Piano Trump: i palestinesi lo rifiuteranno e non è una novità

La parte araba ha rifiutato tutte le proposte di spartizione, dagli anni ’20 a oggi. È ora che se ne assuma le conseguenze. Promettere sempre di più non serve, e Israele deve saper cogliere quest’occasione

Di Ben-Dror Yemini|

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

Non è necessario approfondire i dettagli dell’annunciata proposta del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per sapere che non porterà a un accordo di pace. Tuttavia, è possibile che la proposta porti a una qualche forma di accomodamento che richiederebbe la partecipazione attiva di entrambe le parti.

I palestinesi hanno già detto che respingeranno qualsiasi piano di pace proposto dall’attuale amministrazione statunitense. Non è una novità. In passato i palestinesi hanno rifiutato offerte di pace che destinavano loro uno stato sovrano sul 95% dei territori contesi più un ulteriore 5% in scambi di terre, la maggior parte di Gerusalemme est e una soluzione economica al problema dei profughi. È chiaro che respingeranno una proposta che offre loro molto meno.

Ma un qualche accomodamento basato sul cosiddetto “accordo del secolo” è certamente possibile perché Israele, se si muoverà in modo appropriato, potrebbe ottenere il sostegno della comunità internazionale e persino un po’ di sostegno nel mondo arabo.

In giallo/ocra, lo stato palestinese che esisterebbe già oggi se nel 2008 i palestinesi avessero accettato la proposta Olmert (clicca per ingrandire)

A quanto risulta, il piano di Trump contiene anche il concetto di “stato palestinese”, l’esistenza del quale il primo ministro Benjamin Netanyahu ha già accettato nel suo discorso del 2009 all’Università di Bar-Ilan e di nuovo nel 2014, durante i colloqui negoziali con l’allora segretario di stato americano John Kerry.

L’accordo dell’amministrazione Trump offre a Israele più di quanto gli abbia offerto qualsiasi altra proposta di pace presentata negli ultimi due decenni, e offre molto di meno ai palestinesi. È giusto? Beh, da decenni i palestinesi si erano abituati a ricevere un’offerta migliore ogni volta che rifiutavano l’ennesima proposta. Nel 2009, il diplomatico palestinese Saeb Erekat spiegò molto bene al quotidiano giordano Ad-Dustour come mai l’anno prima i palestinesi avevano deciso di rifiutare la generosa proposta dell’allora primo ministro israeliano Ehud Olmert. Disse Erekat: “[Il primo ministro] Ehud Barak ci ha offerto il 90% [dei territori contesi] e Olmert ci ha offerto il 100%. Perché dovremmo affrettarci?”. Il piano di pace di Trump, a quanto pare, rompe questo schema e il muro di arrogante intransigenza palestinese. Avete rifiutato il 90%? Ed anche il 100%? Nessun problema: torniamo al 60%”.

Non ci sarà uno stato palestinese nel prossimo futuro, ma ad Israele si presenta l’opportunità storica di creare una realtà in cui sia fondamentale il principio della separazione. Gli insediamenti rimarranno sotto il controllo israeliano, così come la Valle del Giordano. L’accordo sottolinea inoltre che qualsiasi potenziale stato palestinese dovrà essere smilitarizzato. Se i palestinesi accettano, lo avranno. Se no, lo stato palestinese continuerà ad esistere solo sulla carta.

È sula carta che esiste sin dai tempi della la Commissione Peel, la Reale Commissione d’inchiesta britannica nominata nel 1936 per indagare sulle cause dei disordini nella Palestina Mandataria e sulle possibili soluzioni. Lo stato ebraico della Commissione Peel doveva estendersi solo sul 17% della terra ad est del fiume Giordano. La conferenza post-prima guerra mondiale di Sanremo del 1920 aveva destinato alla “sede nazionale” promessa al popolo ebraico solo il 4% del territorio. Gli arabi rifiutarono quelle offerte e da allora hanno continuato a rifiutare qualsiasi altra proposta. È ora che si assumano le conseguenze dei loro continui rifiuti. Basta con le ulteriori concessioni: non servono.

La parte ebraica si è sempre interessata più alla demografia che alla geografia, e questo è anche il motivo per cui ha sempre prosperato. I palestinesi hanno fatto il contrario. La destra israeliana è impegna da molti anni a cambiare il corso della storia insistendo sull’ampliamento dei confini geografici a costo di danneggiare la visione sionista di uno stato nel quale una maggioranza ebraica possa esercitare la propria autodeterminazione. Questo problema non farà che inasprirsi se la destra israeliana dirà “no” all’accordo di Trump.

Naturalmente è facile immaginare che i palestinesi non saranno i soli a dire “no” al piano di pace. Parti della sinistra israeliana e internazionale si uniranno a loro nel tentativo di formare un “fronte del rifiuto” contro la proposta. Ebbene, non ha senso aggregarsi a una coalizione specializzata nel dire solo “no” e nel gettare sempre tutta la colpa su Israele.

I governi israeliani del passato hanno accettato proposte di pace ben più generose verso i palestinesi. Pertanto un piano come quello che ora si profila dovrebbe assolutamente essere accettato. La cosa più importante è promuovere un accomodamento che garantisca a Israele sia il controllo sulla sicurezza che la separazione demografica, impedendo la creazione di un disastroso stato bi-nazionale. Lasciamo il “no” ai palestinesi. Israele deve dire “sì”.

(Da: YnetNews, 27.1.20)