Punizione collettiva o elementari misure anti-terrorismo?

Secondo certi gruppi per i diritti umani, Israele dovrebbe cercare i ragazzi sequestrati stando attento a non causare disagi a nessuno

Le operazioni lanciate in Cisgiordania dalle Forze di Difesa israeliane alla ricerca dei tre adolescenti Eyal Yifrach, Gilad Shaar e Naftali Frankel rapiti da Hamas lo scorso 13 giugno, che comportano irruzioni e perquisizioni, arresti, restrizioni dei movimenti e altre misure (e che sfociano in scontri con gruppi di palestinesi quando questi cercano di impedirle o ostacolarle con la violenza), si possono a buon diritto definire “punizione collettiva”, come fanno l’Autorità Palestinese e diverse organizzazioni per i diritti umani sia internazionali, come Amnesty International, che israeliane, come B’Tselem?

Secondo l’articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra, nessun civile “può essere punito per un reato che lui o lei non abbia personalmente commesso”. Di qui il divieto delle cosiddette “punizioni collettive”.

Ma esperti di diritto israeliani respingono l’idea che il concetto di “punizione collettiva” si possa applicare alle operazioni in corso per la liberazione dei tre ragazzi presi in ostaggio.

Alunni palestinesi e i loro insegnanti, in visita al Monte del Tempio (Gerusalemme), celebrano il sequestro dei tre adolescenti israeliani alzando le tre dita in quello che è diventato il segno che esprime gioia per il rapimento

Secondo Robbie Sabel, ex consigliere giuridico del Ministero degli esteri israeliano e professore di diritto internazionale all’Università di Gerusalemme, le azioni delle Forze di Difesa israeliane in Cisgiordania non possono essere considerate una punizione collettiva dal momento che mirano a ritrovare i ragazzi rapiti e a colpire le organizzazioni terroristiche responsabili del sequestro. “E’ vero che non tutti gli arrestati sono personalmente collegabili al sequestro – spiega Sabel – Ma è anche chiaro che le persone che vengono arrestate non sono dei palestinesi presi a caso, ma persone affiliate o implicate con Hamas, o ex detenuti scarcerati nel 2011 nell’ambito del ricatto per la liberazione dell’ostaggio Gilad Shalit e che da allora hanno violato i termini dell’accordo per il loro rilascio”. Durante la ricerca di civili rapiti, arrestare membri affiliati all’organizzazione responsabile del sequestro è del tutto legittimo, dice Sabel. Il concetto di “punizione collettiva” non c’entra, insiste Sabel, pur riconoscendo che i palestinesi di Hebron e di altre località subiscono pesanti limitazioni e restrizioni a causa delle operazioni delle forze di sicurezza. In pratica, Amnesty e altri gruppi per i diritti umani sostengono che Israele dovrebbe cercare i ragazzi scomparsi e dare la caccia ai loro rapitori senza causare disagi a nessuno, sottolinea il professore di diritto internazionale Eugene Kontorovich, che insegna alla Northwestern University e all’Università di Gerusalemme. Eppure è quello che accade normalmente quando la polizia istituisce posti di blocco per catturare un qualunque criminale comune. Il che non ha nulla che fare con il diritto internazionale. “Fermare sospetti o possibili complici, favoreggiatori o conniventi non è una punizione collettiva: è un’elementare misura investigativa – dice Kontorovich – soprattutto quando il reato è verosimilmente commesso da un’organizzazione terroristica complessa e strutturata, per cui il numero di potenziali correi è elevato. Non vi è alcuna prova che in questo momento i palestinesi vengano arrestati come generica forma di ritorsione, e non invece per le informazioni potenzialmente utili di cui ogni singolo arrestato può essere in possesso”. Punizione collettiva significa prendere di mira una comunità nel suo complesso per i reati di una banda armata, aggiunge Kontorovich. “Diverso è il caso dei membri di un gruppo criminale, che possono senz’altro essere chiamati in causa per i crimini commessi dal gruppo a cui sono associati. È un criterio che è stato ampiamente applicato, dalle imputazioni del processo di Norimberga a quelle per traffico di droga”.

(Da: Times of Israel, 23.6.14)