Processo a Netanyahu e stato di diritto in Israele

La società israeliana sa che chiunque vìoli la legge, fosse anche la più alta carica dello stato, dovrà affrontare indagini, incriminazioni, processi, e condanne se giudicato colpevole

Di Paul Shindman

Il primo ministro Benjamin Netanyahu all’apertura del processo, lo scorso 24 maggio, davanti alla Corte distrettuale di Gerusalemme

Chi segue da vicino le notizie da Israele sa che sono in corso vivacissime proteste di piazza che riguardano la ripresa del processo a carico, fra gli altri, del primo ministro Benjamin Netanyahu, il nuovo governo di unità nazionale da lui guidato e il rispetto dello stato di diritto in Israele.

E’ da anni che la scena politica israeliana è in continuo fermento per le indagini e poi l’incriminazione di Netanyahu per presunti reati di corruzione e abuso d’ufficio. Molto popolare a destra e molto denigrato a sinistra, Netanyahu è da decenni al centro di un esame pubblico senza sconti.

I manifestanti generalmente schierati a sinistra hanno manifestato davanti alla Knesset e all’abitazione del Procuratore generale sostenendo che la democrazia israeliana viene erosa da un primo ministro che resta in carica mentre è sotto processo. Allo stesso tempo, contro-manifestanti generalmente schierati con la destra sostengono che la democrazia israeliana è minacciata dal tentativo di cacciare un primo ministro regolarmente eletto, che è innocente fino a prova contraria.

Senza dubbio, gli avversari dello stato d’Israele cercheranno di utilizzare il processo, e il duro confronto in corso nell’opinione pubblica del paese, per insinuare l’idea che Israele non è, o non è più, una democrazia funzionante. In mezzo a tutte le accuse e contro-accuse, vale la pena fare un passo indietro ed esaminare i fatti al di là del rumore delle schermaglie, per verificare cosa sta succedendo in Israele in fatto di democrazia e stato di diritto.

Dopo una lunga indagine di polizia, nel novembre 2019 Netanyahu è stato accusato di frode, corruzione e abuso d’ufficio. Netanyahu ha sempre negato le accuse con veemenza, affermando d’essere vittima di una caccia alle streghe. Dopo che tre elezioni consecutive nell’arco di dodici mesi hanno sortito risultati non decisivi, e di fronte alla crisi economica e sanitaria scatenata dal coronavirus, Netanyahu e il leader del principale partito d’opposizione Blu-Bianco, Benny Gantz, hanno deciso di formare un governo di unità nazionale. Tuttavia, nei mesi di incertezza politica prima che il governo si insediasse il 17 maggio 2020, furono fatti dei tentativi, da parte di partiti di opposizione nella Knesset e gruppi della società civile nei tribunali, per impedire a Netanyahu di assumere la carica di primo ministro a causa delle accuse mosse contro di lui. Entrambe le parti sostenevano che la loro posizione era dettata dal rispetto dello stato di diritto ed entrambe affermavano che le posizioni dell’altra mettevano in pericolo la democrazia israeliana.

Il primo ministro Ehud Olmert (a sinistra) e il president Moshe Katsav, in una foto del 2006

Chi ha dimestichezza con la vita politica israeliana sa che non è un campo da partite amichevoli. I partiti politici di destra, centro e sinistra hanno tentato tutti di far approvare leggi che avrebbero ostacolato le mosse dell’altra parte cambiando le regole del gioco prima che il governo di unità potesse entrasse in carica. Tra accuse e controaccuse, la crisi ha toccato l’apice con petizioni alla Corte Suprema inoltrate da entrambe le parti. La Corte stessa è stata attaccata come troppo severa o troppo indulgente, e troppo e troppo poco vincolata alle leggi del parlamento. Alla fine, la Corte Suprema ha stabilito all’unanimità che Netanyahu nella carica di primo ministro è conforme alla legge e che non vi è nulla di illegale nel nuovo governo di unità nazionale. La Corte si è peraltro pronunciata in modo critico rispetto ad alcune parti dell’accordo di unità, che per questo sono state emendate.

Una base fondamentale delle democrazie è il concetto di stato di diritto. Per definizione, significa che in un paese la legge è suprema e non viene dettata da una persona o da un partito che esercitino una posizione di potere. In sintesi, lo stato di diritto significa che tutti gli individui, compresi quelli al potere e il governo stesso, sono soggetti alla legge. Le Nazioni Unite arrivano al punto di dichiarare che lo “stato di diritto è fondamentale per la pace, la sicurezza e la stabilità politica internazionali”.

Tutte le democrazie devono fare i conti con la sfida di applicare il principio di legalità e rispettare lo stato di diritto, e Israele non fa eccezione. La sfida del mantenimento dello stato di diritto va ben oltre il semplice caso di Netanyahu: essa implica un continuo equilibrio fra valori democratici e fondamentali interessi nazionali; la tutela dei diritti umani non solo dei cittadini, ma anche degli stranieri e persino dei nemici. Implica l’indipendenza della Corte Suprema e del sistema giudiziario in quanto garanti, così come la tutela di diritti come la libertà di espressione e la possibilità di criticare tutti gli aspetti della democrazia e tutti e tre i suoi poteri: esecutivo, legislativo e giudiziario.

In questi 72 anni Israele ha sviluppato il suo stato di diritto, compresi i tre poteri che vengono generalmente considerati trasparenti, e con tribunali che operano in modo indipendente. Osservatori esterni, come il Dipartimento di stato americano, concordano sul fatto che in Israele vige lo stato di diritto e che il principio di legalità viene effettivamente esercitato verso coloro che detengono il potere. Ciò nondimeno, gli accusati sono considerati innocenti fino a sentenza passata in giudicato: un principio, questo, sostenuto dalla Corte Suprema, come si è visto con la sentenza secondo cui, nonostante sia sotto processo, la qualità di primo ministro Netanyahu è perfettamente legale finché non si arrivi a un’eventuale sentenza di condanna.

18 luglio 2020: proteste davanti alla residenza ufficiale del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a Gerusalemme

Può sembrare bizzarro, ma lo stato di diritto in Israele è così forte che esiste una pagina apposita di Wikipedia intitolata “Elenco di funzionari pubblici israeliani condannati per violazioni o reati”. L’elenco va da funzionari di alto livello, a 16 membri del parlamento, a un primo ministro e un presidente. Evidentemente la giustizia israeliana non fa sconti a nessuno né per rango né per linee di partito, visto che esponenti della sinistra e della destra, laici e religiosi pagano tutti il conto per i loro misfatti. Ad oggi, i funzionari di massimo rango costretti a lasciare l’incarico sono stati il primo ministro Ehud Olmert, che nel 2014 venne condannato per due reati di corruzione, e il presidente Moshe Katsav, che nel 2010 venne condannato per abusi sessuali e ostruzione della giustizia. Entrambi si dimisero per combattere le accuse in tribunale. Entrambi hanno poi scontato periodi di detenzione, una volta giudicati colpevoli. Il risultato è che la società israeliana sa che chiunque vìoli la legge, fosse anche la più alta carica dello stato, dovrà affrontare indagini, incriminazioni, processi e condanne se giudicato colpevole. Allo stesso tempo, sa che la presunzione di innocenza viene riconosciuta a tutti, anche al primo ministro, fino a sentenza passata in giudicato.

Il rapporto annuale del Dipartimento di stato americano sui diritti umani in Israele è una delle disamine più complete della condizione di legge e ordine nel paese. Il rapporto è critico rispetto ad alcune aree che necessitano di miglioramento, ma quando si tratta di democrazia e stato di diritto gli autori, generalmente di approccio liberal, concludono con convinzione che la democrazia in Israele funziona bene. Il rapporto afferma che le elezioni in Israele sono “da considerare libere ed eque”; il governo e le autorità civili “mantengono un controllo efficace su apparati e servizi di sicurezza”, il che significa che Israele sicuramente non è uno stato di polizia; e nel caso di leader sospettati d’aver violato la legge, l’applicazione della giustizia è imparziale: in Israele le autorità “adottano provvedimenti per perseguire e punire i funzionari che hanno trasgredito la legge, indipendentemente dalla posizione e dal rango”.

Se la democrazia israeliana fosse davvero a rischio e se vacillasse lo stato di diritto, ciò sarebbe sicuramente motivo di preoccupazione. Ma se è vero, come è vero, che la democrazia e lo stato di diritto funzionano, allora il clamore nelle piazze è proprio questo: il rumore normale e accettabile in ogni democrazia quando parlamentari dell’opposizione cercano di rovesciare il governo o cittadini impegnati esercitano il loro diritto di protestare.

Come ha sintetizzato lo storico ed ex ambasciatore d’Israele negli Stati Uniti, Michael Oren, “rumorose contestazioni del presidente da parte dei deputati fanno notizia in America, ma contestazioni dei primi ministri nella Knesset ai limiti dello scherno sono troppo normali per fare notizia”. Con alle spalle una tradizione di 72 anni, lo stato di diritto in Israele rimane solido e stabile come in ogni altra autentica democrazia: soggetto al costante monitoraggio di parlamentari, organi di garanzia e degli stessi cittadini.

(Da: honestreporting.com, 24.5.20)