Puntuali sono scoppiate a Gerusalemme le violenze ampiamente preannunciate e aizzate

Hamas soffia sul fuoco, Fatah esorta alla violenza, Iran e Hezbollah ne approfittano

Di Khaled Abu Toameh, Seth J. Frantzman

Khaled Abu Toameh

Scrive Khaled Abu Toameh: I palestinesi sono riusciti a trasformare la disputa legale sulla proprietà di un certo numero di immobili nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est in una grave crisi che ha finito con attirare le attenzioni delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e dell’amministrazione statunitense, oltre a molti altri paesi nonché mass-media locali e stranieri. Questo successo arriva sull’onda di un’altra “vittoria” proclamata dai palestinesi due settimane fa, quando la polizia di Gerusalemme, di fronte a una serie di violente manifestazioni quotidiane, ha rimosso le transenne che aveva posto davanti all’ingresso della Porta di Damasco della Città Vecchia. Le transenne, destinate a impedire assembramenti serali di centinaia di giovani durante il Ramadan, sono state riposizionate alcuni giorni dopo visto che gli scontri notturni tra manifestanti e polizia non erano cessati neanche dopo la loro rimozione.

I palestinesi hanno celebrato la rimozione delle transenne come una “grande vittoria”, magnificando l’impresa degli shabab (giovani) di Gerusalemme che avevano costretto Israele a capitolare, una capitolazione percepita e propagandata come un segno di debolezza e che sta ulteriormente incitando gli shabab. Anche i capi dell’Autorità Palestinese, di Hamas e di altre fazioni palestinesi si sono precipitati a celebrare gli “eroici” giovani di Gerusalemme che hanno costretto le autorità israeliane a rimuovere le transenne, e hanno osannato i giovani per “aver contrastato i tentativi dei coloni ebrei di assaltare la moschea di al-Aqsa” (l’eterna accusa senza fondamento che torna sempre utile a chi vuole gettare benzina sul fuoco delle proteste e degli scontri di strada a Gerusalemme est ndr)

7 maggio: manifestanti palestinesi sventolano bandiere del gruppo terroristico Hamas dopo le preghiere pomeridiane dell’ultimo venerdì di Ramadan, sul Monte del Tempio nella Città Vecchia di Gerusalemme

Per mantenere viva la spinta, i palestinesi hanno deciso di concentrarsi sul complesso della moschea di al-Aqsa del Monte del Tempio e sul quartiere Sheikh Jarrah, dove un certo numero di famiglie arabe rischia lo sfratto da terreni che erano di proprietà di ebrei prima del 1948 e dell’occupazione giordana della parte est della città. Le violenze scoppiate a Sheikh Jarrah nei giorni scorsi e nel complesso della moschea di al-Aqsa tra venerdì e sabato, quando centinaia di rivoltosi hanno lanciato pietre e molotov contro i poliziotti, sono riuscite nell’intento di strabiliare un collegamento tra la disputa legale sugli immobili di Sheikh Jarrah (ora al vaglio della Corte Suprema, dopo sentenze di tribunali distrettuali favorevoli alla rivendicazione ebraica ndr) e i Luoghi Santi musulmani sulla spianata del Monte del Tempio. In particolare, i palestinesi sono riusciti a rappresentare la disputa di Sheikh Jarrah come parte del solito immaginario piano israeliano di “giudaizzare” Gerusalemme. Le organizzazioni ebraiche che rivendicano la proprietà delle case di Sheikh Jarrah possono anche aver vinto la battaglia sul piano legale, ma è difficile capire come le autorità israeliane potranno applicare qualsiasi sentenza, foss’anche della Corte Suprema, viste le violenze scatenate e la pioggia di proteste e condanne in arrivo da molti soggetti internazionali. Gli shabab di Gerusalemme, che nei giorni scorsi gridavano slogan a sostegno di Hamas, sono convinti che, mantenendo la pressione, Israele non potrà fare altro che piegarsi alle loro pretese.

Gli eventi delle ultime settimane hanno anche dimostrato che Hamas può contare su sostenitori a Gerusalemme est, con grande sgomento della dirigenza dell’Autorità Palestinese. Durante alcune proteste, i manifestanti hanno sventolato bandiere di Hamas e gridato slogan che condannavano il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen come un “traditore” e un “agente degli Stati Uniti”.
(Da: Jerusalem Post, 8.5.21)

Seth J. Frantzman

Scrive Seth J. Frantzman: L’Iran sta usando le tensioni su Gerusalemme come pretesto per spingere altri gruppi estremisti nella regione a compiere attacchi terroristici contro Israele.

È importante capire la sequenza temporale. L’inizio delle tensioni a Gerusalemme risale alla metà di aprile quando è iniziato il Ramadan, la polizia israeliana ha cercato di limitare gli assembramenti serali alla Porta di Damasco e una serie di video su TikTok mostravano arabi che aggredivano a freddo degli ebrei religiosi. Nel frattempo c’erano anche tensioni nel quartiere Sheikh Jarrah a Gerusalemme, che si sono intensificate all’inizio di maggio. Il 22 aprile si sono avute decine di feriti quando un gruppo ebraico di estrema destra si è scontrato con manifestanti musulmani alla Porta di Damasco. Hamas a Gaza ha proclamato che Gerusalemme e la moschea di al-Aqsa erano sotto minaccia e ha avvertito che per questo si sarebbero potute “spalancare le porte dell’inferno”, termine abitualmente usato per indicare una guerra contro Israele.

E arriviamo a venerdì scorso, prima degli scontri serali sul Monte del Tempio. In preparazione del Giorno al-Quds, la giornata per Gerusalemme che l’Iran e i suoi gregari utilizzano per focalizzare l’attenzione su Gerusalemme e rilanciare l’istigazione contro Israele, sono state fatte una serie di dichiarazioni. L’ayatollah iraniano Ali Khamenei ha scritto che “le imprese dei palestinesi e il puro sangue dei martiri della resistenza hanno moltiplicato di centinaia di volte la forza interna della jihad palestinese: una volta i giovani palestinesi si difendevano lanciando pietre, oggi rispondono al nemico con missili di precisione”.

In un discorso di venerdì, in occasione della Giornata al-Quds, la Guida Suprema dell’Iran, ayatollah Ali Khamenei, ha definito Israele “non un paese, ma una base terroristica”, aggiungendo che la sua fine è imminente. “Israele non è un paese, ma una base terroristica contro la nazione palestinese e le altre nazioni musulmane – ha detto Khamenei in un commento trasmesso in diretta tv – Combattere questo regime è dovere di tutti”. Khamenei ha aggiunto che “il declino del regime sionista nemico è iniziato e non si fermerà” e ha attaccato la normalizzazione dei rapporti fra Israele e “alcuni deboli governi arabi”, esortando i palestinesi a continuare la loro resistenza e i governi musulmani a sostenerli. “L’unità delle nazioni musulmane è l’incubo dei sionisti”, ha concluso Khamenei. (Da: Times of Israel, 7.5.21)

Queste parole giungevano in coincidenza con un “allarme” lanciato da Hamas secondo cui Israele intendeva “sabotare al-Aqsa”, mentre la Guida Suprema iraniana rincarava affermando che “sulla questione della Palestina, tutti gli stati e i paesi musulmani sono responsabili, ma i palestinesi sono il perno della jihad”.

Da Gaza a Teheran, il punto era chiaro: un messaggio coordinato volto a infiammare le tensioni su Gerusalemme, con il consueto mix di teorie cospirative e invocazioni alla violenza. Fino a quel momento i proclami non facevano quasi menzione della contesa di Sheikh Jarrah, il che fa capire che non era ancora vista come una questione centrale.

Una delle case di Sheikh Jarrah al centro del contenzioso legale su cui dovrà esprimersi la Corte Suprema

Nelle stesse ore il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, pronunciava un lungo discorso contro Israele in cui sosteneva, fra l’altro, che lo shock per i 45 morti nella calca di pellegrini ebrei ultra-ortodossi sul Monte Meron dimostra che Israele “non è pronto ad affrontare una guerra” giacché “non è in grado di sopportare un alto numero di vittime”. “Ora gli israeliani hanno anche paura di una conflagrazione con i palestinesi – ha detto Nasrallah – Israele non è così forte come vorrebbe farci credere Kohavi” (il capo di stato maggiore delle Forze di Difesa israeliane).

Le dichiarazioni di Hamas, Hezbollah e Iran non sono casi isolati. Sono un messaggio coordinato, e il messaggio non riguardava solo il Giorno al-Quds: preparavano il terreno per nuove violenze. Non a caso, contemporaneamente alle dichiarazioni, a Gerusalemme facevano la loro comparsa le bandiere di Hamas. Tutto questo, infatti, si inscrive anche nella lotta di Hamas per il potere a Gerusalemme, città in cui ha sempre avuto punti d’appoggio ma dove non è mai riuscita a imporsi più di tanto. Il che a sua volta fa parte delle ambizioni di potere di Hamas su tutta la Cisgiordania, dopo che l’Autorità Palestinese ha rinviato sine die le elezioni. Ed è anche un modo per Iran, Hezbollah e Hamas di riacquistare rilevanza. Vogliono inserire un cuneo di animosità tra Israele e i suoi nuovi partner di pace nel Golfo, ben sapendo che qualunque violenza a Gerusalemme esercita forti pressioni su Bahrain ed Emirati Arabi Uniti. Allo stesso modo, hanno interesse a infiammare le tensioni in Giordania. Sanno che di recente l’Arabia Saudita ha cercato di smorzare le tensioni con l’Iran e che ha avviato colloqui di riavvicinamento con l’Iran in Iraq, e con la Turchia e la Siria.

Per l’Iran, questa è un’opportunità perfetta per aizzare le tensioni con Israele sfruttando la questione di Gerusalemme. L’Iran sa che su altri fronti, che siano le armi nucleari o il suo trinceramento in Siria, deve fare i conti con ostacoli e ostilità. La questione palestinese, invece, funziona sempre.
(Da: Jerusalem Post, 8.5.21)

Dopo giorni di violenti scontri a Gerusalemme (con centinaia di feriti e contusi, anche fra le forze di polizia israeliane), il Fatah che fa capo al presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen, invece di invocare la calma, ha pubblicato sabato un appello per l’aumento degli scontri e della violenza. Lo segnala la ong palwach.org, sottolineando come Fatah, per esaltare il carattere di guerra religiosa islamica della sua istigazione allo scontro violento a Gerusalemme, apra il proclama con una citazione dal Corano accompagnata dalla frase: “Le parole di Allah sono vere”.

«Il movimento Fatah con tutti i suoi elementi e dirigenti – si legge nel proclama – esorta a continuare questa rivolta e ad opporsi alle forze di occupazione, ai coloni e alle loro organizzazioni terroristiche che operano con il sostegno del governo fascista israeliano. La continuazione degli attacchi dei coloni contro i luoghi santi islamici e cristiani, le nostre proprietà e la nostra gente, e l’espulsione dei residenti dalle loro case a Sheikh Jarrah, porteranno a uno scontro globale in tutte le terre palestinesi, incluso un riesame delle regole di ingaggio contro l’occupazione. Fatah esorta tutti ad aumentare il livello dello scontro nei prossimi giorni e nelle prossime ore nelle terre palestinesi, nei punti di contrasto e sulle strade dei coloni.»

L’appello di Fatah alla violenza è stato pubblicato su numerose pagine Facebook, comprese quelle ufficiali di Fatah, della Guardia Presidenziale dell’Autorità Palestinese, del Vice Presidente di Fatah Mahmoud Al-Aloul e del membro del Comitato Centrale di Fatah, Rawhi Fattouh, che è anche Commissario di Fatah per le relazioni internazionali. Oltre a Facebook, l’annuncio è stato pubblicizzato dalla WAFA, l’agenzia di stampa ufficiale dell’Autorità Palestinese, e dal quotidiano ufficiale dell’Autorità Palestinese Al-Hayat Al-Jadida, nonché da agenzie di stampa private.
(Da: palwatch.org, 9.5.21)