Pink-washing, purple-washing e persino vegan-washing: ovvero, fin dove arriva la paranoia anti-israeliana

Accusare gli israeliani, qualunque cosa facciano, di farlo solo per nascondere terribili misfatti è un pensiero antisemita che gioca sull’antico cliché dell’ebreo infido e malvagio

Di Rafaella Gunz

Rafaella Gunz, autrice di questo articolo

“Le varie forme di purple-washing operate dalle Forze di Difesa israeliane sono eccezionalmente orribili perché vengono usate per cancellare la spietata occupazione, l’oppressione sistematica dei palestinesi e il loro continuo allontanamento”. E’ quanto si legge in un articolo di una delle mie pubblicazioni femministe preferite (col termine purple-washing, “lavare/nascondere col viola”, colore tradizionalmente associato al femminismo, si intende denunciare le strategie politiche e di marketing volte a promuovere un ente o un’azienda presentandone una “facciata” favorevole all’uguaglianza di genere ndr).

L’accusa è che l’esistenza di soldatesse (spesso attraenti) nelle Forze di Difesa israeliane serva soltanto a coprire (“purple-wash”) i loro abusi sui palestinesi. In sostanza, il servizio di leva obbligatorio in Israele anche per le donne sin dalla nascita dello stato servirebbe soltanto per occultare le nefandezze che il paese commette contro i palestinesi. Non è che gli israeliani credano nell’uguaglianza di genere. E’ che tutto ciò che di buono fanno gli ebrei ha per forza uno scopo segreto e nefasto.

Si consideri l’accusa del tutto analoga di pink-washing, cioè l’idea che Israele sia generalmente LGBTQ-friendly (amichevole verso le persone LGBTQ) al solo scopo, anche qui, di sviare l’attenzione e celare il modo in cui tratta i palestinesi. E puntualmente, è circolata anche l’accusa di vegan-washing, secondo la quale se tanti israeliani sono vegani è solo per… indovinato: per coprire il modo in cui il paese tratta i palestinesi.

Donne delle Forze di Difesa israeliane. Secondo l’accusa di purple-washing il servizio di leva femminile, obbligatorio in Israele sin dalla nascita dello stato, servirebbe soltanto a ingannare il mondo con una “facciata” più accattivante

Sia chiaro: so bene che le relazioni tra palestinesi e Forze di Difesa israeliane sono molto tese e difficili, per non dire altro. E certamente non condivido molte delle azioni del governo israeliano per quanto riguarda la popolazione palestinese. Tuttavia, insinuare sistematicamente che qualunque cosa di buono facciano gli israeliani, la facciano solo per nascondere i loro misfatti è un pensiero tipicamente antisemita che gioca sul cliché dell’ebreo infido e malvagio e sul mito dell’eterna cospirazione ebraica. (…) Nella moderna formulazione standard di questo antichissimo stereotipo, gli ebrei e/o i sionisti costituiscono una potente conventicola segreta e globale che manipola governi, banche, mass-media e altre istituzioni per scopi malvagi, minando i valori della civiltà.

Sicché quando vedo l’ebreo tra le nazioni, Israele, accusato di voler occultare e imbrogliare non appena fa qualcosa di positivo per i suoi cittadini o per la società in generale, mi viene l’amaro in bocca. Cosa particolarmente vera con quelli di sinistra, che sostengono di dare grande valore ai diritti umani. Secondo me, fanno quello che un utente di Twitter ha ironicamente definito Jew-washing ovvero la pratica di attaccare gli ebrei per aver fatto una cosa qualunque allo scopo di sviare l’attenzione e mantenere nell’ombra i secoli di omicidi di massa e di orrende violazioni dei diritti umani nel mondo musulmano.

E non dimentichiamo come vengono trattate le donne e i membri della comunità LGBTQ in molti dei paesi circostanti Israele. Ad esempio, in Arabia Saudita è in vigore un sistema legale di tutela maschile che controlla ogni aspetto della vita di una donna. Siccome non succede in Israele, non implica l’esistenza di alcun purple-washing. A ben vedere, l’accusa di purple-washing è di per sé parecchio sessista in quanto implica che le donne che godono di pari opportunità sono soltanto pedine e non pensano davvero con la loro testa.

Dalla pagina ufficiale su Facebook delle Forze di Difesa israeliane, in occasione del Gay Pride 2012. Secondo l’accusa di pink-washing, un intero paese come Israele fingerebbe tolleranza verso le persone LGBTQ al solo scopo di ingannare il mondo e nascondere i propri misfatti

In paesi come l’Egitto e la Siria, l’attività LGBTQ è punibile con la reclusione. In Iran, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati è punibile con la morte. Magari c’è un motivo per cui tante persone LGBTQ dal Medio Oriente e dal Nord Africa (e dall’Autorità Palestinese) cercano asilo in Israele. Lo fanno solo per aiutare Israele nella sua attività di propaganda? Israele è lungi dall’essere perfetto quando si tratta di uguaglianza LGBTQ (ad esempio, il matrimonio tra persone dello stesso sesso è riconosciuto ma non può essere celebrato nel paese), ma è comunque avanti anni luce rispetto a tanti altri paesi della regione.

E poi, sì, il mondo musulmano è ancora pesantemente implicato nel traffico di esseri umani africani. Ma non c’è un movimento BDS per boicottare, disinvestire e sanzionare i paesi musulmani implicati nella moderna tratta degli schiavi. Dov’è l’indignazione della sinistra occidentale per queste atrocità? E’ lo stesso silenzio che sentiamo quando si tratta del genocidio che la Cina sta commettendo contro i musulmani uiguri? Non mi risultano appelli al boicottaggio delle merci e persino delle persone dalla Cina, paragonabili alla campagna BDS contro Israele. Eppure il BDS non aiuta i palestinesi in alcun modo significativo. In realtà, tutto ciò che il BDS è riuscito a fare è danneggiare i palestinesi comuni e creare un ambiente ostile nei campus universitari occidentali verso gli ebrei, israeliani e non. Basterebbe l’esempio della chiusura della fabbrica Sodastream in Cisgiordania causata dall’attivismo BDS, che ha provocato la perdita di un buon posto di lavoro per centinaia di palestinesi. O il fatto che un israeliano di origine medio-orientale non possa nemmeno parlare delle esperienze della sua famiglia agli studenti universitari senza essere interrotto da chi grida lo slogan “dal fiume al mare”.

E per favore, smettiamola di fingere che la Palestina sia mai stata un fattore di progresso. Basta dare un’occhiata al rapporto di Amnesty International su come Hamas e Autorità Palestinese reprimono il dissenso, perpetuano la violenza contro le donne e negano eguali diritti alle persone LGBTQ. Da quando in qua fare il tifo in modo acritico per questi regimi repressivi e autoritari è diventato di sinistra? Dove sono le energie spese per i palestinesi intrappolati nei campi profughi in Libano e in Giordania? Ah, già: non interessano se delle loro sofferenze non si possono incolpare gli ebrei: proprio un bel caso di Jew-washing. Il popolo palestinese meriterebbe di meglio.

(Da: Times of Israel, 28.7.21)