nuovo conflitto con il mondo islamico, mettendo seriamente a rischio lo status quo definito nel 1852. Ma è solo preservando lo status quo che si può garantire un minimo di quiete in santuari come il Santo Sepolcro, che appartengono a diverse chiese. Per di più, sia Israele che la Chiesa sono impegnati a rispettare lo status quo in base all’Accordo Fondamentale firmato fra loro nel 1993. Non c’è nessuna ragione cogente per compromettere lo status quo. Cedere la sovranità israeliana significherebbe dover attendere un permesso dal Vaticano ogni volta che in uno qualunque di quei siti ci fosse da pavimentare una strada, mettere una tubatura per l’acqua, ristrutturare un impianto elettrico. Il ministro degli interni Yishai ha contestato la proposta, sostenendo che una tale concessione limiterebbe “la capacità del governo israeliano di funzionare come governo sovrano in quei luoghi”. A quel punto Israele potrebbe vedersi avanzare analoghe richieste da parte della Chiesa Greco Ortodossa, da cui prende in affitto il terreno su cui sorgono la Knesset e altri edifici a Gerusalemme.Ma ciò che rende particolarmente assurdo rinunciare alla sovranità è che persino in Italia un tribunale si è rifiutato di discutere un ricorso fatto in base al diritto canonico (su tutt’altra questione) affermando di potersi pronunciare solo su questioni di diritto italiano. Israele dovrebbe essere più cattolico dell’Italia? Decisamente no.
Anziché considerare fantasiose richieste da parte del Vaticano, Israele potrebbe piuttosto accogliere la legittima richiesta della Santa Sede di esenzione fiscale per le sue istituzioni in Israele, un richiesta riconosciuta dall’Accordo Fondamentale ma rimasta attuata dal 1993 per l’opposizione del ministero delle finanze e per la relativa debolezza del ministero degli esteri. Il Vaticano ha talmente bisogno di questo sgravio fiscale che la questione è stata sollevata, invano, dallo stesso papa l’anno scorso, quando il nuovo ambasciatore d’Israele presso la Santa Sete, Mordechay Lewy, presentò le sue credenziali. Forse questa mossa aiuterebbe anche a sgomberare il campo dalla questione dei sei luoghi santi.
Non sono sicuro che gli israeliani si rendano conto del grado di ostilità politica espresso dalla Santa Sede verso Israele. Le autorità vaticane, che per otto lunghi anni non avevano mai espresso una critica esplicita ai bombardamenti su obiettivi civili israeliani da parte di Hamas, furono rapide e veementi nel protestare contro la campagna militare dello scorso inverno nella striscia di Gaza. Agli inizi di quest’anno il papa stesso ha protestato per cinque volte nell’arco di otto giorni. Il cardinale Renato Martino affermò in quei giorni che Israele aveva trasformato Gaza in un campo di concentramento, e solo domenica scorsa il papa ha espresso la sua simpatia per i palestinesi dicendo: “In modo speciale vi chiedo di ricordare il popolo palestinese che ha patito grandi stenti e sofferenze”. Non mi risultano mosse diplomatiche da parte di Israele per far arrivare alla Santa Sede l’espressione del suo rammarico e disappunto per la condanna costante e sbilanciata d’Israele, nel momento in cui il pontefice esprime solidarietà ai palestinesi che vivono, dice, in una regione “afflitta da violenza e ingiustizia, sospetto, incertezza e paura”.
Purtroppo l’itinerario della visita non permetterà al papa di farsi un’idea precisa della complessa situazione politica nella regione. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, unica personalità politica che incontrerà il papa a parte un incontro cerimoniale con il presidente Peres, probabilmente andrà a incontrarlo a Nazareth, alla Basilica dell’Annunciazione. Strano davvero, visto che il protocollo diplomatico prevede generalmente che il papa renda visita al primo ministro nella sua residenza ufficiale, a Gerusalemme.
Israele ha estremo bisogno di ribaltare la sua politica verso il Vaticano. Dovremmo essere molto più flessibili e disponibili sulle questioni fiscali, e nel contempo mettere in guardia le comunità ebraiche negli Stati Uniti, che si vantano dei loro ottimi rapporti con il papa, rispetto all’atteggiamento ostile della Santa Sede sul piano politico. Dopo tutto, il Vaticano in generale ancora si rifiuta di citare Israele per nome, chiamandolo invece “Terra Santa”.

(Da: Ha’aretz, 8.05.09)