“Qual è la mia colpa, essere un’ebrea che vive ad Ashkelon?”

Testimonianze delle vittime israeliane davanti alla commissione Onu su Gaza

image_2543“Ho sentito come una palla di fuoco turbinare dentro di me, tutti i miei denti sono volati via. Ancora oggi ho un pezzo di scheggia di 4 cm impiantata sul lato sinistro della schiena, troppo vicina al midollo spianale per potere essere rimossa”. È il racconto che la dottoressa Mirllea Sidrer, ferita da un razzo palestinese che ha centrato il suo ambulatorio ad Ashkelon, ha fatto lunedì a Ginevra, davanti alla commissione delle Nazioni Unite incaricata di indagare la controffensiva israeliana anti-Hamas nella striscia di Gaza del gennaio scorso.
Ufficialmente Israele non collabora con quella che definisce una indagine Onu “di parte”. Tuttavia la voce di singoli israeliani si è fatta sentire davanti alla commissione, dapprima con la testimonianza di Noam Shalit, il padre del soldato Gilad Shalit trattenuto da tre anni in ostaggio da Hamas a Gaza, poi con quella della dottoressa Sidrer.
Altre testimonianze sono state portate dal sindaco di Ashkelon, Benny Vaknin, da docenti del College Sapir ripetutamente bersagliato dai razzi palestinesi, e da diversi rappresentanti dello Sderot Information Center.
La dottoressa ha portato una commovente testimonianza. “Tutta la mia pacifica vita è stata stravolta in un secondo – ha detto – quando, senza alcun preavviso, un razzo si è abbattuto sul mio ambulatorio. In una frazione di secondo il posto è stato completamente distrutto. Mi sono ritrovata sotto le macerie, gravemente ferita, ma ho continuato a parlare alla mia paziente che stavo curando, anch’ella gravemente ferita: il suo addome era squarciato, con i visceri all’esterno”.
Alla fine del racconto, Sidrer è scoppiata in lacrime quando ha chiesto alla commissione: “Qual era la mia colpa? Che sono un’ebrea che vive ad Ashkelon? Ho studiato medicina per aiutare la gente in tutto il mondo, e ho aiutato anche tante donne di Gaza. Sono un semplice civile che non ha mai avuto a che fare con alcun atto di guerra. E mi rincresce per tutte le vittime, anche per le vittime innocenti dell’altra parte. Basta sangue e sofferenze, è ora di finirla”.
Noam, padre del soldato sequestrato Gilad Shalit, ha detto alla commissione: “Voi sapete bene che la liberazione di mio figlio è la chiave per togliere il blocco alla striscia di Gaza e far ripartire il processo di pace: un piccolo gesto che potrebbe alleviare la vita di tante persone”. Shalit ha chiesto agli abitanti della striscia di Gaza di premere sui loro capi affinché lascino libero suo figlio, e ha esortato coloro che lo tengono in cattività a compiere questo semplice passo che “garantirebbe loro quel rispetto che essi vogliono dalla comunità internazionale”. “Non fatelo per qualche forma di profitto – ha detto – fatelo perché è la cosa giusta da fare, fatelo per il bene della vostra gente. Non ignorate le condizioni in cui mio figlio prestava servizio militare. Egli non stava attaccando la vostra terra, anzi non si trovava nemmeno sulla vostra terra: si trovava sul territorio sovrano d’Israele per difendere quello che avrebbe dovuto essere un confine pacifico [dopo il ritiro israeliano del 2005]. I vostri leader dicono che è un prigioniero di guerra. Io dico che è un ostaggio. Se fosse un prigioniero di guerra, come mai gli vengono negate tutte le condizioni garantite dalla Convenzione di Ginevra? Gli vengono negate anche le visite della Croce Rossa, che invece può visitare tutti i detenuti palestinesi in Israele. I quali possono anche impugnare protestare eventuali violazioni dei loro diritti davanti allo Stato d’Israele. Molti di voi – ha concluso Noam Shalit – capiscono che i vostri capi hanno commesso un crimine contro mio figlio, che viene trattenuto come moneta di scambio, e non c’è alcun compromesso da raggiungere: le loro pretese semplicemente non possono essere esaudite. Mio figlio è la carta usata dai vostri capi per distrarre l’attenzione dalle distruzioni che essi hanno portato su di voi”.
Il sindaco di Ashkelon Benny Vaknin ha fornito ai membri della commissione un quadro dettagliato dei lanci di razzi Qassam e Grad mirati su luoghi ed edifici civili nella città, mostrando anche numerose fotografie. Ha parlato dei 3.200 abitanti che hanno dovuto essere curati per sindrome post-traumatica, e della fuga degli investimenti da tutta la zona. Vaknin ha inoltre documentato tutte le iniziative di progetti congiunti che aveva cercato di promuovere con il sindaco di Gaza, tutti bloccati da quando Hamas ha preso il potere a Gaza.
“Certo, oggi è dura pensare di riaprire i valichi al passaggio di tubi e cemento – ha detto alla commissione il consulente del sindaco, Alon Marcus – quando si sa che questi materiali possono essere trasformati in razzi Qassam”.
Ufficialmente, comunque, Israele non collabora con la commissione Onu perché la giudica priva della necessaria obiettività. “Consideriamo con severità il mandato conferito a questa commissione”, ha detto il mese scorso il ministro della difesa israeliano Ehud Barak al segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. (Il mandato, che suona come una sentenza già emessa in partenza, chiede di investigare “tutte le violazioni del diritto internazionale e umanitario da parte della potenza occupante, Israele, contro il popolo palestinese”). Barak ha spiegato che Israele ha già avuto esperienze in passato con analoghe commissioni d’indagine. “Esse non ascoltavano nemmeno l’altra parte, non indagavano le sequenze di attentati terroristici nel corso degli anni, compresi i lanci di razzi sui cittadini israeliani. Questa non è una commissione in grado di arrivare a conclusioni imparziale e pertanto non penso che noi collaboreremo con i suoi lavori”.

(Da: YnetNews, 07.06.09)

Nella foto in alto: Soccorsi ad Ashkelon dopo un attacco di razzi palestinesi (immagine d’archivio)

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