Procedere con cautela

È vivo il ricordo dei tentativi di fare la pace nel 1993 e 2000 e delle stragi terroristiche che ne seguirono.

Editoriale del Jerusalem Post

image_3769L’infaticabile segretario di stato americano John Kerry sta per tornare nella regione, questa settimana, per tentare ancora una volta di rilanciare i colloqui di pace israelo-palestinesi. Questa volta la visita di Kerry sembra coincidere con un certo ammorbidimento delle posizioni, stando perlomeno a quanto riferiscono certi mass-media sulla base di fonti anonime che peraltro entrambe le parti si sono affrettati a smentire o ridimensionare. Il capo negoziatore dell’Olp, Saeb Erekat, ha detto martedì a radio Galei Tzahal di non sapere nulla di eventuali gesti di buona volontà israeliani e che le condizioni poste dai palestinesi non sono cambiate, mentre fonti governative da Gerusalemme esprimevano scetticismo sulla volontà palestinese di avviare negoziati senza precondizioni e soprattutto di portarli a termine.
Da parte americana si stanno esercitando enormi pressioni su entrambe le parti per non veder fallire gli sforzi di Kerry, e nessuna delle due parti vuole essere quella accusata d’aver silurato i colloqui.
Ma quand’anche palestinesi e israeliani venissero portati attorno a un tavolo – diciamo sotto una tenda in un punto equidistante da Ramallah e Gerusalemme, come ha suggerito Netanyahu in una recente intervista al Washington Post – in ogni caso sarà molto difficile trovare un terreno comune su questioni fondamentali come i profughi palestinesi, il futuro dei principali blocchi di insediamenti come Ariel e Ma’aleh Adumim, la questione di Gerusalemme e le necessarie intese sulle misure di sicurezza.
In un’epoca in cui tutta la regione è in grave subbuglio, anche i ministri israeliani che, come lo stesso Netanyahu, propugnano almeno in linea di principio una qualche soluzione a due stati, sono giustamente diffidenti. I razzi lanciati di nuovo, pochi giorni fa, dalla striscia di Gaza verso le comunità ebraiche del sud servono a ricordare cosa è successo quando Israele ha smantellato tutti gli insediamenti e sgomberato tutti i propri civili e militari dalla striscia di Gaza affidando ai palestinesi una forma di autogoverno.
Se il governo israeliano non sta più che attento, lo stesso tipo di scenario potrebbe facilmente ripetersi in Cisgiordania. I palestinesi assumerebbero il controllo di aree che si trovano a pochissimi chilometri da luoghi strategicamente sensibili come l’aeroporto internazionale Ben-Gurion. Una presa del potere di Hamas in Cisgiordania sarebbe un’eventualità del tutto realistica, soprattutto in un momento in cui partiti affiliati alla Fratellanza Musulmana, e che la pensano come Hamas, sono saliti al potere in Egitto e Tunisia, guidano l’opposizione al regime alawita di Basher Assad in Siria, e rappresentano la maggiore minaccia per la stabilità del regime di re Abdullah nella vicina Giordania.
L’incessante indottrinamento contro Israele ad opera dell’Autorità Palestinese con la costante celebrazione di terroristi che hanno perpetrato stragi di civili innocenti, combinato con la corruzione che imperversa fra i suoi ranghi e col violento maltrattamento dei dissidenti che osano criticare qualsiasi politica dell’Autorità Palestinese, compresa le sua attuale cooperazione militare con Israele, tutto questo sta spingendo sempre più palestinesi di Cisgiordania nelle braccia di Hamas, che offre un’alternativa meno corrotta. Oltretutto sostenere Hamas non implica le intrinseche contraddizioni e le ipocrisie che comporta sostenere un regime che coopera con Israele perlomeno sulle questioni della sicurezza (il che aiuta l’Autorità Palestinese a mantenere il monopolio sull’uso della forza in Cisgiordania) e che allo stesso tempo calunnia e denigra lo stato ebraico in ogni modo invocando condanne internazionali, boicottaggi, disinvestimenti, sanzioni.
Mentre molti, se non la maggior parte, degli israeliani credono nel principio che una soluzione a due stati sia l’unico modo per garantire che il paese rimanga sia ebraico che democratico, la realtà sul terreno incute paura. È ancora vivido il ricordo dei precedenti tentativi di fare la pace nel 1993 (a Oslo) e nel 2000 (a Camp David) e di come siano degenerati in paurose ondate di attentati terroristici. Non sorprende che gli israeliani siano piuttosto diffidenti all’idea di imboccare nuovamente quella stessa strada. Kerry dovrebbe tenerlo ben presente, quando tornerà nella regione questa settimana.

(Da: Jerusalem Post, 26.6.13)